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sabato 23 novembre 2024

STUDENTI IN CATTEDRA


 
In classe non può esserci solo la lezione frontale, i docenti devono stare più vicini agli studenti. 

Il voto? A volte viene usato come un’arma impropria”. 


INTERVISTA con Maurizio Parodi

-Di Fabrizio De Angelis

Imparare ad imparare insieme. E’ questo quanto si prefigge il metodo “Studenti in cattedra”, ideato da Maurizio Parodi, già dirigente scolastico, ricercatore e formatore in ambito socio-pedagogico. Quello di Parodi è un metodo innovativo sull’apprendimento a scuola, dedicato ai ragazzi delle scuole superiori, che punta a coinvolgere attivamente i protagonisti, ovvero gli studenti, in ogni passaggio: dall’individuazione dei temi da studiare alla valutazione. Il metodo è stato sperimentato per due anni scolastici presso il liceo Newton di Brescia, esperienza che Parodi ha di fatto condensato all’interno del volume “Sic – Studenti in Cattedra” edito da Erikson.

Intervistato da Orizzonte Scuola, l’ideatore del metodo ci spiega in modo più approfondito gli aspetti di Sic, riflettendo contemporaneamente sullo stato dell’apprendimento della scuola italiana, sulla lezione frontale e sulla valutazione.

Qual è l’obiettivo che si vuole raggiungere con il metodo “Studenti in cattedra”?

Il metodo SiC si rivolge alle classi degli istituti di scuola secondaria di secondo grado ed è pensato per consentire agli studenti e alle studentesse di imparare a imparare insieme, a scuola, valorizzando, arricchendo e potenziando le strategie cognitive di ciascuno, responsabilizzando tutti gli attori, docenti compresi, rispetto al conseguimento degli obiettivi didattici programmati. Il riferimento, dichiarato, è alle competenze di cittadinanza già enunciate nella “Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006″: Imparare a imparare è l’abilità di perseverare nell’apprendimento, di organizzare il proprio apprendimento anche mediante una gestione efficace del tempo e delle informazioni, sia a livello individuale che in gruppo.

Ci spiega il ruolo degli insegnanti in questa prospettiva di apprendimento?

In fase di programmazione didattica, l’insegnante deve individuare i contenuti essenziali della propria disciplina, ovvero stabilire priorità, scegliere a cosa dedicare maggiore attenzione rispetto sia al piano di lavoro previsto per l’anno in corso, sia allo sviluppo verticale e orizzontale del curricolo, e quantificare l’impegno richiesto in rapporto al tempo effettivamente disponibile, stabilendo la possibile ripartizione degli argomenti. Non meno importante la declinazione operativa degli obiettivi, in termini di sapere e saper fare che sposta l’attenzione dell’insegnante dal contenuto al processo, dalla nozione alla competenza. Insomma un bagno di realtà che mette al riparo dal rischio di “rimanere indietro” nello svolgimento del famigerato “programma” troppo spesso licenziato senza considerare adeguatamente, realisticamente i limiti dati, come se si operasse al di fuori delle umane coordinate di spazio e tempo, salvo poi appaltare parti sempre più consistenti del curricolo all’autonoma gestione degli studenti, dei loro genitori o di “privati” insegnanti (aggravando le diseguaglianze), e imporre estenuanti tour de force a ridosso delle scadenze istituzionali.

E poi? Cosa fa un docente in questo contesto del SIC?

In fase di svolgimento dell’attività, deve organizzare correttamente il lavoro di riflessione e rielaborazione da parte degli studenti, abituando al rispetto dei tempi e delle procedure, sollecitando il contributo individuale e del gruppo, favorendo l’interazione tra i pari, evitando di dare risposte immediate e dirette in caso di dubbi e incomprensioni, così da valorizzare il confronto e la partecipazione. L’insegnante ha dunque un ruolo di regia organizzativa e didattica, e non di protagonista, perciò interviene quando necessario, per stimolare, integrare, correggere, e solo se necessario, interrogandosi costantemente sulla misura di tale necessità. Deve, inoltre, sostenere l’impegno degli studenti nella progressiva acquisizione delle tecniche di studio previste dal “protocollo”: prendere appunti, selezionare i punti essenziali, riformulare sinteticamente i contenuti, elaborare la sintesi condivisa. Proprio l’elaborazione della sintesi condivisa costituisce il passaggio di maggior pregio metacognitivo.

Cioè?

Non si tratta, infatti, di condividere un elenco di punti individuati sulla base delle sintesi formulate grazie al lavoro individuale e di coppia, attività tutt’altro che banale, ma di procedere alla strutturazione lessicale, sintattica, grafica di uno “schema”, necessariamente articolato e complesso; operazione delicata rispetto alla quale l’intervento maieutico del docente è fondamentale.

Perché la lezione frontale viene messa continuamente in discussione? Ha formato generazioni intere in passato…

Il metodo Sic non bandisce la lezione frontale che però non può essere la modalità prevalente o la sola praticata da una didattica verbosa e cattedratica; l’insegnante deve comunque predisporre i materiali tenendo conto del tempo effettivamente disponibile, sapendo che ogni somministrazione avrà la durata di circa 10 minuti, sforzandosi di utilizzare i mediatori didattici più diversi e consoni, i più stimolanti, coinvolgenti, suggestivi, meglio se opportunamente integrati così da intercettare le dominanze cognitive, le intelligenze, le sensibilità percettive dei destinatari, tenendo conto di bisogni speciali, disturbi specifici o necessità particolari. In tal modo si forniscono, direttamente e implicitamente, tecniche espositive delle quali gli studenti possano avvalersi per le loro presentazioni. Va detto, al riguardo, che la diversificazione degli stimoli e la minore esposizione diretta dell’insegnante, consente di affrontare più attentamente e naturalmente eventuali problemi individuali, meno considerati laddove prevalgano didattiche uniformi, unidirezionali. Se il docente scende dalla cattedra privilegiando un insegnamento indiretto e l’uso di supporti e dispositivi tecnologici e audiovisivi, può stare più vicino agli studenti, in particolare a chi sia più bisognoso.

Il metodo da lei proposto tende a responsabilizzare in qualche modo i ragazzi. Eppure da più parti si cerca quasi di screditarne il valore delle nuove generazioni, definendoli “vuoti” e “sbandati”. Cosa ne pensa?

Se anche lo fossero, dovremmo domandarci perché lo siano. Si tratta di ragazzi che hanno trascorso “gli anni migliori della loro vita” a scuola e a svolgere compiti scolastici, ci si dovrebbe perciò interrogare sulla responsabilità di cotanta irresponsabilità. Dovremmo, intanto, domandarci quando gli studenti facciano esercizio di responsabilità reali, quando ricoprano ruoli autenticamente facoltosi: mai o quasi mai; oppure quali siano gli spazi di negoziazione reale loro riconosciuti: pochi o del tutto inesistenti. Sono costretti in una condizione di minorità prolungata a dismisura da una “pedagogia della dipendenza” che li appiattisce nello svolgimento di compiti meramente esecutivi.

Lei è stato il principale promotore di “Basta Compiti!”, che vuole in questo caso, oltre far risparmiare ore di esercizi e compiti a casa o durante le vacanze, responsabilizzare gli studenti con maggiori attività in classe. Si può dire che c’è una continuità fra “Basta Compiti!” e “Studenti in cattedra”, seppur minima?

C’è, eccome! È ampiamente noto che per accrescere le facoltà mentali bisogna disporre delle nozioni basilari, occorre cioè sapere, ma ben più rilevanti sono le modalità di trattamento e uso delle informazioni e, più in generale, la capacità di mobilitare strategicamente le abilità acquisite, di trasferirle in contesti nuovi e diversi. Dunque è necessario imparare, ma è fondamentale imparare a imparare. E la scuola cosa fa? Gli insegnanti danno i compiti a casa, perché gli studenti imparino, memorizzando le nozioni, e imparino a imparare, acquisiscano, cioè, il metodo di studio. Gli insegnanti spiegano a scuola e gli alunni studiano a casa. In altre parole, a scuola s’insegna e a casa s’impara. Uno stupefacente paradosso. Se la capacità di imparare è per gli individui la risorsa più preziosa, allora la scuola dovrebbe considerarla una priorità istituzionale, dovrebbe collocarla al centro della propria riflessione pedagogica, dovrebbe concentrare su di essa il massimo impegno, dispiegare tutti i mezzi disponibili e profondere le migliori energie, dovrebbe farne il cuore della propria mission.

Cosa ne pensa della riforma sulla valutazione e la condotta approvata recentemente dal Governo?

Credo che la scuola debba, innanzitutto “disarmarsi” rispetto alla valutazione, smettere di usare il voto, alla stregua di un’“arma” spesso “impropria” e non di rado letale, nel senso della mortalità scolastica, emendandone la pratica dagli elementi di arbitrio che ne fanno lo strumento principe di un potere esercitato anche abusivamente, con chiaro intento vessatorio. Altro è condividere con gli studenti la valutazione delle conoscenze e delle competenze, ma anche dei processi di apprendimento, dell’efficacia dell’azione didattica, esplicitando e, laddove possibile, discutendo, concordando criteri e strumenti, con il duplice risultato di sollecitare una maggiore attenzione, quando non l’impegno diretto, da parte degli studenti, e di limitarne l’esercizio arbitrario, umorale per non dire ideologico.

Perché quindi condividere la valutazione con gli studenti?

Condividere l’impegno della valutazione può aiutare gli studenti ad acquisire una maggiore consapevolezza di sé e degli altri, un controllo più consapevole del proprio agire, sostenendo gli stessi meccanismi di metacognizione, alla efficace gestione dei quali è per molta parte affidato il successo non solo scolastico. L’autorità della scuola e del docente è in primo luogo un riflesso dell’autorità della cultura; non quella immediata che si respira negli ambienti di vita o attraverso i social, bensì quella elaborata o rielaborata incessantemente dall’educatore, affrontando le sfide del presente anche con gli strumenti offerti dalla grande tradizione del passato. L’autorità affidata al mero esercizio del potere impedisce la crescita, blocca le energie, spegne la vita.

 Orizzonte Scuola

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