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sabato 23 novembre 2024

L'UNICO RE


 --Domenica 24 Novembre 2024--

 NOSTRO SIGNORE 

GESÙ CRISTO 


RE DELL'UNIVERSO



Commento al brano del Vangelo di: Gv 18,33-37

Commento al Vangelo del 24 novembre 2024 a cura di p. Alberto Maggi OSM

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Allora, è il processo a Gesù secondo Giovanni. È il capitolo 18 del suo Vangelo, ed è un processo un po’ strano perché c’è il giudice che ha paura dell’imputato e l’imputato che rivolge le domande al giudice. Poi la sentenza, alla fine, non sarà emessa dal giudice ma dall’imputato.

Perché? Perché, mentre Gesù, legato, è pienamente libero, Pilato, che è libero, in realtà è prigioniero dei condizionamenti: della sua convenienza, del potere che detiene e di quello che soprattutto vede in pericolo e vuole mantenere.

 Pilato, questa volta, rientrò nel pretorio, chiamò Gesù e gli disse: “Tu sei il re dei Giudei?”.

Pilato, che ha partecipato alla cattura di Gesù con l’invio di un battaglione di soldati, vuole rendersi conto in che cosa consista l’accusa che gli hanno fatto. Perché è il primo interrogatorio del procuratore romano a colui che è stato accusato di essere un malfattore.

“Re dei Giudei” era la designazione del Messia, l’atteso liberatore dalla dominazione romana. Quando i capi dei Giudei vorranno accusare Paolo e Sila, riformuleranno la stessa accusa: “Costoro vanno contro i decreti dell’imperatore, affermando che c’è un altro re: Gesù”.

La domanda di Pilato mostra che Gesù è stato accusato di essere un agitatore politico, che vuole mettersi a capo di una ribellione contro l’Impero romano. Uno dei tanti messia che, regolarmente a quel tempo, si rivoltavano contro Roma.

Per esempio, negli Atti si legge di un altro Galileo, il famoso Giuda il Galileo: al tempo del censimento indusse molta gente a seguirlo. Ma anche lui finì male, e quelli che si erano lasciati trascinare da lui si dispersero.

Era tipico, in quell’epoca, che ogni tanto capitasse qualcuno che si metteva a capo di un gruppo. Ma qui Pilato esprime tutta la sorpresa del rappresentante del potere imperiale romano, nel trovarsi di fronte a un uomo che ha tutto, tranne l’apparenza di un pericoloso sobillatore.

Ma Gesù replicò. Gesù non risponde, per ora, a Pilato. Non è per nulla intimidito e, mantenendo la piena padronanza di sé, è lui che gli rivolge una domanda:

“Gesù replicò: ‘Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto di me?'”.

Esattamente come ha fatto con la guardia. Ricordate? Quando la guardia lo ha schiaffeggiato,

 Gesù ha detto: “Oh, se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”.

Gesù invita quindi Pilato a ragionare con la propria testa, a non essere condizionato da quello che gli hanno detto.

Pilato reagisce:

“Pilato reagì: ‘Sono io forse giudeo? La tua nazione e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?'”.

Nella relazione disgustata di Pilato si legge tutto il profondo disprezzo che il procuratore nutriva verso i Giudei. Pilato ricorda a Gesù che è stata la sua intera nazione a rifiutarlo e che i suoi rappresentanti più alti sono quelli che lo hanno denunciato e condotto a lui.

Gesù è stato condotto da Pilato con l’accusa di essere un malfattore, un criminale talmente pericoloso per il sistema che non solo le autorità religiose, i sommi sacerdoti, ma anche il popolo, la “tua nazione”, lo odia.

Lo ritengono più pericoloso dei pur odiati e temibili dominatori, che vengono addirittura adoperati come strumento della loro vendetta. Tutti sono contro Gesù: sia coloro che detengono il potere religioso, sia quelli che sono sottomessi a questo potere.

Gli uni, coloro che detengono il potere religioso, vedono in Gesù una minaccia al proprio prestigio. Gli altri, coloro che sono sottomessi a quel potere, vedono in Gesù una figura che mette in pericolo la sicurezza che il sistema religioso offre.

Si realizza quanto Giovanni aveva annunciato nel Prologo:
“Venni tra i suoi, ma i suoi non lo accolsero”.

Rispose Gesù: “‘Il regno, quello mio, non è di questo mondo’.

Gesù non risponde alla domanda finale di Pilato: ‘Che hai fatto?’, ma solo alla prima, quella che riguardava la sua regalità.
‘Il regno, quello mio, non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei. Ma il mio regno non è di qui'”.

Il regno di Gesù non si fonda sul potere. Per questo la violenza, propria di quanti detengono il potere, non è contemplata nel suo regno. Gesù è venuto a comunicare vita, non a toglierla.

Gesù, il Dio a servizio degli uomini, è venuto a inaugurare un regno dove il re non esercita dominio ma amore. Non usa alcun tipo di violenza e non ha servi, perché non c’è bisogno di servi: lui stesso è il servitore dei suoi.

Gesù afferma che il suo regno non è un reame, nel senso geografico, ma il potere. La sua regalità non è “di questo mondo”. Questo, però, non significa che non sia “in questo mondo”.

L’evangelista non sta contrapponendo il cielo alla terra, ma due mondi differenti:

  • Il mondo di Gesù, quello dell’amore che comunica vita.
  • Il mondo di Pilato, quello dell’odio che uccide la vita.

Nessuna conciliazione è possibile tra questi due mondi:

  •  Il mondo del potere è il regno delle tenebre e della menzogna.
  • Quello di Gesù è il regno della luce e della verità.

L’uno comunica morte; l’altro comunica vita.

Allora Pilato gli disse: “‘Dunque, tu sei re?'”.

Pilato si trova spiazzato da questo individuo, che non dimostra alcun atteggiamento remissivo, pur sapendo di essere di fronte a colui che può condannarlo a morte oppure liberarlo.

Per Pilato, ciò che Gesù afferma è semplicemente assurdo, poiché non vede in questo prigioniero, in questo Galileo, alcuna delle connotazioni che fanno di un uomo un re. La domanda di Pilato, quindi, esprime tutta la sua ironia ma anche la sua curiosità.

Rispose Gesù: “‘Tu dici che sono re’.

A Gesù non interessa il tema della legalità e tronca bruscamente il discorso per portarlo su quello della sua missione.
“‘Io per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità’.

E qui c’è un’affermazione che dovremmo comprendere, perché è strana, non ce l’aspetteremmo:  “‘Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce'”.

Gesù rivela la verità di Dio in quanto manifesta l’amore, e la verità sull’uomo, chiamato a divenire figlio di questo Dio per realizzare il progetto del Padre su di lui.

La frase di Gesù è parallela a quella che ha esposto nel dialogo con il fariseo Nicodemo, quando dice: “‘Chiunque, infatti, fa il male odia la luce; chi fa la verità va verso la luce'”.

Pone così una stretta relazione tra la luce e la voce di Gesù, entrambe condizionate e precedute dalla verità. “Fare la verità”, in opposizione a “fare il male”, significa operare per il bene degli uomini, come si vede dal parallelismo:

  • Quanti fecero il bene.
  • Quanti fecero il male.

Gesù non afferma che chi ascolta la sua voce si situa nella verità, come ci saremmo aspettati. Non dice:
“‘Chiunque ascolta la mia voce è nella verità'”.

Ma invece: “‘Chi è dalla verità ascolta la mia voce'”.

Quindi, appartenere alla verità precede il fatto di poter ascoltare. “Ascoltare” in senso di capire, comprendere la sua voce. È la condizione.

Quindi, non si tratta di avere la verità, perché la verità non è una dottrina che si possiede, ma è un atteggiamento che caratterizza la vita del credente. Per questo Gesù parla di essere nella verità, di fare la verità.

Essere nella verità e fare la verità è ciò che permette l’ascolto e la comprensione del messaggio di Gesù. Significa orientare la propria esistenza a favore del bene dell’uomo, operando in modo da favorire la vita e mettendo sempre il bene dell’altro come principio assoluto della propria esistenza.

Quanti lo fanno sono in grado di ascoltare e di capire la voce di Gesù. Quindi, non chi ascolta la voce è dalla verità, ma chi è dalla verità — cioè chi ha messo la sua vita al servizio degli altri — può ascoltare e capire la voce di Gesù.

Altrimenti, anche se potranno predicarla, non la capiranno. Pertanto, per ascoltare e aderire a Gesù si richiede una disposizione previa d’amore alla vita e all’uomo.

Come ha già detto Giovanni nel prologo: “‘La vita è la luce dell’uomo’”.

Per questo i farisei, che non sono e non fanno la verità, sono refrattari alla voce del pastore.

Pilato rispose: “‘Che cos’è la verità?'”.

Pilato si mostra incapace di cogliere il significato profondo delle parole di Gesù. È un uomo dominato dal potere, dalle convenienze e dai condizionamenti della sua posizione.

Per lui, la verità non è una realtà vivibile, ma un concetto astratto, senza significato pratico. La sua domanda, quindi, non è una ricerca autentica, ma una chiusura.

La verità, come la intende Gesù, è l’amore incondizionato, che si traduce in un dono di vita agli altri. Una verità che non si limita a essere pensata, ma si vive e si manifesta nell’azione.

Dopo aver detto questo, Pilato uscì di nuovo verso i Giudei:  “‘Io non trovo in lui alcuna colpa’”.

Pilato, pur trovando Gesù innocente, non ha la forza di liberarlo. Cede alle pressioni dei capi religiosi e del popolo, dimostrando di essere prigioniero del sistema e incapace di agire secondo giustizia.

Il processo si concluderà con la condanna di un innocente e la dimostrazione del fallimento di un potere che non sa farsi portatore di verità e giustizia.

Riflessioni finali:
Il dialogo tra Gesù e Pilato ci invita a riflettere su quale mondo scegliamo di appartenere:

  • Quello del potere, che divide e uccide.
  • Oppure quello dell’amore, che unisce e dona vita.

La verità, per Gesù, non è una dottrina, ma una vita vissuta nel dono, nel servizio, nella piena adesione al bene degli altri. Solo chi vive questa verità può ascoltare e comprendere la sua voce, entrando a far parte del suo regno.

Conclusione:
Grazie per la vostra attenzione. Che questo dialogo ci aiuti a rinnovare il nostro impegno per vivere nella verità e nell’amore.

Cercoiltuovolto

 

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