per orientarsi
nel caos dei signori della guerra”
-di
Marianella Sclavi*
Una
strada c'è.
La
domanda sempre più all’ordine del giorno è: coloro che oggigiorno non sono né
con Netanyahu né con Hamas, che possibilità hanno di far sentire la propria
voce e di farla valere?
Non
invidio i giovani che si affacciano all’impegno politico di questi tempi.
Gli
sviluppi attuali, specialmente in Israele, presentano risvolti che rendono
molto difficile districarsi e collocarsi.
Ultimamente
in particolare ci troviamo di fronte a un paradosso a tre facce.
Prima
faccia.
Sia
a Gaza che in Cisgiordania è in atto una vera e propria azione sistematica di
pulizia etnica.
Il
governo di Netanyahu ha utilizzato la feroce aggressione del 7 ottobre per
promuovere un progetto che la destra più fanatica ha in mente da sempre:
costringere ad un esodo di massa tutti i palestinesi che ancora vivono nei
territori occupati nel 1967 e costruire la Grande Israele “dal fiume Giordano
al mare”, entro la quale i palestinesi/ israeliani siano e rimangano un esigua
minoranza in condizioni di semi-apartheid.
Seconda
faccia.
L’uccisione
dello storico leader degli Hezbollah, Hassan Nasrallah è stata festeggiata come
una liberazione (per quanto provvisoria) da ampie fette della popolazione sia
siriana che iraniana in lotta contro i loro regimi dispotici in rapporto
simbiotico con gli Hezbollah.
Netanyahu
qui ha indossato le vesti dell’intrepido liberatore e in particolare si è
rivolto al popolo iraniano definendolo “persiano” e promettendo di proseguire
nell’opera di sovvertimento degli oppressivi rapporti di potere dominanti.
Terza
faccia.
La
vera e propria riconoscenza più o meno apertamente manifestata da Usa e Stati
Arabi di impianto sunnita per il famoso “lavoro sporco” di cui Netanyahu si fa
carico al posto loro.
Questo
gli garantisce un supporto internazionale tale per cui il suo ministro degli
esteri ha potuto, come è successo, dichiarare “persona non gradita” il
segretario generale dell’Onu, Antonio Guterrez , accusato di connivenza con
Hamas, Hezbollah e Houtis.
Quindi
Netanyahu si presenta ed è visto al tempo stesso da pubblici diversi come:
terrorista in quanto sterminatore di più di 40mila palestinesi, in gran parte
donne e bambini, come liberatore di popoli contro regimi dispotici e
terroristi, e come solerte servitore degli interessi statali e nazionali delle
principali potenze presenti in Medioriente.
La
Russia costituisce un caso a parte sia perché alleata con il regime di Bashar
al-Assad e con quello degli Ayatollah, sia perché il coinvolgimento dell’Iran
in una guerra con Israele, sottrae missili e droni alla sua guerra di
aggressione in Ucraina.
Torno
alla domanda iniziale, arricchita da questo contorto scenario: coloro che
oggigiorno non sono né con Netanyahu né con Hamas, né con i regimi siriano e
iraniano con annessa Fedederazione Russa, e neppure con gli interessi di Stato
delle potenze arabe con annessa la disastrosa politica estera Usa, che
possibilità hanno di far sentire la propria voce e di farla valere ?
Trovare
una risposta a questa domanda richiede il coraggio di passare dal definirsi
“contro” chi e cosa, al riconoscere che una soluzione di vincitori e vinti è
ormai completamente priva di senso e che si deve e ci si può muovere verso una
società in cui, come sosteneva Martin Buber, sarà normale chiedere all’ex
nemico “raccontami la tua storia”, predisposti ad “ascoltarla senza aprire bocca.”
È
il passaggio compiuto alla fine degli anni ’60 dal movimento per i diritti
civili statunitense e contro la guerra in Vietnam, ed è quello che hanno fatto
i membri del Anc (African National Congress) in Sudafrica quando già nel 1955
hanno mandato 50mila volontari in ogni angolo del Paese a raccogliere le
“domande di libertà” della gente.
Tali
rivendicazioni sono poi state raggruppate in dieci impegni solenni e votate nel
“congresso del Popolo” che si è tenuto a Soweto con 3mila partecipanti nella
forma di un “Freedom Charter” che ha guidato il movimento anti-apartheid nei
decenni seguenti.
Riporto
questi avvenimenti e questa impostazione perché è la stessa che ispira e
caratterizza l’impegno di alcune centinaia di ebrei e palestinesi affratellati
nelle iniziative di resistenza, specialmente in Cisgiordania (perché a Gaza il
governo ha da tempo proibito l’ingresso dei cittadini ebrei) contro il
terrorismo dei coloni.
Entrare
in contatto con la splendida gente che anima le decine di comitati e
organizzazioni di solidarietà contro l’aggressione dei residenti negli
insediamenti illegali appoggiati dall’esercito, fare da megafono non solo alle
loro denunce, ma anche alle loro prospettive politiche rivolte a un futuro di
comune pacifica e creativa convivenza è il modo per stare solidamente dalla
parte di tutti gli oppressi, palestinesi, iraniani, siriani, accogliendo
qualsiasi evento che favorisce il loro sottrarsi all’ oppressione da qualsiasi
parte venga.
Quindi:
meno contro Netanyahu e più a fianco, per esempio, di Yigal Bronner il quale
nella sua lunga intervista pubblicata sull’ultimo numero del mensile Una Città
( N.303/ 2024, settembre ) racconta: “Io lavoro soprattutto nella zona delle
colline a sud di Hebron e nella Valle del Giordano.
Lì
è in corso uno sforzo congiunto di esercito e coloni per fare una vera e
propria pulizia etnica, non tanto nelle città, ma nei villaggi, dove i coloni
controllano la maggior parte del territorio.
Un
paio di settimane dopo il 7 ottobre, mi è arrivato un report da alcuni
attivisti sulla minaccia arrivata a diverse comunità, a cui i coloni avevano
dato 24 ore per andarsene, altrimenti sarebbero stati assassinati.
Quel
giorno abbiamo fatto diverse telefonate, e io mi sono subito messo in viaggio
per recarmi sul posto.
È
da allora, dagli inizi di novembre, che qualcuno di noi è sempre lì a vigilare,
24 ore al giorno, tutti i giorni, con una rotazione di volontari che coprono
diverse di queste comunità sotto attacco.”
E
ancora: “Stasera andrò in questa comunità chiamata Zanuta, composta da circa
150 persone.
Sono
stati cacciati dal loro villaggio lo scorso novembre.
Non
siamo riusciti a proteggerli.
Dopo
che se ne sono andati, sono arrivati i coloni con i bulldozer e hanno raso al
suolo l’intero villaggio.
Non
è rimasta nemmeno una casa, e gli alberi che non avevano sradicato la prima
volta li hanno avvelenati quando sono tornati.
Negli
scorsi mesi c’è stato un appello alla Corte Suprema per denunciare il fatto, e
la Corte ha stabilito che lo Stato doveva consentire alla comunità di fare
rientro al proprio villaggio, e che l’esercito li doveva scortare.
Lo
Stato ha recepito, ma si è espresso chiaramente su una condizione: gli sfollati
non hanno il permesso di ricostruire nulla, né di coprire le macerie con
coperture di plastica, con teli, con nulla che faccia ombra o ripari dalla
pioggia.
Comunque,
dopo molti rinvii da parte dell’esercito, finalmente, lo scorso mercoledì, li
hanno accompagnati, e noi eravamo lì per accoglierli e aiutarli.
Sono
tornati solo gli uomini con le loro greggi di pecore, che sono la principale
fonte di reddito da quelle parti.
Il
fatto è che ogni volta che questi uomini tirano su qualcosa per ripararsi dal
sole, la cosiddetta “amministrazione civile”, che di fatto è l’esercito, arriva
e tira giù tutto, confiscando il telo “illegale””
Meno
contro Netanyahu e più a fianco di Jeff Halper, arrivato in Israele dagli Usa
all’inizio degli anni ’70, il quale oltre ad operare sistematicamente per
impedire l’abbattimento delle abitazioni dei palestinesi, ha elaborato con una
vasta rete di attivisti una road map su come arrivare alla costruzione di uno stato unico per due nazioni (cf J
Halper: Decolonizing Israel, lIberating Palestine, Pluto Press, prima ed 2021)
Meno
contro Netanyahu, e più a fianco di questi coraggiosi esseri umani, perché sono
gli unici a possedere l’ingrediente fondamentale: la fiducia fra diversi.
Sono
ben consapevoli che la fiducia è la pietra fondativa senza la quale non c’è
alcun sicuro approdo e da decenni dimostrano di saperla difendere non solo
contro le minacce delle armi, ma ancor prima contro quelle dell’indifferenza,
del senso di impotenza e dello scetticismo.
Accanto
a loro, si può vincere.
*Marianella Sclavi ha insegnato Etnografia urbana al Politecnico di Milano. Esperta di Arte di Ascoltare e Gestione Creativa dei Conflitti, è tuttora molto attiva come facilitatrice di metodologie partecipative e processi decisionali inclusivi. È autrice di numerosi libri fra i quali Arte di ascoltare e mondi possibili (Bruno Mondadori), La signora va nel Bronx (Bruno Mondadori), A una spanna da terra (Bruno Mondadori), la graphic novel Ciao mamma, vado in Cina! (Ipoc press), e, come coautrice, di Confronto Creativo (con Lawrence Susskind, Et Al Edizioni) e Avventure Urbane. Progettare la città con gli abitanti, (Eleuthera). Per Feltrinelli Urra ha pubblicato, insieme a Gabriella Giornelli, La scuola e l’arte di ascoltare. Gli ingredienti delle scuole felici (2014).
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