Vale la pena di prendere sul serio le riflessioni del vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, presidente della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo della CEI, riportate in un articolo che compare sul n. 7/8 di Rivista del Clero Italiano, storica testata di Vita e Pensiero.
Il titolo è già un programma: Insegnamento, religioni, spazio laico. Verso un nuovo statuto dell’ora di religione nella scuola pubblica.
di:
Brunetto Salvarani
Tra
i motivi che, a suo parere, spingono a pensare a un nuovo statuto dell’ora di
religione c’è la consapevolezza di vivere un pluralismo religioso del tutto
inedito, nel quadro di quello che papa Francesco insiste a definire un
cambiamento d’epoca: «uno statuto che contribuisca alla creazione di una
civitas ecumenica, capace di riconoscere e apprezzare le differenze. In questa
luce la Chiesa cattolica potrà fare un passo indietro, rinunciando a uno spazio
che le spetta di diritto in nome del Concordato, per aiutare la società a fare
un passo avanti».
Oggi
– sostiene il vescovo – è necessario un insegnamento che riconosca e includa le
altre confessioni e religioni, senza trascurare quanti, in ricerca, non sono
legati ad alcuna religione: «In questa prospettiva si può immaginare
l’insegnamento della religione in chiave interreligiosa. Anzi, di più: se la
cultura religiosa è chiamata a essere parte delle conoscenze e delle competenze
dello studente in formazione, possiamo ipotizzare un insegnamento della
religione per tutti, superando l’equivoco della facoltatività».
Si
aprono, ora, diversi interrogativi, ma l’autorevolezza della firma e le ragioni
della proposta non possono essere facilmente accantonati. «Come essere Chiesa
in uscita nello spazio pubblico?», si domanda – e ci domanda – don Derio. Si
aprirà un dibattito al riguardo? Me l’auguro vivamente. Qui scelgo di toccare
appena alcuni punti, per contribuire a rilanciare la questione. Chiaramente
delicata, ma insieme strategica.
Le
ragioni di una reticenza
È
impressionante la reticenza con cui, in ciò che resta del mondo cattolico, si
riflette sulla situazione dell’ora di religione cattolica (tecnicamente, IRC)
nelle scuole italiane. Meglio, potremmo dire non si riflette, per più di un
motivo: paura di perdere un privilegio acquisito da tempo, scarsa volontà di
aprire un possibile contenzioso con lo Stato, sottovalutazione del calo
progressivo di quanti aderiscono all’IRC, e si potrebbe continuare.
Una
questione che, peraltro, s’intreccia con altre delle quali, pure, ben poco (e
male) si ragiona: dal dramma cronico dell’analfabetismo religioso all’amara
constatazione di quanto pesi sulla fragile identità cattolica dei nostri
connazionali l’assenza della conoscenza della Bibbia nei circuiti culturali, e
non solo in quelli. Fino al relativo interesse con cui pensiamo al ruolo della
scuola, conclusasi la stagione gloriosa dell’associazionismo cattolico di
impegno pedagogico e didattico, di cui fa fede la morìa delle riviste
specializzate e dell’editoria storica non meno che delle figure di riferimento.
Quella scuola che, del resto, permane l’unico ambito sociale in cui sono
destinati a transitare prima o poi tutti gli italiani, in veste di discenti,
docenti o genitori…
Post-secolarizzazione
Per
cogliere la necessità di uno sguardo nuovo sulla religione a scuola, basterebbe
partire da un dato oggettivo. La revisione del Concordato fra Santa Sede e
Repubblica italiana del 1984, quella che ha rifiutato l’ipotesi sul tappeto,
detta «doppio binario» (un insegnamento curriculare per tutti e uno facoltativo
gestito dalle singole confessioni religiose) e che ha sancito l’attuale
situazione dell’IRC, fu pensata e firmata in un contesto storico e culturale
abissalmente distante da quello odierno, in cui – per dire – erano ancora in
piedi il Muro di Berlino e le Twin Towers a New York, la secolarizzazione
sembrava aver trionfato sul bisogno di sacro e con essa la sensazione che più
modernità equivalesse a meno religione.
Ora,
al crollo simbolico e reale di quei muri si accompagna ciò che chiamiamo
post-secolarizzazione, e la convinzione diffusa che con le religioni (al
plurale) non si possa non fare i conti sul piano sociale e culturale, in un
quadro di religiosità fluide, porose, post-moderne. A partire proprio da quel
plurale – le religioni –che rappresenta lo scenario con cui è necessario
confrontarsi per quanti intendano cogliere gli attuali segni dei tempi.
Materia
incandescente e spinosissima, ovvio, soprattutto in stagioni, quali la nostra,
ricca di identitarismi e di sordità reciproche fra nuovi clericalismi e
laicismi impenitenti, molto più che di dialogo e di ospitalità. Proprio per
questo, peraltro, l’ambito scolastico sarebbe chiamato a un supplemento di
responsabilità, pena il divenire lo spazio principe per strumentalizzazioni e
banalizzazioni varie.
Pensiamo,
ad esempio, ad annose querelle che si ripresentano stancamente, e puntualmente,
ogni anno, come presepe sì – presepe no e velo sì – velo no…
L’ignoranza
della Bibbia
L’inatteso
pluralismo delle confessioni di fede che ci sta attraversando e ha ormai messo
radici è infatti destinato a porre a dura prova la tradizionale ignoranza
italiana in campo religioso, invitando l’universo della scuola e della
formazione permanente a un impegno più serio e approfondito al riguardo.
Sarà
impossibile, in ogni caso, continuare a considerare il fatto religioso come un
elemento puramente individualistico o folkloristico, privo d’influssi
culturali, economici e sociali.
Come
ogni novità, un panorama simile potrà provocare paure e indurre a chiusure
intellettuali, e lo sta facendo, ma altresì stimolare a un autentico salto di
qualità, se sarà vissuta con la necessaria laicità (dato che una laicità aperta
è il presupposto di ogni sano pluralismo).
Ecco,
dunque, in Italia e in Europa, in negativo, i preoccupanti indizi di un
risorgente antisemitismo, di un’islamofobia e di un antiziganismo montanti, di
un’intolleranza crescente nei confronti dell’immigrazione dalle nazioni più
povere, di un razzismo più o meno strisciante, e così via. Ma anche segni di
speranza e buone pratiche…
Quasi
vent’anni fa, nell’ottobre 2007, il Ministero dell’Istruzione metteva a punto
un documento dal titolo emblematico – La via italiana alla scuola
interculturale – in cui si poteva leggere: «A titolo esemplificativo, in attesa
di ulteriori approfondimenti collegati alle nuove indicazioni e alla revisione
dei curricoli della scuola, si segnala la necessità di superare le proposte
marcatamente identitarie e eurocentriche nel campo dell’insegnamento della
storia, concettualizzando il nesso storia-cittadinanza; di considerare la
geografia un’occasione quanto mai privilegiata per la formazione di una
coscienza mondialistica; o l’opportunità di allargare lo sguardo degli alunni
stessi in chiave multireligiosa, consapevoli del pluralismo religioso che
caratterizza le nostre società e le nostre istituzioni educative e della
rilevanza della dimensione religiosa in ambito interculturale» (corsivo mio).
Si
trattava, direi, di un buon punto di partenza… rimasto, di fatto, lettera
morta. Di fronte a tale scenario, in costante trasformazione, il sistema
ipotizzato all’epoca dal Concordato Craxi-Casaroli appare oggi giocoforza
inadeguato, complice de facto non solo dell’odierno stato di analfabetismo
religioso ma anche dell’ignoranza quasi assoluta della Bibbia, Grande codice
dell’immaginario occidentale.
Cose
sotto gli occhi di tutti, volendo essere intellettualmente onesti: peraltro,
visto che mi capita spesso di avere a che fare con docenti di IRC in genere
preparati, dotati di buona professionalità e disponibili al confronto con il
cambiamento, ma anche consapevoli del disagio che essi stessi vivono
quotidianamente, credo si tratti di una questione di sistema, non di persone né
di programmi. Inevitabilmente, la loro è una materia dimezzata… ben al di là
delle statistiche sugli avvalentisi.
Inoltre,
il prima possibile, sarebbe importante sanare quell’increscioso vuoto culturale
o insulto pedagogico, come è stato definito, creato dalla pressoché totale
assenza di una qualche materia alternativa, che, per esclusiva competenza
statale, dovrebbe comunque essere assicurata, nel curricolo degli alunni che
non si avvalgono dell’offerta confessionale.
Il
Fattore R
Compete
al sistema scolastico il ruolo di alfabetizzare la totalità degli alunni sulle
grandi aree dell’esperienza umana, compresa l’area dell’universale esperienza
simbolico-religiosa, alla cui lettura critica si dedicano, con serietà di
metodi e plausibilità di risultati, non poche scienze storiche, filologiche,
ermeneutiche, teologiche, e così via.
Mi
pare evidente, in tale prospettiva, che l’aspetto della confessionalità
dell’insegnamento religioso in Italia risulti anacronistico, a cominciare dalla
stessa sua dizione, Insegnamento della religione cattolica, come se quella
cattolica fosse una religione e non una confessione cristiana accanto alle
altre. Così come il meccanismo attuale di scelta dei docenti, che registra il
protagonismo dei vescovi ma sovente mette a disagio chi è coinvolto (per più di
un motivo, essendo una gabbia insieme dorata e precaria).
Sarebbe
un segnale importante se la Conferenza episcopale, sulla linea dell’analisi del
vescovo Olivero, accettasse di avviare una ridiscussione con le autorità
competenti, in un dibattito franco e aperto: ne guadagnerebbero i docenti di
IRC, condannati a percepirsi e a essere percepiti necessariamente di serie B
rispetto agli altri a dispetto dell’avvenuta messa in ruolo di diversi fra
loro, ma anche gli studenti tutti (certo, si potrebbe rispondere, ma l’attuale
Parlamento avrebbe interesse ad affrontare una questione così spinosa? non c’è
che da verificarlo…). Per non parlare – e si dovrebbe farlo – del regime di
facoltatività dell’insegnamento religioso, che fa acqua da ogni parte e non fa
giustizia del legittimo diritto degli studenti italiani di ricevere dalla
scuola, tutti nessuno escluso, una seria competenza sul Fattore R (come
Religione), elemento decisivo per capire le dinamiche storiche del mondo ma
anche la condizione geopolitica odierna. Come è apparso evidente negli ultimi
anni, cercando di cogliere le ragioni profonde dei conflitti fra Russia e
Ucraina e di quello israelopalestinese, ad esempio.
Il
Libro sacro degli altri bambini
«La
Chiesa desidera entrare nella scuola» – scrive don Derio – «per contribuire non
tanto a educare dei credenti, ma dei cittadini. Cittadini capaci di abitare
questo tempo, plurale e post-secolare. Capaci di capire questo tempo e di
impegnarsi a costruire una società in dialogo nelle differenze, in pace».
In
tale prospettiva, credo occorra muoversi nell’ottica di un sistema
multireligioso in cui sia lo Stato, attraverso i suoi docenti, a educare alla
cultura religiosa delle diverse fedi, ovviamente tenendo anche conto
dell’incidenza preponderante della cultura cristiano cattolica nel nostro
Paese, sul piano storico, sociale e antropologico. Un insegnamento di tutte le
religioni, aconfessionale e destinato a tutte/i, senza alcuna facoltatività.
Realisticamente,
esso potrebbe essere tenuto dagli attuali docenti di IRC, in attesa che si
formino e crescano anche insegnanti provenienti dalle università, sottoposti
allo stesso regime degli altri docenti, con regolari concorsi (da qualche anno,
fra l’altro, c’è stato il ritorno degli insegnamenti di teologia nel sistema
universitario italiano, a centocinquant’anni dalla soppressione nelle
università italiane di quelle facoltà di teologia che ci sono da sempre in
Germania, Svizzera, Belgio, Inghilterra, e perfino in Francia). Sarebbe la fine
di un’anomalia tutta italica, figlia di una stagione superata e, ritengo, non
più destinata a riproporsi.
Da
parte mia (sono per formazione docente di lettere nei licei), penso sia
opportuno che, per evitare di essere inserita in un quadro di multiculturalismo
separatista – con relativo rischio di balcanizzazione delle diverse ore delle
singole religioni –, un’ipotesi del genere debba trovare la sua collocazione
all’interno di una prospettiva pedagogica interculturale e dialogica (pena il
rischio di trovarsi di fronte, in un prossimo futuro, all’ora di islam, quella
di buddhismo, e così via). Perché solo una scuola che favorisca e promuova il
dialogo interreligioso e interculturale sarà in grado di contribuire a
rafforzare il fondamento della civiltà e della convivenza sociale.
Con
ragione Amos Luzzatto, il grande intellettuale ebreo scomparso alcuni anni fa,
sosteneva che ogni bambino ha il diritto di leggere il Libro sacro degli altri
bambini, «poiché fino a quando i cattolici leggeranno solo il vangelo, gli
ebrei solo la Torà e i musulmani solo il Corano sarà impossibile realizzare una
vera integrazione a scuola e nella società».
Possiamo
parlarne, finalmente?
Settimana
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