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sabato 8 giugno 2024

IL SEGRETO DELL'OPERA D'ARTE

 


La creazione, a ben guardare, non è affatto l’opposto della ripetizione, ma una sua piega interna, una sua torsione singolare. 

- di Massimo Recalcati


Per un verso l’atto creativo somiglia a un taglio traumatico che separa l’artista dal mondo come già visto e già conosciuto. Si tratta di dare luogo a un altro mondo – il mondo dell’opera – rispetto a quello in cui siamo immersi.

 In questo senso esiste una frattura netta tra creazione artistica e ripetizione. La prima si realizza solo nell’interruzione della seconda. È la stretta parentela dell’opera d’arte con la dimensione dell’evento. L’evento dell’opera si dà come sospensione dell’ordine consolidato del mondo e come apertura verso un altro mondo possibile. Per questo è indispensabile un tempo di oblio, un’immersione, uno sprofondamento, un turbamento che conduce verso il reale «più reale», come direbbe Tàpies. È necessario, cioè, allontanarsi, sbandare, smarrirsi, uscire fuori dalla scena appaesante (già vista e già conosciuta) del mondo. Ogni atto di creazione avviene sullo sfondo di un’assenza, genera un vuoto al fine di aprire uno spazio nuovo. Per un altro verso, però, la pura contingenza del gesto creativo implica intimamente la dimensione necessaria della ripetizione.

Siamo qui su di un bordo che da una parte confina con la libertà della creazione e, dunque, con un tempo in aperta discontinuità con la ripetizione e, dall’altra, con una profonda necessità, con la dimensione dell’inesorabile del reale, con la presenza incalzante della ripetizione. Attraverso il particolare itinerario artistico di Antoni Tàpies, ho voluto frequentare questo confine mostrando come il gesto creativo, pur avendo la natura traumatica di un taglio che disfa l’ordine necessario della ripetizione, non può mai prescindere da essa. Se, dunque, da un lato, dobbiamo concepire il gesto dell’artista come una creazione ex nihilo – dal nulla –, un atto eretico che perfora la superficie consistente del già conosciuto e del già visto, dall’altro però la contingenza di questo atto non può non portare con sé la memoria della sua provenienza, non può che inscriversi nel solco di una ripetizione necessaria.

 La creazione, infatti, a ben guardare, non è affatto l’opposto della ripetizione, ma una sua piega interna, una sua torsione singolare. Ogni artista si trova, nello stesso tempo, libero e vincolato, aperto e costretto, esposto alla contingenza creatrice del suo atto creativo e condannato all’inesorabilità necessaria della ripetizione. È questo il paradigma- Tàpies che cerco qui di costruire. È la stessa dialettica che la psicoanalisi ritrova al centro del processo di soggettivazione che essa mobilita in ogni cura: il soggetto è tenuto a trovare il proprio stile attraverso la ripresa continua della sua provenienza grazie all’incontro contingente con l’analista. Il tempo della ripetizione si annoda così originalmente a quello della differenza: un’analisi è lo sforzo del soggetto per costituirsi come tale attraverso un’invenzione che non può però che avvenire sullo sfondo della ripetizione che lo ha costituito. È quanto si trova anche in tutti i grandi artisti: ogni atto creativo separa l’opera da tutto ciò che è già accaduto, dal passato sedimentato della storia dell’arte, ma lo può fare solo immergendosi pienamente nella ripetizione di quella storia.

 È da questa prospettiva che bisognerebbe ripensare il rapporto tra la biografia e l’opera sul quale molta psicoanalisi applicata all’arte si è esercitata. Se l’opera non scaturisce deterministicamente dalla biografia – come, appunto, una cattiva psicoanalisi ha invece creduto cedendo alle illusioni di una lettura solo patografica dell’opera d’arte –, la biografia è sempre immersa nell’opera, al punto che è l’opera stessa che finisce per rivelare la verità più radicale della biografia. Non è l’opera, dunque, a essere determinata univocamente dalla biografia, ma si fa essa stessa strutturalmente biografica. È uno dei grandi temi sollevati dal paradigma-Tàpies: non c’è la biografia da una parte e l’opera dall’altra; non c’è la biografia che spiega l’opera, né l’opera come prodotto della biografia. 

Piuttosto, l’opera illumina retroattivamente la biografia in modo inatteso.

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