NON
LASCIAMO SOLI I RAGAZZI
Cos’è
una comunità educante? A metà del secolo scorso il dibattito ha diviso a lungo
il mondo della pedagogia.
- - di Luciano Moia
-
Non
senza polemiche, superando anche il terremoto ideologico del ’68, si è arrivati
a parlare di comunità educante in riferimento a quell’alleanza in cui tutti gli
adulti che si occupano della crescita psico-fisica di un bambino e della sua
maturazione umana e cognitiva condividono gli stessi obiettivi e parlano un
linguaggio comune, autorevole, affidabile, ciascuno nella specificità del suo
ambito. Un patto ideale che, con la delega dei genitori, vede insegnanti,
catechisti, allenatori sportivi e altre figure adulte offrire competenze
tecniche ed esperienza umana in dialogo concorde.
Sorridiamo?
Sì, ma per non piangere di fronte al baratro che oggi separa questi buoni
auspici dalla nostra realtà educante segnata da costante e denigratorio
antagonismo. Gli incontri tra genitori e insegnanti sono più spesso scontri tra
sindacalisti dei figli e difensori di scelte didattiche. E quando ci spostiamo
dall’aula alla palestra o al campo sportivo, ecco i padri ultras disposti alle
violenze più intollerabili.
È
così difficile comprendere che il peggior servizio reso ai nostri figli è la
conflittualità permanente tra gli adulti che si occupano
a vario titolo della loro educazione? Pensiamo di difenderne i risultati
scolastici o la carriera sportiva, ma facciamo solo passare l’idea che
l’incapacità di comprendere le ragioni dell’altro, il contrasto verbale o
addirittura il litigio sono la modalità ordinaria per gestire le relazioni. E,
ancora peggio, che le idee degli adulti sono spesso tanto confuse da essere
inconciliabili. E così tutti insieme, genitori compresi, perdiamo fiducia e
credibilità ai loro occhi.
Quando parliamo di emergenza o di povertà educativa – ne diamo conto anche oggi,
nelle pagine di attualità – non dimentichiamo questo punto di partenza. Non c’è
strategia politica né economica che possa sostituire la ricomposizione in
qualche forma di quella da oltre mezzo secolo cerchiamo di definire comunità
educante. Se non riusciremo a dare nuovo slancio a questa alleanza, le tante
emergenze educative finiranno per diventare sempre meno gestibili. E
rischieranno di finire nel vuoto anche i ripetuti allarmi, come quello diffuso
nei giorni scorsi con la ricerca Save the Children-Caritas, secondo cui
sarebbero circa 100mila i ragazzi di 15-16 anni in condizioni di povertà. Per
affrontare situazioni tanto drammatiche e tanto complesse non bastano i finanziamenti
– sempre che ci siano – non bastano nuove strutture, non basta neppure offrire
un generico sostegno alle famiglie. Serve, appunto, un progetto condiviso,
un’idea strutturata, un obiettivo su cui sintonizzare pensieri ed energie.
L’educazione è una questione troppo seria per potersi illudere di vincere da
soli. Anche la famiglia più “funzionale” e più competente finirà per apparire
inadeguata su una barca sociale in cui ciascuno rema in direzioni diverse e
ostacola lo sforzo degli altri. Al contrario, in una cornice culturale
generativa, dove nessuno imputa agli altri la difficoltà dell’impresa – che
parlando di educazione rimane mastodontica – ma dove si respira una sostanziale
condivisione di fondo, anche le scelte più impegnative potranno essere più facilmente
accolte.
È
così difficile, per esempio, immaginare un fronte comune sull’educazione
digitale, una tra le urgenze non rinviabili di questi anni? Abbiamo gruppi
sempre più consistenti di genitori, ma anche di insegnanti e di educatori,
schierati insieme, attraverso iniziative chiamate non a caso “patti digitali”
per rendere più consapevoli i nostri minori sui rischi del web senza che la
tutela diventi repressione, ma sia soprattutto promozione delle qualità
personali e aiuto all’assunzione di nuove responsabilità. E perché non ci può
essere un “patto ecologico” capace di dare coesione, anche sul fronte
educativo, alle nuove sensibilità e al nuovo desiderio di partecipazione
innescato anche grazie alla Laudato si’ e ai gruppi nati intorno all’enciclica?
Sono temi che toccano da vicino i ragazzi, che parlano direttamente al loro
cuore, tanto che la cosiddetta eco-ansia vissuta da molti giovani è un pensiero
che tormenta e assilla quanto più si dilazionano gli interventi in un balletto
di posizioni contrastanti.
Ma l’ambito forse più drammatico in cui si misura lo
sgretolamento della comunità educante è quello che riguarda l’inclusione delle
persone fragili, dei tanti diversi, dei minori stranieri che saranno i cittadini
del futuro. Qui davvero sarebbe necessario uno sguardo univoco e una voce
concorde di accoglienza, non solo per mettere a tacere discriminazioni di
qualsiasi genere, ma per sollecitare chi deve prendere decisioni fondamentali a
non indugiare oltre. Servono insomma nuove idee per ridare senso e cittadinanza
al vecchio ma insostituibile concetto di comunità educante. Senza un “noi”
rinnovato nei propositi e nelle strategie rischiamo anche sul fronte educativo
la deriva dell’inconsistenza. Chi ha buone idee per rifondare il patto si
faccia avanti.
www.avvenire.it
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