UN PRESEPE CHE ... DISTURBA
e una laicità che desertifica
- di Giuseppe
Savagnone*
Dibattito
sul presepe
Sta
facendo discutere una proposta di legge – presentata al Senato, l’11 dicembre
scorso, da una parlamentare di FdI, Lavinia Mennuni – che “vieta di vietare”,
nelle scuole pubbliche, l’allestimento del presepe, così come ogni altra
esibizione di «simboli religiosi, storici e culturali, i quali sono espressione
valoriale della tradizione identitaria del popolo italiano».
Per
quei dirigenti o quei collegi di docenti che ostacolassero simili iniziative
scatterà, qualora il DDL venisse approvato, «un procedimento disciplinare
secondo le norme».
Va
subito precisato che il testo non rende il presepe «obbligatorio», come
impropriamente hanno denunciato alcuni quotidiani (lo stravolgimento
dell’informazione evidentemente non è una prerogativa solo dei giornali di
destra…), ma esclude solo che se ne vieti la realizzazione, là dove essa venga
richiesta da genitori o studenti.
Resta
l’inopportunità di un intervento che, oltre a violare palesemente il principio
dell’autonomia dei singoli istituti, pretende di tutelare una identità
culturale blindandola con sanzioni giuridiche. «Bisogna certamente tener
presenti le tradizioni del Paese, ma imporle per legge è fuori luogo» ha
commentato sobriamente Antonello Giannelli, presidente nazionale
dell’Associazione presidi (Anp).
Altri
hanno discusso la proposta della senatrice di FdI entrando nel merito, con una
presa di posizione che sembra riguardare non solo la proposta della senatrice,
ma anche la legittimità della presenza del presepe nelle scuole pubbliche. Come
Gianna Fracassi, segretaria Cgil scuola: «Tutti si devono ricordare che viviamo
in un Paese laico, la scuola è laica».
Perché,
al di là della goffaggine del rimedio proposto, il problema esiste davvero e
anche quest’anno, in qualche istituto si ripropone. Motivazione ricorrente:
rispetto nei confronti degli studenti non cristiani. Ma il problema riguarda, a
monte, il Natale.
È
dello scorso ottobre la proposta dell’Istituto universitario europeo di Fiesole
di sostituire la denominazione tradizionale di questa ricorrenza con quella di
«Festa d’Inverno», sempre con l’obiettivo di evitare ogni esclusione e
discriminazione.
E
già nell’ottobre 2021, in un documento interno – poi ritirato – della
Commissione europea, intitolato «Linee guida per la comunicazione inclusiva»,
si consigliava di evitare la parola «Natale», sostituendola con quella, più
neutra, «vacanze».
Il
problema della laicità (e del modo di intendere la fede)
Qualche
considerazione. La prima riguarda il rapporto tra segni religiosi e laicità
della scuola. Principio di per sé inoppugnabile, ma che può essere interpretato
in diversi modi.
La
logica a cui sembra ispirarsi la segretaria della Cgil scuola è quella della
cosiddetta “laicità alla francese”, che nega l’uso del velo – anche là il
problema è nato nelle scuole – e che per legge confina la sfera religiosa
nell’intimo delle coscienze, escludendone le manifestazioni esteriori. Nella
convinzione di realizzare, così, una perfetta imparzialità dello Stato e di
garantire a tutti la stessa partecipazione alla cittadinanza.
Ma
veramente rispettare le persone significa costringerle a rinunziare alla piena
esplicazione della propria fede? Le religioni non sono solo esperienze
spirituali intime, ma pretendono di plasmare integralmente la vita di coloro
che le professano. E dietro la “neutralità” di questa laicità c’è una precisa
ideologia, che nega loro questo diritto in nome della pretesa dello Stato di
essere l’unico protagonista della vita pubblica.
Ma
gli esseri umani vanno rispettati e riconosciuti non solo nella loro vita
interiore, bensì in tutta la ricchezza della loro esperienza, per cui
appartengono a concrete comunità e ne condividono le pratiche, le tradizioni, i
costumi. Considerare lo spazio pubblico come un territorio neutro, da cui
escludere le identità culturali e religiose presenti in una società, significa
in realtà destinarlo ad essere non «di tutti», ma di nessuno
Tradizione
cristiana del popolo italiano e musulmani
Questo
vale a maggior ragione quando è in gioco la tradizione culturale e religiosa di
un popolo. Un paese non può e non deve, per un malinteso rispetto nei confronti
degli altri, abdicare alla propria identità culturale e spirituale.
L’Italia
non può diventare un contenitore vuoto, tanto più che la maggior parte di
coloro chiedono di essere accolti hanno invece una forte identità religiosa.
Sarebbe un suicidio che non gioverebbe neppure al dialogo, perché per dialogare
bisogna essere innanzi tutto se stessi.
In
realtà appare fondato il sospetto che la sempre più diffusa rinunzia alla
nostra tradizione non derivi tanto dal rispetto verso gli altri, quanto da uno
svuotamento interiore della nostra società, la cui sola religione, ormai, è il
consumismo, con i suoi onnipresenti simboli pubblicitari (la cui pervasività
nessuno contesta).
Peraltro,
che le resistenze nei confronti del presepe abbiano poco a che fare col
rispetto verso i credenti di altre religioni lo dimostra il fatto che i
musulmani – i quali ne rappresentano di gran lunga la percentuale maggioritaria
– in realtà non possono minimamente sentirsi offesi dalla nostra celebrazione
del Natale, perché condividono con i cristiani la fede nel mistero della
nascita verginale di Gesù.
Nel
Corano la sola Sura dedicata a una donna lo è a Maria e vi viene narrata la
scena dell’annunciazione e del concepimento del Signore (sia pure come profeta
e non come Figlio di Dio). Sono gli europei, non i musulmani, a non crederci
più.
Il
migrante è Gesù
Colpisce,
poi, che a ergersi a difesa del presepe e del Natale sia, in Italia, un partito
della destra al governo. Non è una novità, peraltro. Salvini si è più volte
presentato ai comizi con il vangelo o il rosario in mano, per rivendicare la
sua missione di tutore dei valori cristiani.
Il
punto è che l’ispirazione evangelica di una linea politica va misurata non
sulla ostentazione di simboli esteriori, bensì sui suoi contenuti. Ora, quella
dei partiti al governo su un problema fondamentale – quello dell’accoglienza
degli stranieri – non è compatibile con lo spirito del messaggio di fraternità
universale di Gesù. Come in pochi altri casi, su questo punto non si tratta di
interpretazioni, ma della lettera stessa dei vangeli.
In
quello di Matteo, al ca.25 (34-40 e 43-46), parlando del giudizio finale,
Cristo dice ad alcuni: «“Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità
il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.
Perché
io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da
bere; ero forestiero e mi avete ospitato (…)”. Allora i giusti gli
risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo
dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto
forestiero e ti abbiamo ospitato (…)”? Rispondendo, il re dirà loro: “In verità
vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei
fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”».
Agli
altri, che chiama «maledetti», dice fra l’altro: «Ero forestiero e non mi avete
ospitato». «Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando mai ti abbiamo
visto affamato o assetato o forestiero (…) e non ti abbiamo assistito?”. Ma
egli risponderà: “In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose
a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me”».
L’attacco
dei giornali di destra alla Chiesa
Una
riprova di questa radicale divergenza è la recente campagna diffamatoria
condotta dai giornali di destra nei confronti di quei vescovi che, nello
spirito della loro missione, hanno dato dei contributi economici all’attività
della Ong Mediterranea di Luca Casarini. La quale però non ha potuto mai
esibire alcun minimo elemento di illegalità, al di fuori dell’accusa – da
provare – di «favoreggiamento dell’immigrazione clandestina».
In
realtà questo furioso attacco alla Chiesa mira a screditarla agli occhi dei
fedeli, gettando dei dubbi sulla destinazione delle loro offerte. L’obiettivo
evidente è di costringerla a mutare la propria linea nei confronti dei
migranti, che è in aperto contrasto con quella, ostile e difensiva, a cui il
nostro governo ispira, da quando è in carica, la sua politica.
Da
qui le leggi volte ad ostacolare l’attività di soccorso delle navi delle Ong e
scoraggiare così le partenze, lasciando annegare i naufraghi. Da qui gli
accordi con governi non democratici per trattenere i migranti in campi di
concentramento sulle coste dell’Africa. Da qui il progetto di spedire quelli
che arrivano in un campo di detenzione in Albania.
La
Chiesa, però, non si è lasciata intimidire. La CEI ha risposto dando la sua
incondizionata solidarietà ai vescovi attaccati e rivendicando la piena
correttezza della loro scelta di sostenere economicamente l’attività di
salvataggio dei naufraghi nel mediterraneo. Ha inoltre bollato come
«strumentale e improprio» l’uso che gli organi di informazione della destra
hanno fatto delle chat relative alla vicenda, con uno stile giornalistico che,
hanno sottolineato, «merita sdegno e disappunto».
Ma
soprattutto papa Francesco, qualche giorno fa, durante una udienza generale in
Sala Nervi , ha voluto esprimere con chiarezza il suo punto di vista: «Saluto
anche il gruppo di “Mediterranea Saving Humans”, che è qui presente, e
che va in mare a salvare i poveretti che fuggono dalla schiavitù dell’Africa.
Fanno un bel lavoro questi: salvano tanta gente, tanta gente».
La
solitudine del bambino Gesù
Prese
di posizione pubbliche, fatte da rappresentanti autorevoli della comunità
ecclesiale, certo non compatibili con il concetto di laicità che vorrebbe
relegare la fede nella sfera interiore e privata, senza alcuna ricaduta nella
vita sociale e politica. Ma questo – almeno secondo i vescovi italiani e
Bergoglio – non è il cristianesimo.
Non
meno radicale, anche se di segno opposto, l’equivoco di quanti invece
pretendono di difendere i valori della tradizione cristiana. Forse la senatrice
Mennuni, nel fare la sua proposta relativa al presepe, non aveva presente il
passo di Matteo sull’accoglienza dei forestieri. Avrebbe scoperto che la linea
del suo partito è in radicale contrasto con quella tradizione.
Così,
stretto fra una secolarizzazione che lo vuole espellere dalla vita pubblica e
una strumentalizzazione che lo riduce a un mero “simbolo identitario”, svuotato
del suo reale contenuto religioso, il presepe rischia davvero di perdere il suo
significato. O forse può ancora averne uno, quello di estrema testimonianza che
Dio viene percepito dagli uomini come uno straniero. E che, alla fine, il
clandestino è Gesù.
*
Scrittore
ed Editorialista.
Responsabile
del sito della Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo, www.tuttavia.eu
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