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venerdì 17 febbraio 2023

LA LUNGA NOTTE DELLA POLITICA

DOVE VA 

LA 

POLITICA ?

- di Giuseppe Savagnone*

 

Una nuova stagione di “magnifiche sorti e progressive”

Le ultime elezioni regionali in Lombardia e nel Lazio hanno segnato, per unanime riconoscimento (anche da parte degli sconfitti), il trionfo dei partiti di destra al governo, che hanno ottenuto in entrambe la maggioranza assoluta dei suffragi.

A esultare sono stati soprattutto i giornali governativi, che hanno contrapposto questi risultati elettorali al clima del festival di Sanremo: «La Sinistra vince solo a Sanremo», ha titolato «La verità». «Altro che Sanremo. Canta la Destra», è stato il titolo di «Libero». E «Il Giornale»: «Effetto Fedez & C.: Sinistra asfaltata».

L’euforia dei vincitori è stata ulteriormente accresciuta dalla sentenza che, qualche giorno dopo, ha assolto con formula piena uno dei tre leader della coalizione governativa, Silvio Berlusconi, dall’accusa di corruzione mossagli nel processo Ruby ter. Una pronunzia che conferma la legittimazione del “cavaliere” a contribuire alla guida del paese.

Considerando che, dopo queste consultazioni, ormai anche a livello regionale, oltre che a quello nazionale, la Destra è al potere, l’Italia sembrerebbe davvero avviata, finalmente – come hanno sottolineato le dichiarazioni ufficiali rilasciate dai rappresentanti del governo – , ad una durevole stagione politica caratterizzata dalla stabilità e dalla piena realizzazione delle democrazia.

Una maggioranza di due italiani su dieci

A insinuare qualche dubbio su questo quadro rassicurante è il dato, per lo più lasciato in secondo piano dai quotidiani sopra citati, riguardante l’astensionismo. Perché l’affluenza alle urne in queste regionali è stato il più basso di sempre: il 41,67% in Lombardia, il 37,20% nel Lazio. Insomma, in media, il 40,00%.

Qualcuno potrebbe chiamare in causa il fatto che si tratta di elezioni regionali. Ma in queste stesse regioni – particolarmente rappresentative per il loro peso nel paese – nelle precedenti elezioni regionali del 2018 la partecipazione era stata del 70,63%. Siamo dunque davanti a un decremento di oltre 30 punti percentuali, quasi la metà.

In concreto, questo significa che, quando i vincitori rivendicano la loro indiscutibile maggioranza, la loro reale rappresentatività, almeno in Lombardia e nel Lazio riguarda poco più del 20% degli elettori. Due cittadini su dieci.

Qualcosa di analogo era già avvenuto, in forma meno eclatante ma non meno allarmante, alle consultazioni nazionali di pochi mesi fa, in cui si era registrata un’affluenza alle urne pari al 63,9%, anche in questo caso il dato più basso di sempre, nettamente in calo anche rispetto al 2018, quando ai seggi elettorali si è recato il 72,93% degli aventi diritto al voto. Un astensionismo, dunque, del 36,1%, 9 punti in più rispetto al 2018, quando era stato del 27%, e – per fare un raffronto con la Prima Repubblica – sei volte superiore rispetto al 6,51% delle elezioni del 1976.

 In concreto, già alle elezioni politiche oltre 16,5 milioni di italiani non sono andati a votare, oltre 4 milioni in più rispetto alla precedente consultazione. E al non-voto va aggiunto il 2,2% di schede bianche e nulle. Insomma, quasi il 40% dei potenziali elettori non risulta rappresentato.

Alle radici etiche della crisi

Questa è la democrazia, si dirà. Certamente. Nessuno mette in dubbio legittimità formale del responso delle urne, tanto più che, a fronte di questi risicati numeri dei partiti di maggioranza, in questo momento non esiste alcuna alternativa di governo. Ma, se è vero che la vita di una democrazia non si riduce solo ai rapporti di forza elettorale tra i partiti, ma riguarda la partecipazione effettiva del popolo, alla luce di questi dati è lecito interrogarsi sullo stato di salute della politica nel nostro paese.

Da questo punto di vista, anche la profonda crisi dell’opposizione concorre ad aggravare il quadro che si è delineato. Se i partiti della maggioranza hanno relativamente pochi consensi, non è perché i voti vanno ai loro avversari e neppure perché sono dispersi tra diverse forze politiche, ma perché la gente non va più neppure a votare. E ci va sempre di meno.

La responsabilità di un fenomeno del genere non si può certo attribuire al nuovo governo, che se mai ne è il risultato, non la causa. Stiamo raccogliendo i frutti di una lunga stagione di crisi che ha avuto le sue remote origini con la fine della Prima Repubblica e l’avvento della Seconda e che l’anti-politica dell’ondata populista – inizialmente salutata come una reazione – ha evidentemente contribuito ad aggravare.

Ci si può indignare per questo disinteresse nei confronti della politica, ma ci si deve anche chiedere perché un giovane, oggi dovrebbe avere fiducia in essa. Dove la fiducia implica, che lo si voglia o no, una dimensione etica di cui proprio la Seconda Repubblica ha largamente fatto a meno. Basti pensare che la figura dominante, in essa, è stata un personaggio come Silvio Berlusconi, che con le sue televisioni e il suo stile vita personale – peraltro esibito come simbolo di successo – ha costituito una radicale alternativa ai modelli ispirati all’etica tradizionale, dimostrandone la relatività nel nuovo contesto culturale e sociale.

Davanti a questo esempio offerto dalla politica un giovane ha avuto l’alternativa tra l’ammirazione incondizionata, per una spregiudicatezza che però portava a mettere in primo piano gli interessi privati più che quello collettivo, e il disgusto. In entrambi i casi la fiducia nella politica, nel suo significato profondo di ricerca del bene comune, è da tempo venuta meno.

Peraltro, che Berlusconi sia potuto rimanere al comando della nave perfino dopo una condanna penale definitiva per frode fiscale dimostra che non può essere la magistratura a determinare le sorti politiche del nostro paese. Dovrebbero essere i cittadini e i loro rappresentanti.

Anche la sua assoluzione a livello processuale, nel Ruby ter potrà avere le sue ragioni giuridiche, ma non cambia di una virgola la realtà di una vicenda vergognosa, i cui termini fattuali sono stati ampiamente accertati e riconosciuti anche dai sostenitori del cavaliere, che in Parlamento fecero approvare una mozione in cui non si negava che avesse approfittato del suo ruolo pubblico per far rilasciare dalla questura di Milano la giovane escort di origini marocchine Karima El Mahroug, detta Ruby, ma si sosteneva che l’aveva fatto perché davvero convinto che fosse la nipote del presidente egiziano Mubarak!

Fermo restando che il tribunale ha fatto il suo mestiere valutando solo l’aspetto meramente giuridico della questione, doveva essere la politica – nella misura in cui pretende ancora una fiducia etica – a prendere una chiara posizione. Non l’ha fatto, e nessuno se ne scandalizza.

La sfida dell’educazione alla responsabilità

La verità è che, dietro la crisi della politica, c’è quella dell’etica. I giornali della Destra, che hanno polemicamente contrapposto il risultato delle elezioni regionali allo spirito di Sanremo, non hanno capito che c’è una profonda continuità tra lo spettacolo ispirato al principio – enunciato dal direttore artistico e conduttore Amadeus – che «ognuno è libero di vivere la propria vita come meglio crede», senza doverne rispondere a nessuno, e delle elezioni in cui sei cittadini su dieci restano a casa senza curarsi di prendere posizione sul bene comune.

Se non si riesce a ritrovare, almeno su alcuni punti, un pensare e un sentire condiviso, non si può neppure pretendere che il popolo italiano prenda sul serio il compito, affidatogli dal sistema democratico, di avere un ruolo decisivo nell’interpretare il bene comune della nazione. Oggi il più importante servizio che si può rendere alla politica è di lavorare alla ricostituzione di una comunità etica. Al di là della contrapposizione tra Destra e Sinistra, è questa la vera questione, da cui dipende il futuro dell’Italia.

E qui è necessario, dall’alto, che i rappresentanti della classe politica si sforzino di dare esempi significativi di coerenza. La difesa ad oltranza dei membri della propria fazione, fingendo di non vedere i loro comportamenti palesemente scorretti (come nel recente caso dell’on. Donzelli e del sottosegretario Delmastro) non va certo in questa direzione. Poco importa la rilevanza puramente giudiziaria: non sono i tribunali che devono purificare la politica, ma una più viva coscienza etica.

Si impone, anche, dal basso, una rinascita dell’interesse e dell’impegno dei cittadini che li porti nuovamente a confrontarsi e a discutere le questioni non solo in termini di rivendicazioni di interessi, ma in una prospettiva propriamente politica e, per ciò stesso, anche etica. L’introduzione dell’Educazione civica nelle scuole come materia obbligatoria potrebbe essere, da questo punto di vista, un’occasione. Ma dovrebbe rifiorire il dibattitto anche nei cosiddetti “corpi intermedi” – associazioni, gruppi – per risvegliare la coscienza delle persone. Questa è la sfida che viene dai fatti. Saremo in grado di vederla e raccoglierla?

 *Responsabile del sito della Pastorale della Cultura dell'Arcidiocesi di Palermo, Scrittore ed Editorialista

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