prima di arrivare in tribunale
- di Nicola Campagnoli
Il
ministro Valditara è intervenuto, con una circolare indirizzata a tutte le scuole, sugli episodi di violenza nei confronti degli insegnanti che si stanno
verificando in questo periodo in diverse scuole italiane. Lo ha fatto
stabilendo l’intervento dell’Avvocatura generale dello Stato a difesa del
personale della scuola, nelle sedi civili e penali.
La
circolare prende atto di una linea di demarcazione tra studenti e docenti che
già c’era da tempo, una tendenza alla incomunicabilità che sta alla base, a mio
parere, dell’emergenza educativa, della “impossibilità” di insegnare a cui oggi
assistiamo e che è accompagnata da gravi conseguenze: l’altissima percentuale
di dispersione scolastica, l’analfabetismo funzionale che interessa il 40% dei
giovani, la disaffezione e demotivazione allo studio, gli atti di bullismo e
altro ancora.
L’iniziativa
ministeriale si propone di difendere “l’autorità e l’autorevolezza dei
docenti”, preservando un “clima di rispetto” negli istituti. Questo legittima
una serie di considerazioni sicuramente più ampie. Cos’è l’autorevolezza? Cos’è
il rispetto? Non è certamente – in particolare lo affermo per le scuole
superiori – la soggezione e il riconoscimento verso un ruolo di superiorità,
dato come scontato e assodato, devotamente accettato. Quello è piuttosto il
riflesso dell’autoritarismo. L’esperienza dell’autorità sorge in noi come
incontro con una persona ricca di coscienza della realtà. Autorevole è colui
che ti fa crescere (augere). Chi ti propone la materia, il sapere, la
tradizione in modo vitale, vivo, coinvolgente. L’autorità ti rivela il tuo io
più vero, si impone a noi come rivelatrice, genera novità, stupore e rispetto.
Il
rispetto non è, riduttivamente, soltanto “lo stare al proprio posto”, il
silenzio e l’ubbidienza dovuti a una cattedra più alta del proprio banco.
Certo, è anche questo, ma come conseguenza. Rispetto deriva da respicio, avere
nella coda dell’occhio. Vuol dire che in ogni mia azione non sono solo, ma
guardo qualcuno, ho presente qualcuno che mi fa vivere meglio quell’attimo, mi
rende più vero e attento a tutto.
Inoltre,
la lettera intende “rimettere al centro il principio della responsabilità”, in
modo da restituire “piena serenità al contesto lavorativo degli insegnanti e
del personale scolastico”. Qui il termine responsabilità indica un
atteggiamento serio e soggetto a regole precise che il ragazzo giustamente deve
tenere in classe. Un atteggiamento che assolutamente va perseguito. Ma il
profondo senso del termine “responsabile” implica il “rispondere a” qualcun
altro. Un atteggiamento sinceramente coinvolto, attento, partecipe si può
ottenere solo quando un ragazzo ha di fronte una presenza che gli propone con
la sua stessa esistenza un senso per vivere. Quando cioè si ha di fronte
un’autorità che ti mette di fronte al destino, a un grande orizzonte di senso
per cui vale la pena di vivere, studiare, impegnarsi, lottare. Non con le
parole, ma coinvolgendoti con la sua vita.
Diceva
don Luigi Giussani nel 1980 ad un gruppo di giovani: “Responsabilità vuol dire
‘risposta’, rispondere. Per rispondere occorre una presenza, che ci provochi,
che chiami. Invece oggi non si risponde più a nessuno, a nulla (…) Voi a chi
avete risposto alzandovi stamattina? A nessuno (…) Guardate che non rispondere
più a nessuno è la formula della solitudine. Perché resta una falsa
soddisfazione, che è cutanea, la soddisfazione della reattività, della reazione
(…) È la noia di dover uscire di casa, è l’assenza totale di intelligenza, di
cuore nello sguardo alla giornata”. Quella noia e quell’assenza di ragione da
cui nascono tanti atti violenti o istintivi dei nostri studenti, quelle loro
tragiche bravate.
Ma
per recuperarli ci vogliono “presenze” autorevoli, affascinanti. Non basta
difendersi dai loro strali.
In
tal senso, mi ha colpito il monologo di Francesca Fagnani nella seconda serata
di Sanremo. Parla dei ragazzi del carcere minorile di Nisida, ma parla un po’
anche dei nostri studenti difficili: “Hanno occhi che chiedono aiuto senza
sapere quale aiuto, senza sapere a chi chiedere aiuto. La scuola l’hanno
abbandonata ma nessuno li ha mai cercati. Lo Stato dovrebbe combattere la
dispersione scolastica e la povertà educativa. Dovrebbe garantire pari
opportunità almeno ai più giovani. È una questione di democrazia, di
uguaglianza su cui si fonda la nostra Repubblica. Lo Stato dovrebbe essere più attraente, più sexy
dell’illegalità”.
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