COMPIERE LA DEMOCRAZIA
CUSTODENDO RETI FRATERNE
-
di GIUSEPPE NOTARSTEFANO*
C’è
un modo significativo per celebrare il 75° anniversario della Costituzione
repubblicana: prenderci cura della nostra democrazia. Stiamo attraversando un
cambiamento d’epoca caratterizzato da una strutturale instabilità dei
meccanismi e dei processi istituzionali messi alla prova dalla “policrisi”. La
dinamica di concentrazione delle risorse, delle informazioni e dei poteri
inscritta dei processi di globalizzazione produce sempre maggiori
disuguaglianze sociali ed economiche. Sfide globali come quelle del cambiamento
climatico e della non più rinviabile transizione ecologica richiedono
sicuramente consapevolezza e visione globale, ma anche capacità di azione ed
esercizio di responsabilità locali e diffuse. Gli uomini e le donne dell’Azione
Cattolica italiana, mentre si riuniscono ancora una volta, la 43ª, a convegno
nel nome di Vittorio Bachelet, hanno acuta consapevolezza di quanto il
linguaggio e la pratica della politica sono oggi messi alla prova dalla crisi
della democrazia.
L’Indice
di democrazia globale proposto da alcuni autorevoli osservatori (Economist
Intelligence Unit) segnala un arresto del «lungo declino» della democrazia
rilevato nello scorso decennio, sulla base dell’osservazione di alcuni
parametri rilevanti: processo elettorale e pluralismo, funzionamento del
governo, partecipazione politica, cultura politica democratica e libertà
civili. È evidente che la natura polisemica e intrinsecamente qualitativa di
tale fenomeno umano lo candida a una misurazione quantitativa imperfetta;
tuttavia, tale esercizio diventa uno strumento utile a supportare ulteriori
riflessioni, proprio perché incentiva a cercare definizioni capaci di attivare
una riflessione concreta ancorata ai fatti e alle esperienze. Una democrazia
compiuta è «quella in cui non solo i diritti politici e civili sono pienamente
rispettati, ma anche in cui sono presenti una viva cultura politica e una
robusta coesione sociale; in cui il funzionamento del governo e delle
istituzioni è soddisfacente e supportato da un sistema di check and balances;
in cui i mezzi di comunicazione sono liberi e i sistemi giudiziari
indipendenti. La progressiva mancanza di queste condizioni determina il
passaggio agli altri regimi identificati». La democrazia, ancor prima di essere
un sistema di garanzie e procedure formali che presidiano la partecipazione inclusiva
di tutti, cominciando dai più fragili, è soprattutto la costruzione mai
perfettamente compiuta di uno spazio pubblico comune ovvero di un perimetro
descritto da pratiche anche informali che aprono progressivamente ogni persona
verso gli altri. In movimenti concentrici ma centrifughi spinti dalla
attitudine tipicamente umana della fraternità.
La
vita democratica, con le sue istituzioni e norme, ha bisogno di una « viva
cultura politica» e di una «robusta coesione sociale». Crediamo che ciò
presupponga una maggiore espansione della fraternità nella vita quotidiana
delle organizzazioni e delle istituzioni, una fraternità che sia concreta e
aperta. Ciò che il grande filosofo della complessità Edgar Morin ha definito
come «oasi inclusive di fraternità». Parliamo di luoghi vitali dove apprendere
in modo permanente e non episodico le pratiche generative della democrazia:
ascolto, dialogo, discussione, argomentazione, elaborazione, valutazione.
Luoghi dove elaborare insieme uno stile fraterno con tutti che si traduca in
una politica capace di far respirare il futuro alle persone e alle comunità.
Luoghi in cui imparare a gestire e attraversare i conflitti, non solo quelli
interpersonali ma anche tutti quelli prodotti dalle ambivalenze e dalle
contraddizioni rivelate da una visione complessa e globale della realtà.
Tensione alla giustizia e alla pace e uso della forza; salvaguardia
dell’ecosistema e progresso umano e sociale; cortotermismo speculativo della
finanza e progettualità imprenditoriale; infosfera ed etica della conoscenza,
solo per individuarne alcuni tra i più urgenti. In luoghi come questi, le
persone apprendono insieme una via per divenire cittadini, riunendosi
liberamente e impegnandosi nella formazione di coscienze critiche, vigilanti,
prossime alla fragilità umana e alla vulnerabilità sociali.
Ci
sono ancora oggi, nel nostro Paese, tanti luoghi così, uniti da reti solidali e
alleanze progettuali, dove per dirla con Paul Ricoeur ci si prende cura «della
vita buona» cercando insieme un modo fraterno di abitare lo spazio pubblico
animati da speranza costruttiva. La nostra democrazia oggi ha bisogno di questi
luoghi, si impara ad essere parte per il tutto, rinunciando a fare del tutto
una sola parte.
*Presidente
nazionale Azione Cattolica
www.avvenire.it
Nessun commento:
Posta un commento