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giovedì 19 gennaio 2023

DON MILANI CI INTERROGA ANCOR OGGI

 La straordinaria attualità 

della didattica 

di Barbiana



Cento anni fa, il 27 maggio 1923, nacque a Firenze  Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti, comunemente chiamato don Milani. E' opportuno ricordarlo perché la sua opera educativa interroga ancor oggi la società, la scuola e tutti gli educatori. Non una semplice ed estemporanea, seppure spettacolare, commemorazione, ma una preziosa occasione per rileggere le sue opere e migliorare la qualità del nostro quotidiano essere educatori e associazione di educatori.

 - di DONATO DE SILVESTRI

Avevo letto in gioventù di quel Don Milani, prete ribelle di Barbiana, ma mi ero interessato soprattutto al coraggio di chi si era opposto ad un sistema formativo conservatore ed elitario: chi proveniva dalle classi abbienti aveva l’accesso allo studio ed ai ruoli di comando e chi apparteneva ai ceti meno abbienti veniva relegato a produrre ed eseguire. Erano gli anni delle prime rivolte studentesche e vedevo in Lettera ad una professoressa un forte ed affascinante messaggio politico, un atto di ribellione, qualcosa che poteva scuotere le fondamenta di quella scuola che aveva scartato tanti miei compagni, destinati già dalla nascita ai lavori più umili, così come era stato per i loro genitori e i loro nonni. In quegli stessi anni leggevo Althusser, il quale spiegava che la Scuola prendeva i bambini di tutte le classi sociali e inculcava loro dei savoir-faire rivestiti dell’ideologia dominante (la lingua, il far di conto, la storia naturale, le scienze, la letteratura), riconducendo ognuno al ruolo attribuitogli nella società di classe(1); e Bordieu, il quale affermava che la Scuola tradiva la sua missione più vera consolidando le disuguaglianze che essa sola avrebbe potuto e dovuto ridurre(2). Dicevo, queste erano le cose che vedevo a vent’anni nella scuola di Don Milani: solo dopo ho cercato di capirne l’impianto didattico e l’ho trovato straordinario.
L’ho assimilato in modo definitivo quando per anni, con un gruppo di amici, salivamo a Barbiana la sera prima della marcia annuale e ci fermavamo in quella piccola canonica a respirare ciò che ancora emanavano quei muri.
Così quando nelle mie lezioni spiego il Costruttivismo sociale, sono solito esordire con: “Ora vi mostrerò un filmato che racconta la scuola più innovativa che conosco.” Quindi proietto un documento preso dalla cineteca della Rai La storia siamo noi (3). Alla fine chiedo di discutere in gruppo ciò che si è osservato sul far scuola a Barbiana e ne emerge un quadro ricchissimo di suggestioni che rappresentano meglio di qualsiasi astratta riflessione il senso di una didattica straordinariamente “innovativa” ed efficace.

Le prime immagini del filmato mostrano la cappella sperduta tra i boschi in cui Don Lorenzo Milani era stato confinato, raggiungibile solo da una stradella sterrata simile ad un sentiero. A fianco della cappella c’è una piccola scuola elementare che ospita una pluriclasse di alunni provenienti da famiglie povere e molto numerose, timidi e rassegnati, bambini destinati ad andare a lavorare in uno stato di semi-analfabetismo. Fuori di Barbiana c’è però un mondo in rapida trasformazione, l’Italia del boom economico, della Dolce Vita e di Lascia o raddoppia, di Coppi e Bartali, della Fiat 500 e dell’Autostrada del Sole. Di Barbiana il progresso però sembra essersi dimenticato, anche se vi compaiono una serie di strumenti tecnologici inusuali per la scuola di allora, talora rari e sofisticati, come alcuni calcolatori elettronici donati da operatori illuminati come Adriano Olivetti. Ecco, questa è una prima annotazione di cui tener conto: a Barbiana si rompe con la tradizionale diffidenza della scuola nei confronti delle innovazioni tecnologiche. Don Milani intuiva l’importanza di esse, le più diverse, di comprenderne il linguaggio, di padroneggiarlo e di servirsene per i propri scopi. A Barbiana si apprendono le lingue straniere: il francese, l’inglese e persino l’arabo! Si organizzano anche viaggi di studio all’estero, in anni in cui l’Erasmus non si sarebbe neppure potuto immaginare. Edoardo Martinelli, uno degli allievi di Don Milani, ricorda che si imparavano le lingue in modo vivo ed attivo, pratico ed esperienziale, ascoltando le canzoni di Brassens e Bob Dylan, in una dimensione di piacere e di gioco. Poco dopo io avrei studiato lingue e letterature straniere all’università alimentandomi di una sterile e pedante indigestione di regole ed assunti teorici.
Nel 1963 arriva a Barbiana una giovane professoressa, Adele Corradi, che aveva sentito parlare di quella strana scuola e la voleva vedere. Si rende subito conto della straordinarietà del contesto didattico che era stato realizzato tra i monti del Mugello. Racconta che in quella scuola non esisteva una ripartizione del curricolo in discipline e non c’era la campana che scandiva il loro alternarsi. Mancava un programma precostituito, ma c’era uno scopo estremamente chiaro, la chiarezza di punti di partenza e di arrivo ben definiti (oggi si parlerebbe di gap analysis): il percorso veniva costruito strada facendo in un processo di co-progettazione con gli alunni, in relazione ai loro interessi, ai loro desideri, alle più diverse cose che accadevano. La scuola era dotata di una piccola falegnameria e di una officina essenziale, di uno studio fotografico e gli alunni imparavano a costruirsi molti degli strumenti di cui avevano di volta in volta bisogno, come, racconta lo stesso Martinelli, un apposito congegno per fotografare l’eclissi di luna. Adele Corradi parla di un tempo scuola sempre aperto al dialogo, al confronto, finalizzato a promuovere lo spirito critico, ma in un ambiente tutt’altro che permissivo, che pretendeva il rispetto delle regole e l’assunzione di responsabilità. Gli ex allievi raccontano di lezioni allegre e divertenti, anche se il maestro, e sappiamo che su questo si appuntarono molte delle critiche che gli vennero rivolte, non rinunciava a qualche calcio nel sedere, pratica che del resto si impiegava largamente in quegli anni, sia a casa che a scuola. Per aiutare i ragazzi a vincere le loro timidezze Don Milani teneva anche lezioni di recitazione e faceva ampio uso di quella oggi chiamiamo animazione teatrale. Accanto alla chiesa venne costruita anche una piccola piscina per far in modo che quei timidi montanari vincessero la paura dell’acqua. Gli alunni costruivano da sé i cavalletti per dipingere all’aperto e strumenti per suonare. La professoressa Corradi sintetizza il tutto dicendo che era la vita che entrava in classe in continuazione e che ogni occasione era buona per far scuola. Visto l’entusiasmo che provava per questa scuola così diversa, la professoressa accettò l’invito di Don Milani a fermarsi per dare una mano: “Potrebbe lei insegnar loro un po’ di quelle stupidaggini che chiedete all’esame di terza media?”. Trovo straordinaria questa domanda…
Ma Barbiana non è solo questo: accanto alle discipline tradizionali, collocate come abbiamo visto in una prospettiva interdisciplinare, c’erano anche incontri settimanali con esperti, dal musicista al meccanico, dal veterinario al fabbro, facendo sì che dove non era possibile fare esperienza diretta, si potesse avere almeno il racconto di prima mano di chi la pratica la viveva per davvero.
Il filmato si chiude con Don Milani che dice che la sua scuola non è esportabile altrove ed è vero, non con quelle caratteristiche, con le lezioni che durano tutto l’anno, giorni festivi compresi, ma gli ingredienti che noi troviamo in essa sono quelli che possono e dovrebbero essere utilizzati oggi nel difficile ma necessario passaggio dalla centratura sulle conoscenze a quella sulle competenze, dall’esclusione all’inclusione, dall’omologazione alla personalizzazione, da livelli intollerabili di dispersione al successo formativo per tutti.

Rivediamoli allora gli ingredienti:

  • protagonismo degli alunni, che partecipano attivamente al percorso educativo;
  • centralità dell’esperienza in un contesto laboratoriale;
  • lavoro di gruppo e sostegno reciproco;
  • clima giocoso;
  • sollecitazione del confronto e di uno spirito critico;
  • apertura ai più diversi canali di comunicazione e informazione;
  • uso delle più disparate tecnologie, anche quelle più innovative;
  • promozione dell’autonomia;
  • assunzione di responsabilità e rispetto del sistema normativo;
  • animazione e role play;
  • la vita reale che entra a scuola;
  • una scuola che si apre all’esterno e che vuole confrontarsi con il mondo;
  • uso delle testimonianze dirette;
  • sfida e messa in gioco continua;
  • superamento della rigidità del programma e programmazione flessibile partecipata;
  • centralità dell’apprendimento delle lingue, anche con viaggi all’estero;
  • pratica di attività sportive, dallo sci al nuoto (costruzione piscina);
  • impegno politico e civico, con un confronto anche duro per il riscatto sociale dei più deboli;
  • il docente si fa scaffolder.

Quest’ultimo aspetto sta ad indicare il delicato e prudente, quanto straordinario, ruolo assunto dall’educatore. Scaffolding significa impalcatura e trovo particolarmente efficace l’immagine del cantiere, un luogo attivo che vede gli alunni come artigiani che costruiscono la propria formazione e l’impalcatura che consente loro di lavorare in sicurezza, di salire, di sporgersi, di sentirsi liberi di sperimentare in un contesto ben delimitato e adeguatamente protetto. Si parla anche di apprendistato cognitivo e, ancora una volta l’immagine è altamente evocativa. L’apprendista è per natura un soggetto che impara facendo esperienza sotto la guida di un esperto che non gli si sostituisce, ma che crea le condizioni perché egli possa mettersi alla prova diventando progressivamente autonomo e competente.

Ho lasciato alla fine l’aspetto più noto ed affascinante dell’impianto pedagogico di Don Milani: l’I CARE, io mi interesso, mi prendo cura di te.
In tanti anni di formazione ho provato a chiedere a centinaia di persone se nella loro vita avessero avuto almeno una o un insegnante significativi, ossia che ricordavano come una persona che aveva in qualche modo cambiato la loro vita. Purtroppo ne ho trovati molti che mi rispondevano negativamente. Agli altri chiedevo di raccontarmi come fosse quella persona e venivano fuori dei profili molto diversi, ma tutti riconducibili ad un elemento comune: ha saputo farmi capire che io, anche con i miei limiti e le mie difficoltà, ero importante. Eccolo, in estrema sintesi, l’I care.
Io vorrei tanto che quelle due parole, scritte a mano su un foglio incollato ad una vecchia porta della canonica di Barbiana, fossero scolpite all’ingresso di tutte le nostre scuole e le nostre università.

*****

(1) Althusser L., (1972), Ideologia e apparati ideologici dello stato, in Barbagli M. (a cura di) Scuola potere e ideologia, Il Mulino, Bologna.
(2) Bourdieu P., (1972), La trasmissione dell’eredità culturale, in Barbagli M. (a cura di) Scuola potere e ideologia, Il Mulino, Bologna.
(3) Vedi www.lastoriasiamonoi.rai.it La Scuola di Barbiana. Don Milani un ribelle ubbidiente.

 CISL SCUOLA



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