fate conoscere
Fratel Biagio
in ogni scuola
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di Alex Corlazzoli
“Questo
è per te”. A darmi il “santino” con la fotografia di Biagio Conte è una donna
di colore in piedi accanto a me, durante l’addio nella cattedrale. Qualche
minuto prima un’altra donna, sempre africana, l’ha tirato fuori dalla borsa e
l’ha guardato per qualche minuto. Per qualche istante ho pensato: “Mi
piacerebbe averne uno”. Nemmeno il tempo di fare questo che improvvisamente, me
lo son trovato in mano. Coincidenze.
Se
fossi credente forse oserei dire un “piccolo miracolo”. Uno dei tanti che ha
fatto fratel Biagio. Quando si pensa alla santità vengono in mente quelli sul
calendario: papi, madre Teresa di Calcutta. Biagio non era “nessuno”. Non era
un prete. Non era consacrato. E’ stato uno tra noi (non di noi) che ha scelto
di essere santo. Martedì c’era tutta Palermo a ringraziarlo: diecimila persone.
Ho visto insieme, uno accanto all’altro, senza distinzioni autorità, tanti
giovani, anziani, gente in giacca e cravatta e uomini con i rasta. E persino un
vescovo, quello di Palermo, don Corrado Lorefice che mentre parla di Biagio,
durante l’omelia, è costretto a fermarsi e piangere. Mai visto un monsignore in
lacrime.
“Addio a Biagio Conte, missionario laico che da 30 anni assisteva i poveri a Palermo. Eppure, quando arrivai per la prima volta a Palermo nel 1995, ricordo che Biagio era considerato da tutti uno un po’ pazzo: “E’ matto, ma fa del bene”. Quel saio verde, quei suoi occhi sempre vivi, quel suo sorriso disarmante a qualcuno appariva ingenuo e spiritato. Ce ne fossero di folli come Biagio, il san Francesco del nostro millennio”.
Biagio,
figlio di imprenditori, nel 1990 aveva mollato tutto ed era fuggito tra i
boschi per poi andare a piedi fino ad Assisi. Una pazzia. Tornato a Palermo nel
1991 scelse di stare non dalla parte dei poveri, ma con i poveri condividendo
la loro vita alla stazione. Due anni dopo, l’allora sindaco Leoluca Orlando, gli
concesse l’uso dell’ex disinfettatoio comunale dove iniziò ad accogliere chi
non aveva un tetto. Per Biagio iniziò la missione nella sua terra.
L’ho
incontrato più volte in via Decollati. Era l’immagine vivente di un santo:
dormiva in una roulotte; talvolta a terra tra i suoi poveri. Ogni giorno
riusciva, miracolosamente, a dare un piatto e un letto a cento, duecento,
trecento persone. Se doveva far sentire la sua voce, protestare per i poveri lo
faceva con l’arma del digiuno. Martedì in cattedrale c’era una bara di legno
semplice realizzata dalla sua gente. Sopra solo il Vangelo.
Fratel
Biagio non se n’è andato. Chi non l’ha conosciuto da vivo lo può fare ora,
magari guardando il film di Pasquale Scimeca. Martedì, mentre salutavamo fratel
Biagio, due clochard a Roma morivano per freddo. Ora tocca a noi essere un po’,
anche solo un pochino, fratel Biagio. Anzi, lo dico da maestro: parliamo tanto
di educazione civica. Si faccia una cosa: si racconti ai ragazzi, di ogni
scuola, di fratel Biagio Conte.
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