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mercoledì 6 aprile 2022

L'INVASIONE DELLE OPINIONI

 


 La potenza delle opinioni, 

inarrestabile e preoccupante

-         di Giuseppe De Rita

  Ormai non ci sono verità che non possano essere messe in dubbio: domina il primato del parere personale. Ma non è dato sapere tale dinamica dove ci porterà. Dicevano i nostri vecchi che “la matematica non è un’opinione”, sicuri che le verità indiscutibili non possono essere scalfite da ondeggianti valutazioni personali, spesso dovute a emozioni interne e collettive.

Temo che quella sicurezza non abbia più spazio nell’attuale dinamica culturale. Se qualcuno si esponesse a dire che due più due fa quattro, si troverebbe subito di fronte qualcun altro che direbbe “questo lo dice lei”, quasi insinuando il dubbio che non si tratta di una verità, ma di una personale opinione. Vige ormai da tempo qui da noi la regola “uno vale uno”. Non ci sono verità che non possano essere messe in dubbio: tu la pensi così, ma io la penso al contrario e pari siamo. Non ci sono santi, dogmi, decreti, ricerche di laboratorio, tabelle statistiche; vale e resta dominante il primato dell’opinione personale.

Siamo così diventati un popolo prigioniero dell’opinionismo, e ormai non solo per tradizione di tifo calcistico, ma di lettori di tutti i problemi e gli eventi su cui si svolge la nostra vita collettiva. Basta comprare al mattino un quotidiano e si rimane colpiti da prime pagine piene di riferimenti che annunciano tanti articoli interni, quasi tutti rigorosamente legati a fatti d’opinione, a personaggi d’opinione, a polemiche d’opinione, in un inarrestabile primato dell’Opinione regina mundi.

Da vecchio opinionista (lo sono su questo giornale dal 1976) mi sorprende quanto siano ampie e forti le ondate quotidiane d’opinione, il loro rimpallarsi a circolo, l’enfasi che ci si mette per mantenersi l’uditorio, la propensione a sentirne la potenza di convincimento quasi la presunzione di far parte di un mondo, non condizionato da altri poteri, un “mondo potente di suo”.

Non ci rendiamo però conto che restiamo tutti prigionieri di livelli culturali bassi, inchiodati alle proprie opinioni, refrattari a livelli più alti di conoscenza, restii all’approfondimento, al confronto, alla dialettica. Non interessa la dimensione scientifica di una malattia, vale l’onda d’opinione che su quella malattia si è formata o si può formare; non interessa la dimensione complessa di un testo di legge o di una sentenza, vale l’onda d’opinione che si forma su di esse; non interessa la incontrovertibilità di un dato economico o di una tabella statistica, vale l’onda d’opinione che ci si può costruire sopra; non interessa la lucidità di una linea di governo del sistema, vale lo scontro di opinioni (di gradimento o di tradimento, direbbe Adriano Sofri) che su di essa si scatena. Ma senza confronto e senza dialettica non si fa cultura, non si fa sintesi politica, non si fa governo delle cose; con l’effetto finale che nel segreto del dominio dell’opinione si attua una trasfigurazione in basso e banale della realtà.

Viene addirittura il sospetto che si sia in presenza di un uso primordiale ma sofisticato dell’opinione; e non si sa chi e come la gestisce. Qualcuno può ricordare quando a fine Ottocento arrivò a cittadinanza pubblica l’uso primordiale dell’immagine e della visione (prima con le fotografie e poi con il cinema); ma nessuno si preoccupò dei pericoli che ne sarebbero venuti alla vita sociale e all’equilibrio politico. Nessuno, neppure dei grandi come Baudelaire e Benjamin, aveva previsto il fascino tenebroso delle hitleriane parate di massa; e nessuno, neppure Giulio Bollati, avrebbe previsto che l’elitaria esaltazione di D’Annunzio per le foto della “gemmata” Regina Margherita sarebbe un giorno sfociata nel compiacimento piccolo borghese per le foto di Mussolini a petto nudo durante la “campagna del grano”.

Non c’è dato comunque di sapere (visto che pochi lo studiano) dove potrebbe portarci la progressiva potenza dell’Opinione, un fattore fra l’altro più subdolo e sfuggente dell’immaginario visivo dei nostri padri. Converrà però cominciare a pensarci sopra, magari partendo dal preoccuparci che la nostra comunicazione di massa si ingolfa troppo nell’opinionismo autoalimentato e senza controllo. So che i greci avrebbero difeso quel che chiamavano la “Necessità” (in questo caso: la inarrestabile potenza dell’opinione) ma sarà permessa anche la modesta “necessità” collettiva del bisogno collettivo di non cedere alle sabbie mobili del regno dell’opinione.

 Corriere della Sera

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