Lo scorso 1° aprile il
Miur ha diramato la notizia della costituzione di una nuova commissione, fra le
tante, per rilanciare lo studio della geografia nella scuola, onde “fornire
alle nuove generazioni nuovi modelli di sviluppo”. La data non tragga in
inganno: non è uno scherzo, può anche essere utile, ma non sembra che per la
scuola in questo momento la geografia sia la priorità. A meno che la materia
non sia fortemente integrata, arricchita, stravolta.
Nelle attuali condizioni
dell’istruzione in Italia, con problemi come i Neet (giovani che non studiano
né lavorano), le gravi difficoltà psico-didattiche post-Covid, l’inserimento
con prevedibile disagio dei ragazzi ucraini arrivati come profughi in Italia
con le loro famiglie, le urgenti domande degli alunni riguardanti la
comprensione degli scenari che hanno portato alla guerra in Ucraina, perché non
sfidare le circostanze con, magari, una geografia interdisciplinare o
pluridisciplinare che assorbendo gli obiettivi di vari altri insegnamenti si
chiami “Geografia umana” oppure “Geopolitica dell’umanità contemporanea”?
La scuola non è
necessariamente tenuta ad appiattirsi sulla contemporaneità. Quando lo ha fatto
con programmi che hanno previsto la storia contemporanea per tutti gli ultimi
anni di tutti i cicli scolastici, ne sono venuti fuori difetti che ora si
traducono nella scarsa conoscenza delle principali fasi del percorso delle
varie epoche a causa di riduzioni orarie, assemblaggi di periodizzazioni,
manuali che assottigliano la narrazione storica per puntare sul didatticismo.
Si era infatti dimenticato che la storia intesa come “didattica della storia”
non può svincolarsi dalla storia intesa come scienza storica, poggiante su
ritmi e scansioni sue proprie. Tuttavia, è anche vero che, a certe condizioni,
la scuola può farsi dettare la linea dal tempo presente. Dipende appunto dalla
materia che lo può captare filtrandolo in chiave educativa.
Nell’attuale panorama
scolastico i due grandi ambiti che di più hanno risentito l’eco dell’attualità
sono quelli delle lingue moderne e quello dell’informatica. Non c’è scuola che
si rispetti che non abbia il corso di inglese (spesso dalle elementari, se non
prima) e il laboratorio informatico o strumentazioni analoghe messe a
disposizione di insegnanti e alunni. Nulla di strano, dunque, se nell’ottica di
un’attenzione al nostro tempo, magari utilizzando i tanti fondi a disposizione
del Pnrr, si pensasse a un insegnamento che raccolga il meglio non solo degli
obiettivi della geografia, ma anche dell’educazione civica, della storia, di
tanta letteratura e di una buona porzione del sapere fisico-matematico.
Potrebbe essere un insegnamento svolto in compresenza da un pool di insegnanti
affiatati che insieme redigono alcuni semplici orientamenti.
La ragione che sostiene
una simile proposta è semplice: mai come in questa epoca la scuola è
attraversata dal tempo, che si è fatto improvvisamente protagonista. E il tempo
appare ai più ostile, enigmatico, incomprensibile: soprattutto pesante con il
suo carico di messaggi negativi rivolti al futuro. Ma non c’è luogo come la
scuola, tutta fondata sul tempo (ore, giornate, periodi, ritmi) in cui lo
scorrere degli istanti possa essere liberato dal suo meccanicismo e recuperato
come tempo dell’uomo e della sua avventura tesa a superare l’effimero. Sarebbe
necessario uno spazio di tempo e di dialogo che parli ai ragazzi della
grandezza e bellezza dell’umanità, dell’irriducibilità della statura umana.
Come ebbe a scrivere lo scrittore svizzero C.F. Ramuz: “Qual è ancora la
nostra misura di uomini mentre ogni giorno, in ogni direzione, l’universo è
misurato sempre più minuziosamente? Sono passati i tempi nei quali l’uomo aveva
ancora una statura perché era fatto a immagine di Dio oppure gli dèi erano
fatti a immagine sua. A che punto siamo oggi? Il vero dramma è che l’uomo non
ha più una statura… Improvvisamente l’uomo si è trovato esiliato dal mondo”
(Statura umana).
Riflettiamo un attimo
sull’opportunità che un insegnamento di tale genere potrebbe avere. Potrebbe
essere un insegnamento senza voto, ma con autovalutazione dei ragazzi, pieno di
letteratura, musica, arte. Certo anche di geografia. Incentrato però sulla cura
di sé e sulla cura degli altri, il cui scopo non sia genericamente l’educazione
all’attenzione e al rispetto reciproco, ma in cui ciascuno si possa sentire
costruttore di uno spazio ricco di coscienza delle proprie origini e
disponibile a riconoscere quelle altrui. Tanti drammi del presente derivano
dalla esasperata ricerca di uno “spazio vitale” inteso nazionalisticamente.
L’alternativa è iniziare a costruire spazi arricchiti da più identità: questa è
la nuova geografia per una scuola nuova.
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