Ma Dio ama bene:
senza ricatti, senza suscitare attese o sensi di colpa, senza porre condizioni.
Ama perché è l’Amore puro, assoluto, totale e totalizzante.
Riscoprendo il
nostro Battesimo, la nostra identità profonda, scopriamo di essere figli di
Dio, figli del gran Re. Dio è contento di noi. È contento di te. Di me.
Siamo noi che
stentiamo ad amarci come ci ama Dio. O ci svalutiamo o ci sopravvalutiamo.
Ma per Dio siamo
unici, irripetibili. Tutta la nostra vita, allora, consiste nello scoprire e
nell’assecondare ciò che siamo agli occhi di Dio, per diventare ciò che Dio
vede: un capolavoro. È un cammino che richiede libertà interiore, forza,
costanza, che dura tutta la vita, ma che parte da una chiamata, dall’iniziativa
di Dio. Siamo tutti vocati, chiamati a diventare capolavori. Allora
né fame, sete, pandemia, paura, carattere, ostacoli, niente ci può separare
dall’amore di Cristo che ci permette di compiere questo cammino.
Nel tempio
Samuele è figlio di una donna sterile, Anna, come spesso accade nella Bibbia. Nella gioia di avere un figlio inatteso, la madre decide di affidarlo alle cure di Eli, il sacerdote. Samuele diventerà un profeta straordinario, colui che consacrerà i primi re di Israele.
Sta nel tempio,
Samuele, assiste alle liturgie, ha un’ottima guida spirituale. Ma ancora non
conosce Dio. Possiamo frequentare il tempio senza “conoscere” Dio là dove la
conoscenza, nella Scrittura, indica un approccio intimo e totalizzante. Incontro
che avviene nel cuore della notte.
Solo se sappiamo
ritagliare degli spazi di quiete e di silenzio possiamo “conoscere” Dio. E
quanto mancano questi spazi alle nostre vite, alle nostre città! Ma abbiamo
bisogno di qualcuno che ci aiuti a capire: Eli, come il Battista, come Paolo, è
una buona guida che indirizza a Dio, non a se stesso. Così Samuele incontra
Dio. E alla luce di questa scoperta scopriamo il senso delle cose e delle
nostre vite, e impariamo a vedere noi stessi e gli altri con uno sguardo
illuminato.
Giovanni e Andrea
Non nel tempio ma nel deserto Giovanni e Andrea incontrano Dio. Hanno seguito il carisma del Battista, hanno lasciato tutto per seguirlo, anche la loro pelle è stata riarsa dal sole e dal vento del deserto di Giuda. Ora il loro maestro sa che è finito il suo tempo. È fermo, statico, mentre Gesù passa. È finito il suo tempo, e lo sa. E indica Gesù, mischiato fra i penitenti. È lui, ora, che devono seguire.
Lo chiama agnello di Dio, come l’agnello immolato la notte di Pasqua, come l’agnello immolato che porta il peccato del popolo nel giorno di Yom kippur, come l’agnello sacrificato al posto di Isacco, come l’agnello mansueto del profeta Isaia. Forse il Battista vede nel Nazareno l’ombra della sofferenza e la determinazione del dono di sé. Certamente la vede l’evangelista che riporta l’incontro. Che bello avere un maestro che indica il Maestro, che si fa da parte, che conduce al vero pastore.
Che
volete?
È la prima parola che Gesù pronuncia nel vangelo di Giovanni: che volete? Non cerca discepoli, non li blandisce o si congratula con loro per la scelta fatta. Chiede ragione della loro scelta. Dio non vuole discepoli a rimorchio, cristiani sbadati, cattolici per abitudine. Chiede consapevolezza. Il nostro è un Dio che chiede di seguirlo, ma da adulti. La fede non è mai un comodo rifugio che ci protegge dal mondo cattivo, il tappeto sotto cui nascondere le nostre miserie. Dio vuole uomini veri e liberi. Sono spiazzati, Giovanni e Giacomo. Troppo forte e diretta la domanda per non inquietare.
Cosa cercano? Non lo sanno ancora. Chiedono aiuto, chiedono lumi, un qualche appiglio, un punto di riferimento.
Dove
abiti?
Quanto bisogno di certezze abbiamo prima di poterci fidare! Quanti “se” e “ma” mettiamo prima di dire il nostro “sì” definitivo al Signore! E lui che, allora come oggi, ci risponde: venite a vedere. Non chiedere, fidati, muoviti, fa’ diventare questa ricerca un’esperienza, investi. Più freddo e asettico, nel testo di Giovanni, l’incontro con Simone. Lui tace, non dice nulla, nessun entusiasmo, solo una grande passività: viene condotto. E Gesù se ne accorge, vede in lui una durezza, un’ostinazione, è duro come la pietra. Ma su quella pietra appoggerà la fede. Da un evidente difetto saprà trarne un grande vantaggio per i fratelli. Così accade a chi diventa discepolo.
Andare a vedere
La fede non è “fare”, “sapere” ma “conoscere”. Noi per primi siamo chiamati ad andare a vedere, noi per primi siamo chiamati a fare l’esperienza della sequela. Ed essi andarono, videro e restarono con lui. Dopo essersi fidati restano, accettano, si lasciano coinvolgere. L’annotazione finale di Giovanni è simpaticissima: erano circa le quattro del pomeriggio. Quel giorno, quell’istante, è così importante per lui che segna l’inizio di una vita nuova. Sono passati forse sessant’anni da quell’evento e il discepolo ricorda l’ora precisa, tutto è cambiato, ormai, per Giovanni e Andrea: quel giorno è stato come l’inizio di una nuova Creazione. A questo siamo chiamati: a fare esperienza di Dio.
Un tempo poco ordinario,
per la verità.
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