Il Papa firma l'Invito alla lettura del volume "Intorno al fuoco vivo del Sinodo", un testo pastorale curato dal salesiano padre Rossano Sala. "Per il bene delle giovani generazioni", scrive, vanno immaginati percorsi innovativi e inclusivi che aiutino ragazze e ragazzi "a orientarsi in un mondo in rapido cambiamento"
Di seguito il testo
integrale dell'"Invito alla lettura" di Papa Francesco che introduce
il volume di padre Rossano Sala "Intorno al fuoco vivo del Sinodo -
Educare ancora alla vita buona del Vangelo"
Sono contento di poter
introdurre il testo Pastorale giovanile 2. Intorno al fuoco vivo del Sinodo.
Educare ancora alla vita buona del Vangelo del caro padre Rossano Sala,
Salesiano di don Bosco.
Lo faccio con piacere,
come gesto di sincera riconoscenza per il lavoro che — insieme al padre Giacomo
Costa sj — ha svolto al Sinodo sui giovani in qualità di Segretario Speciale.
Ricordo molto bene il primo giorno dell’Assemblea sinodale, il 3 ottobre 2018,
quando dicevo che nel lavoro di preparazione ci avevano lasciato la pelle!
E come alla fine di
quella intensa esperienza, il 27 ottobre, concludevo
affermando che ci avevano lasciato anche
le ossa, dopo quel mese di duro lavoro! È vero, si sono impegnati
tanto per preparare, accompagnare e portare a compimento questo importante
processo ecclesiale dall’inizio alla fine. Grazie tante, grazie davvero!
Vorrei approfittare di
questa bella occasione per confermare e ribadire alcune mie convinzioni in
merito al lavoro della teologia, alla necessità di mettersi in discernimento,
al Si-nodo sui giovani che abbiamo vissuto e al prossimo evento riguardante il
“patto educativo globale”.
Il compito della teologia
Alla domanda di un
Dottore della legge, che vuole metterlo alla prova, il Signore risponde con
estrema precisione: «“Maestro, nella legge, qual è il grande comandamento?”.
Gli rispose Gesù: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta
la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento.
Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da
questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti”» (Mt 22,36-40).
Nel primo comandamento è
espressa una totalità di dedizione a Dio che parte dal cuore, passa per l’anima e arriva all’intelligenza.
Vorrei anzitutto ribadire che la laboriosità
teologica, in quanto ricerca di Dio attraverso l’intelligenza, è espressione
dell’amore a lui. La ragione è un grande dono di Dio, e nemmeno il più modesto,
e penso che oggi più che mai abbiamo bisogno di teologi appassionati di Dio e
del suo popolo. Infatti, come si vede dalla risposta del Signore, i due
comandamenti stanno o cadono insieme e da essi dipendono le sorti dell’umanità.
La pandemia rende più urgente un Patto educativo
globale
Per questo la teologia non
può parlare astrattamente di Dio, separandolo dal mondo e dalle persone
concrete, ma ha il compito di riflettere sul legame tra lui e gli uomini,
offrendo a tutti ragioni di vita e di speranza. Non è un teologo colui che non
ama il popolo di Dio, colui che separa il suo lavoro dalla propria appartenenza
ai fedeli, credendosi superiore a loro piuttosto che al loro servizio. Invece è
assolutamente vero che «le domande del nostro popolo, le sue pene, le sue
battaglie, i suoi sogni, le sue lotte, le sue preoccupazioni, possiedono un
valore ermeneutico che non possiamo ignorare se vogliamo prendere sul serio il
principio dell’incarnazione» (Messaggio del Santo Padre Francesco al Congresso
internazionale di teologia presso la Pontificia Università Cattolica Argentina,
1-3 settembre 2015).
Ogni buon
teologo, come ogni buon pastore, dovrebbe
avere addosso l’odore delle pecore. Perché «teologia
e pastorale vanno insieme. Una dottrina
teologica che non si lascia orientare e plasmare dalla finalità
evangelizzatrice e dalla cura pastorale della Chiesa altrettanto
impensabile di una pastorale della Chiesa
che non sappia fare tesoro della
rivelazione e della sua tradizione in vista di una migliore intelligenza e
trasmissione della fede» (Incontro con la comunità accademica del Pontificio
Istituto “Giovanni Paolo ii” per Studi su Matrimonio e Famiglia, 27 ottobre
2016).
L’intenzionalità
pastorale è un elemento trasversale di ogni riflessione teologica. D’altra
parte il teologo non lavora per sé stesso in forma autoreferenziale, ma sempre
si impegna per edificare la Chiesa, per dare a tutti i membri del popolo di Dio
un pasto solido, tenendo insieme con saggezza l’avventura della ricerca e il
compito di alimentare la fede del popolo: per questo «il teologo deve andare
avanti, deve studiare su ciò che va oltre; deve anche affrontare le cose che
non sono chiare e rischiare nella discussione. Questo però fra i teologi. Ma al
popolo di Dio bisogna dare il “pasto” solido della fede, non alimentare il
popolo di Dio con questioni disputate. La dimensione di relativismo, diciamo
così, che sempre ci sarà nella discussione, rimanga tra i teologi, ma mai
portare questo al popolo, perché allora il popolo perde l’orientamento e perde
la fede. Al popolo, sempre il pasto solido che alimenta la fede» (cfr. Discorso
ai membri della Commissione Teologica Internazionale, 29 novembre 2019).
Il testo che sto qui
presentando, proprio perché è il frutto di un inestricabile intreccio tra
riflessione teologica e esperienza pastorale, è più che raccomandabile.
Certamente a partire dai contenuti dei singoli saggi, che il lettore potrà
personalmente apprezzare, qui viene offerto soprattutto un modo di procedere
adeguato per fare teologia nel nostro tempo.
La necessità del discernimento
Certo, passiamo ora al
“nostro tempo”, quello che stiamo vivendo, l’unico che ci è dato da vivere.
Sono convinto: stiamo vivendo dentro un “cambio d’epoca” del tutto speciale,
che implica la maturazione di stili relazionali appropriati e di competenze
specifiche. Direi che le due parole chiave sono “ascolto” e “dialogo”.
Sono sempre impressionato
dalla capacità di ascolto di Gesù. Nell’episodio dei discepoli di Emmaus, che
ha guidato tutto il percorso del Sinodo sui giovani, Gesù all’inizio fa una
semplice domanda e poi sta in silenzio e ascolta. Ascolta il cuore dei due
discepoli delusi, si fa attento ai loro ragionamenti, entra in empatia con i
loro affetti. Se Gesù è davvero, come dice l’Evangelii nuntiandi, «il primo e
più grande evangelizzatore» (n. 9), allora dobbiamo imparare da lui.
Soprattutto oggi è più che mai necessario entrare in onesto ascolto delle gioie
e delle fatiche di ogni membro del popolo di Dio e soprattutto di ogni giovane.
Sull’ascolto la Chiesa nel suo insieme deve ancora lavorare tanto, perché
troppe volte, anziché “esperti di umanità”, passiamo per essere considerati
persone rigide e incapaci di ascolto.
All’ascolto segue il dialogo. Esso nasce dalla
convinzione che nell’altro, in colui che ci sta di fronte, ci siano sempre
delle risorse di natura e di grazia. Che la vita sia sempre una questione di
scambio di doni, di dare e ricevere, di contraccambiare. È la legge della
generosità e del dono: siamo amati per primi ma siamo chiamati a nostra volta
ad amare, creando così un circolo di alleanze sempre più grandi e positive. E
il dialogo è lo stile che esalta la generosità di Dio, perché riconosce che la
sua presenza è in ogni cosa e che quindi bisogna trovarlo in ogni persona,
avendo il coraggio di darle la parola. Era la grande convinzione di don Bosco,
per il quale anche nel giovane più povero ed emarginato ci sarebbe stato sempre
un punto accessibile al bene e una possibilità di realizzare qualcosa insieme.
Perché? Perché l’amore di Dio non abbandona mai nessuno. Non dimentichiamolo
mai!
Ascolto e dialogo devono
fiorire in una rinnovata capacità di discernimento. Non si tratta di
trasformare ogni membro del popolo di Dio in un Gesuita! Per qualcuno il
pressante invito al discernimento sarebbe una moda di questo pontificato,
destinata a passare presto. Non è così, perché se diamo uno sguardo alla storia
della Chiesa, nei grandi momenti di cambiamento sono emerse persone o gruppi che hanno vissuto un vero discernimento nello
Spirito. Hanno individuato vie d’uscita inedite, strade nuove mai battute.
Questa è anche la nostra
epoca. Pensate solo — oltre alla rivoluzione digitale in atto, alla profonda
crisi ambientale, al dramma delle migrazioni, alla piaga degli abusi, per
citare solo alcuni dei più visibili fenomeni di questo inizio del terzo
millennio — al tempo di pandemia che stiamo vivendo. Un tempo a cui nessuno
avrebbe mai pensato solo qualche mese fa, che ha trasformato l’esistenza di
tutti e che non sappiamo bene dove ci porterà. Tutto ciò ci invita a fare
discernimento per garantire la prossimità con il popolo di Dio, per riformare
l’economia e la finanza, per escogitare nuove forme di solidarietà e servizio.
Come potrem-mo rispondere a tutto questo senza un adeguato discernimento?
Certamente rischieremmo di soccombere all’ultima moda del momento, oppure ci
rifugeremmo in pratiche del passato incapaci di intercettare la situazione
singolare degli uomini e dei giovani d’oggi.
La forza della sinodalità
E arriviamo al Sinodo dei
giovani. Mi è molto piaciuta l’immagine di questo processo come di un fuoco che
pian piano è divampato. Richiama il grande desiderio del Signore: «Sono venuto
a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!» (Lc
12,49). È il fuoco dell’amore di Dio certamente, quello che illumina e scalda
ogni uomo. Ritrovarsi intorno al fuoco vivo del Sinodo significa riconoscere
che questo evento è stato generativo ed è destinato a portare frutti abbondanti
per il bene di tutti i giovani, nessuno escluso.
Anch’io ho desiderato ardentemente il Sinodo sui giovani.
Era un’aspirazione della Chiesa intera, che io ho fatto
volentieri mia dopo l’esperienza dei due Sinodi sulla famiglia ed in continuità
con essi. Abbiamo vissuto una straordinaria avventura insieme a tanti giovani.
In vari contributi del testo di padre Sala è presente la convinzione che le due
grandi colonne del Sinodo siano state il “discernimento” — di cui abbiamo già
parlato sopra — e la “sinodalità”, che pian piano si è imposta alla nostra
attenzione. Sono anche io convinto che i giovani abbiano aiutato la Chiesa a
riscoprire la sua natura sinodale, perché ci hanno chiesto in mille modi di
camminare al loro fianco: né dietro di loro né davanti a loro, ma al loro
fianco! Né sopra di loro né sotto di loro, ma allo stesso loro livello!
In questi anni ho
insistito molto sul tema della “sinodalità”, perché abbiamo un urgente
bisogno di riscoprire che la grazia
battesimale è la piattaforma fondamentale
della vita e della missione cristiana. Ed è per mezzo di
questa grazia che ciascuno è chiamato ad essere un “discepolo missionario”.
Non sono cose nuove, ma conseguenze chiare del Concilio Vaticano
ii che purtroppo facciamo ancora fatica a fare nostre. Ne sono proprio convinto
e lo voglio ripetere ancora una volta: «Il cammino della sinodalità è il
cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio» (cfr. Discorso per
la Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi,
17 ottobre 2015)!
Per questo, dopo un adeguato discernimento,
il 7 marzo scorso è stato annunciato il tema
della xvi Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si terrà nel
mese di ottobre del 2022: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e
missione”. Penso che sia la giusta e coerente continuazione del Sinodo sui
giovani, in cui ci è stato chiesto di annunciare il vangelo attraverso la
fraternità, perché i giovani ci hanno ricordato che uno solo è il nostro
Maestro e noi siamo tutti fratelli (cfr. Mt 23,8).
Il patto educativo globale
La sinodalità ci porta
direttamente verso l’educazione. Certo, perché l’educazione non è uno sport
individuale, ma di squadra! Tutti sono consapevoli che ci vuole un villaggio
per educare, che sono necessarie molte alleanze per far crescere una persona in
forma sana e integrale. Lo sapeva molto bene don Bosco, che prima di tutto ha
pensato alle case salesiane come ad ambienti di famiglia dove ognuno poteva sentirsi a casa propria dentro un
aambiente ricco di proposte coinvolgenti: un vero “ecosistema educativo” a
misura di ragazzo, di adolescente e di giovane! Lo sappiamo dall’esperienza
familiare e da quella sportiva, da quella scolastica e universitaria e da
quella sociale, e così via: quando noi adulti non andiamo d’accordo
l’educazione si blocca, le persone non maturano e tutto diventa difficile.
Purtroppo non possiamo
negare che «oggi è in crisi, si è rotto il cosiddetto “patto educativo”; il
patto educativo che si crea tra la famiglia, la scuola, la patria e il mondo,
la cultura e le culture. Si è rotto e rotto davvero;
non si può rincollare o ricomporre. Non si può rammendare,
se non attraverso un rinnovato sforzo di generosità e di accordo universale»
(Discorso ai partecipanti al Convegno sul tema “Education: the global compact”
organizzato dalla Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, 7 febbraio 2020).
Che cosa significa questo? Che ci vuole qualcosa di nuovo, che le diverse
istituzioni con umiltà devono cercare vie di riconciliazione per il bene delle
giovani generazioni, che tutti gli uomini di buona volontà sono chiamati a
ritornare a fare squadra in vista di una rinnovata responsabilità verso i più
piccoli e i più poveri.
A partire dalla duplice
constatazione della rottura del “patto educativo” e della necessaria “sinodalità”
ho sentito il bisogno di promuovere la Giornata per il Patto educativo globale:
si tratta di «un appello rivolto a tutti coloro che hanno responsabilità
politiche, amministrati-ve, religiose ed educative per ricomporre il “villaggio
dell’educazione”. Il trovarsi insieme non ha l’obiettivo di elaborare
programmi, ma di ritrovare il passo comune “per ravvivare l’impegno per e con
le giovani generazioni, rinnovando la passione per un’educazione più aperta e
inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua
comprensione”» (dal Discorso ai partecipanti all’Assemblea plenaria della
Congregazione per l’Educazione Cattolica, 20 febbraio 2020). Questa giornata
era prevista per il 14 maggio 2020, ma a causa della pandemia in atto è stata spostata
al prossimo 15 ottobre 2020.
Penso che il testo di
padre Sala sarà di grande utilità per l’evento del “patto educativo globale”,
perché è una miniera di riflessioni, esperienze e proposte a cui poter
attingere a piene mani. A partire dalle “cinque costellazioni”, c’è solo
l’imbarazzo della scelta!
Concludo, dopo aver espresso alcune mie convinzioni,
rinnovando il mio ringraziamento. Il testo che avete tra le mani
è davvero interessante e opportuno per questo tempo. Dicevo scherzando a padre
Sala che è un “mattone”, nel senso che è un testo denso, ricco e corposo. Ma
noi tutti sappiamo che le case salde e sicure si costruiscono sulla roccia e
con i mattoni, e non sulla sabbia e con i cartoni!
Per accendere un fuoco
che duri nel tempo non basta la paglia, ma ci vuole legna ben stagionata.
Per crescere non bastano merendine stracolme di conservanti,
ma serve cibo sano e nutriente. Così anche il pensiero ha
bisogno di solidità, soprattutto in questo tempo assai liquido, dove tutto passa
con estrema facilità e superficialità. Penso che don Bosco sarà contento di
quest’opera, che certamente potrà aiutare tanti ad entrare nello spirito del
Sinodo sui giovani e a orientarsi in un mondo in rapido cambiamento.
Colgo anche l’occasione
per ringraziare tutti i Salesiani di don Bosco e tutti i membri della Famiglia
Salesiana per il loro impegno educativo e pastorale, soprattutto a beneficio
dei giovani più poveri e abbandonati. Vorrei dirvi di andare avanti con
coraggio, perché la missione salesiana è più attuale che mai. Il Papa è con
voi!
Avrei voluto tanto venire
a Torino-Valdocco per incontrare i membri del Capitolo Generale 28, lo scorso mese di marzo.
Non ho potuto farlo per via della pandemia in atto.
Certamente troveremo qualche altra occasione per incontrarci.
Vi chiedo infine di non
dimenticarvi di pregare per me; lo farò volentieri per voi.
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