Occorre rivedere i luoghi comuni su democrazia, libertà, giustizia sociale, sostenibilità: non sulla base di elucubrazioni astratte, ma dei problemi reali dell’uomo di oggi.
di STEFANO ZAMAGNI
Chi si sentisse orfano di un libro di riflessione teologico–
politica calato nella realtà di questo nostro tempo, scritto in modo
esemplarmente chiaro e a tutti accessibile, non dovrebbe perdersi il nuovo
saggio di Mario Toso, vescovo di Faenza-Modigliana, già rettore della
Pontificia Università Salesiana e segretario del pontificio Consiglio di
Giustizia e Pace. Ecologia integrale, dopo il coronavirus (Frate
Jacopa, pagine 253, euro 17) è un libro originale e propositivo.
Originale per il taglio espositivo che l’autore, come già in
altri lavori, è riuscito a confezionare: una combinazione, ben riuscita, di
acume teologico, solida preparazione filosofico–politica, speciale attenzione e
passione alle problematiche di una pastorale sociale calibrata sulla ecologia
integrale. Propositivo perché questo scritto obbliga a rivedere non pochi dei
luoghi comuni intorno a categorie quali quelle di democrazia, libertà,
giustizia sociale, sostenibilità. E ciò non sulla base di elucubrazioni
astratte, ma a partire – come vuole l’approccio del realismo storico fatto
proprio da Toso – dai problemi reali che intrigano l’uomo di oggi: la crisi del
welfare state; la scarsità crescente di beni relazionali; le minacce al
principio democratico derivanti dalle nuove forme di nazionalismo e/o
sovranismo; la insostenibilità del sentiero di crescita finora perseguito,
soprattutto in Occidente; la testarda insistenza nel voler trattare i beni
comuni – tale è l’ambiente – come se fossero beni privati o beni pubblici. Né
poteva essere diversamente, stante l’accoglimento da parte dell’autore del
principio teologico secondo cui è la conoscenza a fondare l’amore: l’amore che
nasce dal bisogno è gracile; l’amore che nasce dalla conoscenza è
sovrabbondante.
Dopo una lucida ed efficace (e perciò utilissima a fini
pastorali) rilettura della Laudato si’, alla luce anche
dell’ampio dibattito internazionale suscitato dalla pubblicazione nel 2015 di
questo straordinario documento, Toso entra nel merito del suo tema, focalizzando
l’attenzione sugli assi portanti della odierna questione ecologica. Primo, la
Chiesa si prende cura non solo dell’essere umano, ma anche della natura:
«Ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (49). È in
ciò il senso proprio dell’espressione «ecologia integrale»: questione sociale e
questione ambientale sono come le due facce di una medesima medaglia e dunque
non possono essere trattate disgiuntamente, come è stato fino a tempi recenti,
quando antropocentrismo da un lato e ambientalismo estremo dall’altro
si contendevano la palma del vincitore.
Secondo, la critica al nuovo paradigma tecnocratico che si è
venuto imponendo sulla scia della rivoluzione digitale e alle forme di potere –
soprattutto finanziario – che ne sono derivate, occupa un posto centrale in
questo saggio. Toso non disconosce affatto i meriti e i vantaggi associati alla
nuova traiettoria tecnologica, ma non accetta che questi possano, anche solo in
parte, giustificare la rinuncia al principio noto come « human in
command ». L’efficienza è bensì un valore, ma di certo non quello
supremo. L’efficienza appartiene all’ordine dei mezzi, non a quello dei fini.
Di qui l’insistenza a guardarsi dai rischi, tutt’altro che virtuali, della
«servitù digitale» verso cui ci stanno dirigendo le grandi corporation dell’high–tech.
Terzo, la stretta correlazione, ampiamente documentata, tra
inquinamento e diffusione di virus quale l’attuale Covid–19 deve portarci a
riflettere sul fatto – scrive Toso – che le epidemie affliggono la società
attraverso le vulnerabilità che gli uomini creano per tramite delle loro
relazioni con l’ambiente, con le altre specie e tra loro. Il coronavirus si è
diffuso nella maniera di cui ora sappiamo perché esso ha trovato il suo fitting
(adattamento) nel tipo di società che abbiamo costruito. I virus sono profughi
della distruzione ambientale. Di qui l’invito accorato a mutare il modello di
crescita fino ad ora adottato.
Quarto, la sostenibilità – un termine ormai inflazionato e
dunque a rischio di perdita di valore – va assicurata rispetto a tutte e
tre le sue dimensioni: ambientale, economica, culturale. Non solo, ma ciò deve
avvenire in modo congiunto, cioè simultaneo. Il che non è affatto semplice. In
particolare, la transizione economica che deve essere avviata non può
riguardare solamente il passaggio dal modello di economia lineare a quello di
economia circolare, ma anche il cambiamento radicale di quelle istituzioni
economiche e finanziarie massimamente responsabili dell’aumento endemico delle
disuguaglianze sociali. Del pari, la transizione culturale da favorire –
avverte Toso – non può limitarsi alla sola denuncia del «meccanismo
consumistico compulsivo e del vortice degli acquisti e delle spese superflue» ( Laudato
si’ n. 203), ma deve spingersi fino all’affermazione di un nuovo stile
di vita centrato sulla sobrietà. Donde la necessità di porre in atto misure e
pratiche (di nudge) che favoriscano tale affermazione.
Il volume si chiude con un capitolo
specificamente dedicato a “Una nuova evangelizzazione del
mondo agricolo–rurale”. Toso tocca qui un nervo gravemente scoperto. Poche
settimane fa, le Nazioni Unite hanno pubblicato il loro SustainableDevelopment Goals Report 2020. Vi si legge che solo quest’anno 70
milioni di esseri umani si collocheranno al di sotto della linea di povertà
assoluta, un numero questo che andrà ad aggiungersi ai 750 milioni di persone
che già soffrono la fame. La situazione è talmente preoccupante che il
Programma alimentare mondiale ( World food program) sta predisponendo il più
importante intervento mai realizzato finora. Ebbene, leggere con attenzione,
alla luce di ciò, queste pagine finali del libro di Toso ci fa comprendere di
quanta forza trasformatrice della realtà intorno a noi è capace il
pensiero sociale cristiano. Il fatto della possibilità è sempre la
combinazione di due elementi: le opportunità e la speranza. È sbagliato pensare
che perché qualcosa possa realizzarsi sia necessario intervenire solamente sul
lato delle opportunità, cioè sul lato delle risorse. Quel che è necessario
perché la possibilità abbia a realizzarsi è insistere sull’elemento della
speranza, che per il cristiano non è mai utopia né il fatalismo di chi si
affida alla sorte. Essa si alimenta con la creatività dell’intelligenza
politica e con la purezza della passione civile. È la speranza che sprona
all’azione e alla intraprendenza, perché colui che è capace di sperare è anche
colui che è capace di agire per vincere la paralizzante apatia dell’esistente.
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