La
decisione del governo italiano di bloccare gli arrivi da ben 13 Stati, per
limitare i rischi di contagio da coronavirus, è un indizio eloquente del
capovolgimento che ha portato il nostro Paese ad essere, da focolaio di
contagio, ad area relativamente sicura, rispetto a quasi tutto il resto del
mondo.
Al tempo stesso, il nuovo, preoccupante aumento dei casi di contagio sta
portando a ventilare il prolungamento dello stato di emergenza fino alla fine
dell’anno.
L’Italia,
la prima nazione dell’Occidente ad essere colpita – e con estrema virulenza,
almeno in alcune regioni del nord –, ha pagato un caro prezzo alla pandemia,
non solo in termini di vite umane perdute (35.000), ma anche di sacrifici
imposti alla popolazione e di danni subiti dall’economia per un lockdown
particolarmente rigido. Oggi però si trova nelle condizioni di poter tirare un
sospiro di sollevo – anche se relativo (e sempre condizionato dal mantenimento
di alcune misure elementari di sicurezza) – e può fare un bilancio
complessivamente positivo, pur con tutte le dovute riserve, della linea di
politica sanitaria seguita per fronteggiare il coronavirus.
Lo
schiaffo ai negazionisti
Ad
attaccarla come insensata o accusandola di essere liberticida sono stati in
tanti. All’estero essa era stata addirittura oggetto di derisione. Finché la
pandemia non ha colpito con estrema violenza proprio i Paesi i cui governanti
avevano ostentato il loro scetticismo e la loro noncuranza verso i segnali di
allarme che venivano dall’Italia. Il primo a pagare le conseguenze di questo
atteggiamento è stato il Regno Unito, il cui premier, Boris Johnson, ha vissuto
sulla propria pelle, ammalandosi e rischiando la vita, la più sonora smentita
del suo negazionismo, e che attualmente, con quasi 45.000 morti, è la nazione europea
con un maggior numero di vittime.
Non
meno clamoroso lo schiaffo dato dal coronavirus alla sicumera con cui il
presidente Trump aveva assicurato che gli Stati Uniti non correvano alcun
pericolo, continuando a ripetere che gli scienziati sono troppo allarmisti e
che non bisognava paralizzare l’America con eccessivi timori. Da qui anche il
suo appoggio ai manifestanti che in diversi Stati hanno aspramente contestato
il lockdown, rivendicando il diritto alla propria “libertà”. Anche in questo
caso il rifiuto ostentato di adottare le più elementari cautele – Trump ha
sempre evitato di portare la mascherina e fino a pochi giorni fa ha presenziato
a un raduno oceanico dei suoi sostenitori (anche loro senza mascherina) – ha
dato i effetti prevedibili: più di tre milioni di contagi – con un ritmo che
tocca sempre nuovi record (siamo a più di sessantamila al giorno) – con 133.000
morti.
Il
terzo Paese più colpito al mondo è stato il Brasile. Il presidente Bolsonaro è
stato un negazionista convinto e instancabile, e lo rimane anche ora che il
virus ha colpito anche lui, insistendo sulla inutilità del lockdown e sulla
necessità di continuare a condure la vita ordinaria. Risultato: un milione e
ottocentomila contagi e quasi 70.000 decessi.
I
“complottisti” e don Ferrante
Questi
dati dovrebbero fare riflettere anche coloro che tenacemente, nel nostro Paese,
hanno accusato il governo di avere abusivamente limitato la libertà e i diritti.
Non parlo qui dei “complottisti”, che hanno addirittura negato non solo la
pericolosità reale della pandemia, ma la sua stessa esistenza, attribuendone
l’“invenzione” a scienziati corrotti, al soldo delle grandi case farmaceutiche.
Davanti a più di dodici milioni di persone contagiate in tutto il mondo e a più
di mezzo milione di morti, la loro posizione assomiglia sempre di più a quella
dei “terrapiattisti”, che attribuiscono a una congiura la tesi secondo cui la
terra sarebbe rotonda.
Nemmeno
mi riferisco ai sopracitati leader mondiali che, senza arrivare a questi
estremi, hanno creduto però di poter contestare la gravità della pandemia e
alcuni dei quali, come si è visto, hanno fatto la fine del don Ferrante
dei Promessi sposi, il quale, in piena pestilenza, era arrivato
alla conclusione che la peste non poteva esistere perché non rientrava nella
categorie della logica aristotelica, non essendo né una sostanza né un
accidente, salvo poi a ad ammalarsi e a morire lui stesso appestato.
Diritti
negati?
Penso,
piuttosto, alle diffuse recriminazioni di chi, a proposito del lockdown, ha con
insistenza parlato di “diritti negati”, e quindi anche a quella parte del mondo
cattolico che ha vivacemente protestato, finché sono rimasti in vigore, per i
divieti alle celebrazione di messe, matrimoni e funerali.
Davanti
al disastro provocato altrove da strategie meno severe, questi difensori della
“libertà” hanno rimproverato al governo di non avere voluto seguire una linea
“mediana”, che evitasse lockdown, imposizioni poliziesche e gravi danni
all’economia, puntando piuttosto sul senso di responsabilità dei cittadini,
senza cadere però nel lassismo provocato altrove dai governanti “negazionisti”.
Chi
ha seguito i miei “chiaroscuri” di questi ultimi mesi sa che ho più volte
rilevato gli errori, le incertezze, le contraddizioni che hanno
contraddistinto, a livello tattico, l’azione di Conte. Mi sembra difficile,
però, alla prova dei fatti, negargli il merito di avere seguito una strategia
che alla fine ha limitato i danni in termini di vite umane.
Il
prezzo economico: mal comune mezzo gaudio
Si
potrà dire che il prezzo è stato troppo alto. In particolare, impressionano i
dati dell’economia: in base alle stime del Fondo monetario internazionale, il
nostro Paese avrà nel 2020 una caduta del Pil del 12,8%.
Ma
a chi imputa questo prezzo agli errori di gestione da parte del governo, è
facile far notare che il Fondo, sempre per il 2020, prevede anche per la Spagna
un calo del Pil della stessa portata – 12,8% – e uno di poco inferiore – del
12,5% – per la Francia. Crisi a due cifre anche per il Pil britannico, che nel
2020 calerà del 10,2%. E che per la stessa “locomotiva” tedesca si preveda una
contrazione del 7,8% è significativo della difficoltà incontrata da tutti i
grandi Stati europei nel conciliare tutela della salute e difesa dell’economia.
Bastano
i “consigli”?
Quanto
all’accusa di avere violato i diritti umani, costringendo d’autorità a un
confinamento che avrebbe dovuto essere se mai consigliato, c’è solo da far
notare che, dei Paesi con cui il confronto è possibile (ce ne sono, come la
Svezia, le cui condizioni sono troppo diverse), che hanno registrato un numero
minore di morti sono quelli che hanno adottato forme di severo confinamento,
mentre in altri, come l’Inghilterra, i “consigli” non sono mancati, ma si sono
rivelati insufficienti.
Anche
in Italia, del resto, dove la fine del lockdown è accompagnata, in questi
giorni, da pressanti raccomandazioni di non abbassare la guardia, le foto
pubblicate dai giornali, ma anche la nostra quotidiana esperienza, ci dicono la
vanità di questi appelli. Da qui il timore di una “seconda ondata” della
pandemia e le ipotesi di prolungare lo stato di emergenza.
La
verità è che il dopo-lockdown sta dimostrando quanto sia carente il senso di
responsabilità dei cittadini, quando non è sostenuto da norme rigorose. È un
fatto che può dispiacere, ma che è difficile negare.
Il
dualismo perverso tra Stato e individuo
La
verità è che il coronavirus ha messo in luce una debolezza di fondo insita
nella logica liberale che, indebolendo, fino a volte ad eliminarlo, il senso
comunitario dei singoli e favorendo una cultura individualista, affida solo
allo Stato “gendarme” (l’espressione è dei pensatori che hanno fondato il
liberalismo) e alle sue leggi impositive il compito di garantire la convivenza
civile. L’antica idea che l’essere umano sia “sociale” per sua natura, e
strutturalmente legato agli altri da una reciproca responsabilità, ha lasciato
così il posto a una visione in cui l’individuo si ritiene veramente libero
quanto meno è vincolato ad essi e al rispetto delle loro esigenze.
Diritti
senza doveri
Perciò,
l’esaltazione dei diritti non è stata controbilanciata da una analoga
percezione dei doveri. A porre questi ultimi si è dovuto e si deve provvedere
con la coercizione esterna delle leggi, che, in questo modo, diventano non la
garanzia, ma il limite della libertà e vengono subite con insofferenza.
Lo
abbiamo visto e lo vediamo non solo di fronte alla pandemia, ma, purtroppo,
nella crisi complessiva del senso di cittadinanza che dovrebbe essere alla base
della nostra democrazia. Il bene comune, per la grande maggioranza, è solo uno
slogan vuoto. E ai governi si chiede non di perseguire questo ideale utopico
ma, molto più realisticamente, di cercare di bilanciare nei limiti del
possibile i diversi e talvolta opposti interessi particolari, ovviamente
appagando in primo luogo quelli più forti.
Di
questa fragilità costitutiva – che mina le basi della nostra società –
sentiremo tutte le conseguenze quanto più usciremo dall’emergenza. Già ora
l’allentarsi del pericolo e, conseguentemente, delle regole esteriori, ha
favorito il ritorno agli individualismi e ai particolarismi, anche all’interno
del governo, come evidenzia la permanente paralisi che rende lentissime le sue
decisioni.
“Minoranze
profetiche da shock” per un mondo diverso
Esistono
soluzioni? A breve scadenza, no. Una cultura diffusa non si cambia con un colpo
di bacchetta magica. Ma possono incidere su di essa, per trasformarla, quelle
che Jacques Maritain chiamava «minoranze profetiche da shock», gruppi capaci di
esercitare una critica in profondità dell’esistente, spingendo a riflettere su
prospettive diverse. Magari, come nel caso del coronavirus, partendo dalle
esperienze più negative per aprire alla speranza di un mondo diverso.
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