INTERVISTA AL PRESIDENTE DEL PARLAMENTO EUROPEO
Nell'intervista concessa all'Osservatore Romano e
a Radio Vaticana - Vatican News il presidente del Parlamento Europeo, David
Sassoli, elenca le sfide, che attendono l'Unione dei 27, innanzitutto legate
all'emergenza Coronavirus. "Solo insieme si esce dalla crisi"
di Andrea Monda
Incontriamo
telefonicamente David Sassoli, presidente del Parlamento Europeo, in una data
altamente simbolica, il 25 aprile e la conversazione ruota tutta sul tema dei
valori, libertà, democrazia, pluralismo che sono sottesi a quella ricorrenza.
Non si tratta di temi astratti ma di quella “fonte” da cui scaturisce la cura e
l’attenzione per la vita concreta delle persone che è la dimensione da cui si
deve ripartire per ricostruire un’Europa capace di uscire più forte dalla
tremenda crisi della pandemia del Covid-19.
Papa Francesco di recente a più riprese ha dedicato molto spazio nei suoi
discorsi proprio al tema dell’Europa. Ad esempio, nel messaggio Urbi et
Orbi della Pasqua ha affermato che: «Dopo la Seconda Guerra Mondiale, questo
continente è potuto risorgere grazie a un concreto spirito di solidarietà, che
gli ha consentito di superare le rivalità del passato. È quanto mai urgente,
soprattutto nelle circostanze odierne, che tali rivalità non riprendano vigore,
ma che tutti si riconoscano parte di un’unica famiglia e si sostengano a
vicenda. Oggi l’Unione Europea ha di fronte a sé una sfida epocale, dalla quale
dipenderà non solo il suo futuro ma quello del mondo intero. Non si perda
l’occasione di dare ulteriore prova di solidarietà anche ricorrendo a soluzioni
innovative». Volevo chiedere a lei, come cattolico, come cittadino,
rappresentante politico e come Presidente del Parlamento Europeo, che effetto
le ha fatto ascoltare queste parole dal Santo Padre?
R.: L’effetto di un richiamo giusto, per
affrontare con responsabilità questo passaggio storico, perché è vero che
l’Europa è una comunità di interessi, ma non può non essere una comunità di
destino. E in questo momento il richiamo del Santo Padre è particolarmente
importante perché ci chiede di essere attenti a tutte le persone. Credo che
questo sia il momento in cui l’Europa degli Stati, delle nazioni, dei governi,
possa rafforzare le sue istituzioni per essere accanto a tutti i cittadini,
quelle del nord e quelli del sud. Per fare cosa? Innanzi tutto per rivedere il
proprio modello di sviluppo, per riuscire a proteggere meglio le persone e per
custodire anche quei valori che il Santo Padre ha richiamato e che sono un
elemento indispensabile per sostenere le sfide che il mondo globale ci
propone. Noi abbiamo una responsabilità che riguarda anche il patrimonio di
valori che questi settanta anni ci hanno consegnato: la libertà, la democrazia,
il pluralismo. Credo che in questo momento dobbiamo essere ancora più
orgogliosamente fedeli ai valori europei perché il mondo ne ha bisogno.
L’Unione Europea si trova nella condizione di dover armonizzare la spinta
ideale dei padri fondatori, con la concretezza, anche finanziaria, richiesta
nei vari momenti storici e politici. Come riuscire a trovare ogni volta, e
adesso in special modo, questo difficile, ma necessario equilibrio?
R.: Siamo ad un cambio di fase e serviranno
visione e pragmatismo. L’Europa non si costruisce soltanto immaginandola
illuministicamente. L’Europa è un grande spazio di dibattito politico e
vogliamo che lo sia sempre di più. Vogliamo che però sia anche uno spazio di
partecipazione e non solo di cruda difesa degli interessi nazionali. Ecco
perché lo spazio europeo può essere anche di esempio e un modello per gli
altri, non credendoci più bravi degli altri, ma sapendo offrire agli altri un
patrimonio importante per tutti. Dobbiamo dimostrare che in libertà, in
democrazia, rispettando i diritti fondamentali della persona e il
valore della vita si vive meglio e si può migliorare gli standard di vita. Se
si sgretola l’Europa chi altri oggi nel mondo terrebbe alta a bandiera dei
diritti della persona? In questo momento il mondo chiede più democrazia, non
meno democrazia.
Il Papa dice: «Dare ulteriore prova di solidarietà anche ricorrendo a
soluzioni innovative»; scendendo sul piano concreto: le misure che sono uscite
fuori dal Consiglio Europeo del 23 aprile, penso ad esempio al Recovery Fund,
possono essere viste come quelle soluzioni innovative di cui parla il Papa?
R.: Sì, nella miseria della politica, il
Consiglio ha fatto un importante passo in avanti. Siamo entrati un mese e mezzo
fa a mani nude, sprovvisti di strumenti per affrontare una crisi così
profonda che lascerà degli strascichi importanti nelle nostre società.
Oggi ne usciamo un po’ meglio attrezzati, con degli interventi che sono stati
fatti tempestivamente, alcuni erano anche attesi da molto tempo, ma sono stati
fatti con velocità. Nel Consiglio di giovedì è stata presa una decisione: aprire
un “cantiere della ricostruzione” per dare una risposta comune, europea,
all’emergenza. Questo è il passo in avanti; non era scontato. Adesso questo
piano della ricostruzione dobbiamo fondarlo sulla solidarietà. Mi lasci dire
però che credo che da questa crisi non si uscirà solo raddrizzando le questioni
materiali; penso invece che usciremo da questa crisi se le questioni materiali
si combineranno con una ripresa di valori, quei valori europei oggi
indispensabili. Bene quindi l’apertura del cantiere e della discussione che si
svilupperà cercando di far conciliare sensibilità, punti di vista, interessi.
Ma la cosa importante, da sottolineare, è che abbiamo sentito da tutti i capi
di governo il richiamo a un’uscita comune dalla crisi. Si esce insieme, altrimenti
sarebbe declino per tutti; questo qualche settimana fa non era scontato.
Lei ha usato l’espressione della necessità di un “Piano Marshall” per la
ripresa, finanziato direttamente dai Paesi dell’Unione. Si tratterebbe di una
strategia che evidenzierebbe la forza dell’Unione Europa, ma soprattutto la sua
capacità di essere coesa e solidale. Questo mi sembra un messaggio di cui si
sente davvero il bisogno: la vicinanza e non la distanza. Dal ruolo che
riveste, lei percepisce che c’è stato uno scatto, un cambiamento, che la
dimensione sociale è entrata al centro della riflessione dell’Unione Europea?
R.: Sì, perché tutti, settimana dopo settimana,
si sono resi conto della profondità della crisi. E quanto siano interdipendenti
e connesse le economie dei singoli Stati. L’Europa si costruisce con le sue
crisi, diceva Jean Monnet. È così. E ad ogni momento di difficoltà tutti
capiscono che non puoi fare da solo, che nessuno è autosufficiente. L’avevamo
detto sei settimane fa: o ne usciremo con un’Unione europea più
attrezzata e robusta oppure non ne usciremo. Per fare questo adesso servirà
rafforzare il livello istituzionale dell’Unione e renderlo capace di guidare la
fase nuova. Dobbiamo combattere contro l’egoismo? Sì. Dobbiamo combattere
contro una vecchia idea nazionalista che esiste in tutti i Paesi? Sì. Però, in
questo momento sentiamo tutti la necessità che il mondo lo possiamo affrontare
se le nostre istituzioni, il quadro democratico europeo sarà più robusto e in
grado di assumere decisioni in tempi rapidi. Quindi non bastano solo
soluzioni alla crisi in quanto tale; servono soluzioni al cambio di fase che
questa crisi impone a tutti. Le faccio un esempio: noi non possiamo e non
vogliamo rinunciare alle libertà e alla democrazia, però dobbiamo anche adeguarle,
perché siano anche più capaci di rispondere tempestivamente. Abbiamo bisogno di
sostenere un processo di uscita dalla crisi rivedendo il nostro modo di essere.
Rafforzare l’Europa vuole dire anche cambiarla, adeguando gli strumenti con i
quali siamo entrati nella tempesta. Credo che questo sia uno sforzo che
riguarda Bruxelles, ma che riguarda tutte le capitali, tutti i Paesi; anche
loro devono cambiare. Dobbiamo inoltre avere un’idea chiara nel medio e nel
lungo periodo su dove vogliamo andare, cosa e come ricostruire. Vogliamo
tornare a rimettere le lancette dell’orologio indietro o le vogliamo mettere al
tempo giusto, in cui, con grandi difficoltà, la storia ci ha posizionato? Oggi
l’orologio non può tornare indietro. In questo è quanto mai prezioso il forte
richiamo che Papa Francesco ci sta rivolgendo, ha ragione e coglie il
punto, perché la democrazia la rafforziamo se guarda alle persone, a ogni
persona, agli interessi e alla necessità di ogni persona. Allora la sfida è
quella di riallacciare, riscoprire una vocazione. Poi è vero, abbiamo un piano
per la ricostruzione, un “piano Marshall”, che però a differenza del Secondo
Dopoguerra, deve essere finanziato dagli europei e non verrà finanziato da
altri; un piano che, ad esempio, dovrà dirci quanto cambiamento del nostro
modello economico vogliamo, quanto vogliamo investire nelle ricostruzione sul
green deal e l’Europa digitale… La pandemia ci ha posto davanti a una
sfida, il cambio di fase, di passo, e questo ci deve vedere molto attenti e capaci
di coglierne gli elementi di novità. Dobbiamo questo non solo alla tradizione e
ai valori dell’Europa; dobbiamo questo anche alle persone che sono morte, alle
persone che ci hanno lasciato, a questo dolore che il mondo sta provando.
Dobbiamo uscirne proteggendo meglio le nostre società. La ricostruzione è fatta
di tante cose, contiene tanti ingredienti.
Qualche giorno fa, intervistato da Vatican News, Andrea Riccardi ha detto
che secondo lui la pandemia non rende più difficile, ma più facile l’azione
condivisa, la coesione quindi di tutti per cercare di cambiare la situazione.
Però lui stesso notava come l’Europa in passato e ancora forse oggi, stia
tralasciando i temi umani, i temi del legame. Quella attenzione alle persone
che con insistenza Papa Francesco ci ricorda è la risposta al vero
problema della società europea, delle società occidentali, il problema della
grande solitudine delle persone. Paradossalmente il coronavirus che ci condanna
all’isolamento, ha svelato un fatto che però era già presente, questa grande
solitudine. Non tocca alla politica rispondere, e come?
R.: Sono convinto che questa fase, anche così
dolorosa, stia mettendo in risalto tanti elementi di umanità. Anche la politica
quando esce dalle contrapposizioni, magari dà anche prova di questa umanità. Mi
riferisco per esempio ad alcuni provvedimenti, a delle buone pratiche che in
questo momento tanti governi europei, sia al nord che al sud, hanno adottato e
che forse potrebbero essere utili e costituire degli esempi. In Portogallo è
stata fatta una legge per dare un indirizzo fittizio ai senzatetto e ai
migranti e poter consentire loro di accedere ai servizi sociali, sanitari.
Credo che questo modo di affrontare la crisi, facendo leva sulle esperienze che
le società civili stanno animando, sia molto importante perché una politica
senza i cittadini vive nella torre di avorio e diventa burocrazia. Penso quindi
che da questa stagione si uscirà rafforzando l’umanità che in questo momento in
tutti i Paesi si sta manifestando, è una grande ricchezza e sarà anche il
riscatto di questa stagione. Poi, non dobbiamo nemmeno cadere in visioni
illuministiche, perché noi sappiamo che non basta immaginare il mondo nuovo,
dobbiamo costruirlo. Questo lo dobbiamo fare passo per passo, battaglia dopo battaglia,
sostenendo ogni passaggio con il consenso, perché la democrazia è consenso,
trovare soluzioni per mezzo di decisioni condivise. Questo è il tempo per
grandi riflessioni sul modo di essere della politica. Vorrei sottolineare però
che stiamo vedendo delle cose straordinarie che fanno parte di una generosità
degli uomini e delle donne che in questo momento stanno combattendo, che si
rimboccano le maniche; pensate a tutte le associazioni che in questo momento
sono mobilitate in Europa: che energia esprimono! Credo quindi che possiamo
caricarci di speranza, rispetto alla fatica, al dolore di queste drammatiche
vicende. Per noi questa è una necessità: caricare e ricaricare la speranza e lo
possiamo fare solo se saremo accanto alle persone.
Quale ruolo può assumere l’Unione Europea nello scenario globale del dopo
pandemia? Può diventare l’UE un modello da seguire?
R.: Deve diventare un modello, perché altrimenti
non avrebbe alcuna funzione. Purtroppo nello spazio europeo ci sono dei virus
oltre il Covid, che da sempre tormentano lo spirito europeo. Uno è certamente
l’antisemitismo e l’altro è il nazionalismo, che sono le spinte che producono
divisione, costruzione del nemico, odio, e in Europa anche guerre. Dobbiamo
portare lo spazio europeo, che già lo è, ad essere ancora di più un punto
di riferimento. Ma uno spazio di libertà non può vivere senza responsabilità e
solidarietà. Credo che questa sia la vocazione dell’Europa che ci hanno
consegnato i nostri padri in questi settant’anni, e su questo
dobbiamo investire. L’Europa non può essere utile solo a se stessa, perché non
avrebbe visione, non avrebbe orizzonti. Essa è utile agli europei certo, ai
nostri paesi per stare al mondo altrimenti sarebbero marginalizzati, ma è anche
utile al mondo per avere un punto di riferimento. Non vogliamo uscire da questa
crisi con più autoritarismo e imperialismo ma con più democrazia e
partecipazione.
In un’intervista di qualche mese fa all’Osservatore Romano, Massimo
Cacciari usò questa espressione: «L’Europa è vecchia, decrepita. Ha bisogno di
un fertilizzante e guardandomi in giro, lo dico da non credente, l’unico
fertilizzante che vedo in circolazione è la Chiesa cattolica, i cattolici».
Secondo lei la Chiesa cattolica, i cattolici, possono oggi avere questo ruolo per
rigenerare non il Vecchio Continente, ma un continente vecchio?
R.: Sì, possono esserlo, però questo non deve
costituire un alibi per chi non è cattolico, perché c’è il rischio di assegnare
ai cattolici una responsabilità che deve essere di tutti. Si scarica sempre su
altri e questo non va bene. Secondo la Lettera a Diogneto i cristiani vivono
nella società, non al di fuori di essa. E anche gli altri devono vivere
nella società e devono collaborare. Ognuno faccia la propria parte. In Europa
ci sono tante sensibilità, tante culture e ognuno deve portare sulle spalle la
propria parte di responsabilità. Certamente lo faranno i cattolici, i
cristiani, però in questo momento credo che sia l’Europa nel suo insieme che
deve avere le spalle larghe per assumere una funzione agli occhi del mondo. Per
i cristiani credo venga naturale pensare che la vita degli altri, di quelli che
sono fuori dal nostro spazio, sia uguale alla nostra, che debba avere gli
stessi diritti. Questo è normale per i cristiani. Ecco perché credo che le
parole di Papa Francesco stiano impressionando tutti e chiamando tutti alla
responsabilità anche i non credenti.
La società ha bisogno sempre di essere rigenerata. Mi viene in mente la
figura del Senatore Roberto Ruffilli, che il 16 aprile del 1988 fu barbaramente
ucciso dai terroristi; viene da pensare che dal punto di vista cristiano per
“fertilizzare” bisogna dare la vita, il seme che muore produce molto frutto.
Ruffilli aveva dedicato tutta la vita a questo ideale di libertà e democrazia,
il suo libro s’intitolava «Il cittadino come arbitro». Oggi anche la democrazia
è in gioco in questa crisi dell’Europa?
R.: Sono stato molto amico di Roberto. La sua
testimonianza è davvero un esempio. Quel titolo, «Il cittadino come arbitro», è
molto attuale. Ci richiama a fare in modo che tutto quello che uscirà dalla
crisi sia fatto per le persone, non solo per ricucire stappi all’interno di
dinamiche di potere. Ecco perché da questa crisi dobbiamo uscirne rafforzando i
processi democratici. Ma quanti oggi si stanno impegnando per dividere lo
spazio europeo? E come mai c’è tanto impegno a dividerci, a renderci più
deboli, a frammentarci, a riportarci ognuno nella sua piccola patria? Perché
c’è questa dinamica che arriva forte da fuori dell’Europa e che scatena questa
voglia di averci deboli? Eppure non abbiamo un esercito, non facciamo la
guerra, non invadiamo Paesi … Credo che la risposta sia perché i valori e il
diritto europeo siamo elementi di forte contraddizione in questo momento
rispetto a dinamiche globali che vedono una ripresa dell’autoritarismo. Ecco
perché ha fatto molto bene Papa Francesco a richiamare alla responsabilità gli
europei, affinché in questo momento possano essere un punto di riferimento per
riappropriarsi dei valori davvero importanti per l’uomo: il valore della vita,
il valore dei diritti inalienabili delle persone, il diritto alla libertà;
riferimenti per noi scontati, ma che ne mondo non lo sono.
Ha ragione quindi il cardinale del Lussemburgo Hollerich, che di recente su
“La Civiltà Cattolica” ha detto: «L’Europa non può essere ricostruita senza
un’idea di Europa senza ideali»
R.: Certamente. Ma noi gli ideali li abbiamo
anche se facciamo troppa fatica ad esprimerli. Il problema è che spesso
l’egoismo delle nazioni, un cattivo sentimento nazionalista, l’idea che io sia
migliore dell’altro, impedisce di dispiegare le nostre potenzialità e
manifestare la nostra identità. Credo che questa crisi possa essere l’occasione
per liberarci di tante catene.