"Il mito della Chiesa
che non paga le tasse sugli immobili"
Circolano su Internet e sui giornali accuse su evasioni fiscali della
Chiesa e del Vaticano, oltre a falsità sui beni.
Mons. Nunzio Galantino, presidente
Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica (Apsa), sul mensile Vita
Pastorale, ribadisce: “Chi denunzia Il Vaticano deve offrire cifre
attendibili”.
di Monsignor Nunzio Galantino
«Un prete non sa rispondere a quanti continuano a
ripetergli che il Vaticano ha evaso 5 miliardi di Imu allo Stato». Ha ragione
questo prete a trovarsi in difficoltà. Mi troverei in difficoltà anch’io, ma
non tanto per mancanza di risposta. Quanto piuttosto per una carenza
fondamentale nella domanda, dal momento che chi continua a ripetere che «il
Vaticano ha evaso 5 miliardi di Imu allo Stato» non offre nessun dato che
permetta di verificare l’attendibilità dell’affermazione. Da chi denunzia la
rilevante somma che il Vaticano avrebbe evaso bisognerebbe farsi dire in base a
quale legge, su quali immobili e in riferimento a quale periodo è stato
quantificato il debito del Vaticano? E poi, strettamente legati a questo tema,
circolano su Internet e sui giornali i numeri più disparati circa le proprietà
della Chiesa. C’è, addirittura, chi afferma che in Italia un immobile su
quattro apparterrebbe al Vaticano o a enti religiosi! Si tratta, evidentemente,
di dati fantasiosi e del tutto irrealistici, alimentati dalla leggenda delle
immense ricchezze accumulate nel tempo dalla Chiesa cattolica. Di fatto, la
maggior parte dei suoi immobili sono chiese, che non rendono nulla e per i
quali bisogna, invece, sostenere elevati costi di manutenzione. Torniamo al
mito della Chiesa che non paga le tasse sugli immobili. In realtà, non è così e
non lo è mai stato.
Su immobili dati in affitto imposte pagate senza sconti o riduzioni
Per l’ennesima volta, bisogna ribadire che sugli
immobili dati in affitto – quelli cioè che rendono davvero – da sempre le
imposte vengono pagate senza sconti o riduzioni. In passato, le polemiche
furono alimentate perché l’Ici (imposta comunale sugli immobili) prevedeva
l’esenzione per gli immobili degli enti senza scopo di lucro, integralmente
utilizzati per finalità socialmente rilevanti (per esempio, scuole, mense per i
poveri o centri culturali). A tale proposito, è bene chiarire che questo tipo
di esenzione non riguarda solo gli enti appartenenti alla Chiesa cattolica. Di
questa esenzione hanno sempre beneficiato e beneficiano tutte le altre
Confessioni religiose, tutti i partiti, tutti i sindacati e tutte le realtà che
realizzano le condizioni previste dalla legge. Il ragionamento che giustificava
l’esenzione era semplice: i comuni rinunciano all’imposta, perché il vantaggio
che la comunità riceve da tali attività è di gran lunga superiore. E questo lo
sanno bene i nostri concittadini, i quali apprezzano il bene che viene fatto
attraverso le opere caritative. Contrariamente a quanto molti hanno scritto e
continuano a scrivere, l’esenzione nonsi è mai applicata alle attività
alberghiere, anche se gestite direttamente da istituti religiosi. Esse pagavano
totalmente le imposte, mentre l’esenzione si applicava alle sole attività
ricettive svolte senza percepirne reddito (per esempio, Case famiglia o
strutture per l’accoglienza di profughi e senza tetto).
Si smetta di diffondere generiche e non verificate notizie
Per completezza di informazione vanno ricordate
le dichiarazioni di Papa Francesco e quelle dell’allora Presidente della
Conferenza episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco. Entrambi, in
circostanze diverse, hanno ribadito il preciso dovere di pagare le tasse dovute
sugli immobili di proprietà ecclesiastica che svolgono attività commerciali. Io
stesso, allora Segretario generale della Cei e in altra circostanza, ho
invitato i giornalisti a smettere di diffondere generiche e non verificate
notizie. Ho persino chiesto a coloro che fossero a conoscenza di evasione da
parte di enti ecclesiastici, di denunciarli subito alle competenti autorità,
assicurando il mio appoggio. Non esistono studi seri che – numeri alla mano –
quantifichino la misura delle esenzioni di cui hanno goduto gli enti non
commerciali e ne determini la percentuale riferibile agli enti ecclesiastici.
Con il tempo, le imposte sono cambiate: ora ci sono l’Imu, imposta comunale
sugli immobili, e la Tasi, tributo locale per i servizi indivisibili. Essi si
aggiungono all’Ires, imposta di carattere nazionale che interessa le persone giuridiche.
Agli enti non commerciali l’Ires si applica con l’aliquota ridotta del
cinquanta per cento. Essi però, a differenza delle società commerciali, non
possono recuperare l’Iva sui lavori e sull’acquisto delle merci.
Tasse pagate nel 2019 in Italia
Come ulteriore contributo alla chiarezza e per
focalizzare il discorso su dati certi, riporto le tasse pagate nel 2019 in
Italia dall’Amministrazione del patrimonio della Santa Sede, l’ente vaticano
che gestisce gli immobili intestati direttamente alla Santa Sede: 5.750.000
euro di Imu e 354.000 euro di Tasi, versati per oltre il novanta per cento al
comune di Roma, dove gli immobili si trovano. Se aggiungiamo 3.200.000 euro di
Ires, arriviamo a un totale di oltre 9.300.000 euro. Non proprio una bazzecola,
tenuto conto che queste somme si riferiscono soltanto alla parte di beni
amministrati dall’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica).
A queste somme va aggiunto quanto, con gli stessi criteri, pagano la
Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli (Propaganda Fide), il Vicariato
di Roma, la Cei, gli Ordini e le Congregazioni religiose. Varrebbe la pena,
allora, partire da dati certi per avviare una riflessione seria, mettendo sul
tavolo anche il valore di ciò che la Chiesa fa ogni giorno per il bene del
Paese. Non certo per la volontà di “contabilizzare” o “censire” la carità, che
è stata fatta e continua a essere fatta silenziosamente in favore di tutti i
bisognosi. Ma, piuttosto, per chiedere a quanti ci accusano di evasione, di partire
dalla realtà dei fatti.
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