Fa discutere la proposta leghista per ribadire l'obbligo
in
tutti gli edifici pubblici
LE REGOLE CI SONO GIA’!
di Carlo Cardia,
giurista
Probabilmente,
la polemica che s’è aperta con la proposta di prevedere la presenza del
Crocifisso in tutti gli uffici e i luoghi pubblici, con una
estensione senza confini, perfino nelle Università, nei porti e aeroporti,
terminerà presto, per la sua inutilità e per qualche profilo, contraddittorio e
rischioso. Ciò che rende del tutto inutile la proposta è anzitutto la
tradizione italiana, e il nostro ordinamento giuridico, che pur in tempi
diversi, si sono ispirati a una laicità positiva che ha sempre salvaguardato il
nostro Paese da polemiche aggressive, e l’ha indotto a scelte inclusive
dall’epoca risorgimentale a oggi.
Proprio il Crocifisso, in opposto
a opinioni non informate, è collocato nelle scuole italiane per impulso della
Legge Casati del 1859 e per il Regio Dec. 15 settembre 1860, n. 4336 che lo
prevedeva in ogni scuola, mentre il Decreto 6 febbraio 1908, n. 150, confermò
il simbolo e l’insegnamento religioso nelle scuole elementari. Non tutti sanno
che tale insegnamento introdotto in epoca liberale, dalla Legge Coppino del
1877, fu legittimato dal Consiglio di Stato, e ogni ipotesi d’abrogazione venne
respinta. Per i nostri "padri liberali", d’altronde, la legge si deve
«adoprare perché il sentimento religioso non scada» e non ceda
all’indifferentismo, e Marco Minghetti osserva «i padri di famiglia si
disvogliano dal mandare i figliuoli loro» a una scuola lontana dalla religione,
che doveva tra l’altro contribuire anche a formare buoni cittadini.
Con lo stesso spirito inclusivo,
la presenza del Crocifisso in alcuni spazi pubblici, è stata mantenuta in epoca
concordataria (1929), ed è passata successivamente al vaglio delle nostre
Magistrature superiori, nonché della Corte europea dei diritti dell’uomo
(Cedu), come ricordato ieri su queste stesse pagine, superando ogni
opposizione, con motivazioni sempre ispirate alla laicità positiva propria del
nostro ordinamento. In particolare, sia la sentenza della Cedu del 18 marzo
2011, emessa dalla Grande Chambre di Strasburgo dopo un lungo giudizio,
sia il Consiglio di Stato nel 2009, hanno sottolineato come la Scuola italiana
sia improntata ai princìpi di libertà religiosa, e comprenda più presenze
religiose anche non cattoliche: il Crocifisso quindi riflette la tradizione
religiosa, storica e culturale italiana, nella quale la libertà religiosa s’è
costantemente ispirata al rispetto del pluralismo e, possiamo dire oggi, del
dialogo interreligioso con altre fedi e orientamenti ideali.
Di qui, una prima considerazione.
Non c’è alcuna ragione per modifiche normative, dal momento che la nostra
laicità, proprio sul tema dei simboli negli spazi pubblici, è stata ribadita
dalle più alte magistrature a livello nazionale ed europeo. Può, invece,
nascere il sospetto, rimbalzato sui primi commenti, che gli obiettivi della
proposta siano altri rispetto a quelli enunciati. Che si voglia sottolineare ultra
vires un elemento identitario che va ben oltre la previsione normativa, e
che facilmente si colora di spirito esclusivista. Inoltre, un’estensione così
ampia della presenza del simbolo in tanti luoghi pubblici crea più problemi di
quanti ne risolva, lasciando alle autorità una discrezionalità che può
provocare nuove controversie amministrative o giudiziarie: l’estensione alle
assemblee elettive, alle aule universitarie, dello stesso concetto di ufficio
pubblico, fino agli spazi portuali, più che il rispetto per il simbolo religioso
sembra suggerire una esibizione quasi impositiva. Infine, crea disagio il fatto
che una maggioranza politica voglia appropriarsi di una identità religiosa e
culturale che è di tutti, e che si connota per la sua apertura al pluralismo.
Né va dimenticata la coralità di
consensi che ha accompagnato in Italia la difesa del Crocifisso secondo le
norme odierne. Ciò che spinse la Grande Chambre nel 2011 a dare ragione
all’Italia fu proprio quella communis opinio che unì cattolici,
liberali, uomini di sinistra, nel vedere nel simbolo della Croce il riflesso
dei valori etici e culturali della nostra tradizione. "Avvenire" ha
già ricordato le parole di Natalia Ginzburg, per la quale il Crocifisso
rappresenta tutti coloro che hanno sofferto per la propria fede, e che per il
Dio della Bibbia sono uguali e fratelli tutti, e tutti legati da una comune
solidarietà.
Si unirono le parole di Umberto Eco secondo cui nell’epoca
della multiculturalità ciascuno deve accettare le diversità degli altri, che
non vanno nascoste ma proposte nella loro autenticità e per la ricchezza che ne
deriva.
Ancora Massimo Cacciari ricordò
che la Croce «parla di una sofferenza che sa accogliere in sé tutte le
sofferenze e in qualche modo redimerle. Un segno di straordinaria accoglienza,
di straordinaria donazione di sé».
E l’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
evocò il significato del Crocifisso per la nostra tradizione e per i valori
religiosi ed etici che esprimeva. Al consenso della cultura italiana, seguì una
adesione ancor più ampia in Europa all’epoca del giudizio davanti alla Corte di
Strasburgo. Quando molti Paesi ortodossi appoggiarono formalmente l’Italia
nella difesa della sua legislazione, e diversi Paesi del Nord Europa a
maggioranza protestante sostennero le nostre ragioni anche perché in quasi
tutte le loro bandiere nazionali figura la Croce come emblema nazionale: in
Gran Bretagna la bandiera nazionale evoca tre Croci, di San Giorgio,
Sant’Andrea e San Patrizio. Questa coralità di adesioni convinse la Grande
Chambre a legittimare la presenza del Crocifisso nelle scuole, e ottenne il
consenso di una forte maggioranza dei giudici che si pronunciarono
sull’argomento.
Possiamo ammettere che il tempo presente non è tempo di
moderazione, e che le esasperazioni identitarie e nazionaliste sembrano
prevalere in alcune parti d’Europa e oltre Atlantico, ma ciò non toglie che
anche nei momenti di decadenza è sempre necessaria una saggezza elementare
quando si parla di valori universali che riguardano tutte le donne e gli uomini,
e ricordano che nessuno deve mai essere discriminato o privato dei suoi diritti
fondamentali.
Il Crocifisso è tra i simboli che vengono rispettati, spesso
riconosciuti, da uomini di tutte le fedi proprio per il loro significato di
soccorso nelle sofferenze, d’esaltazione della vita buona che possiamo
dedicare agli altri. Una cosa, però, va evitata tutti insieme, che venga
utilizzata la Croce per esibire un orgoglio che divide e rifiutata poi
quell’accoglienza ai più deboli e più poveri che invece il Crocifisso
rappresenta e chiede di promuovere in ogni tempo e luogo.
UN VALORE CHE NON PUO' DIVIDERE
di Lucia Bellaspiga, giornalista
Duemila anni dopo è ancora
scontro sul Crocifisso. E sulla croce alla quale fu inchiodato. Esibito in
campagne elettorali, espulso (nelle intenzione di alcuni) da aule scolastiche e
stanze d’ospedale, evocato in altre Aule per giustificare proclami spesso
tutt’altro che cristiani, bestemmiato in manifestazioni di pessimo gusto, imposto
senza crederci, il simbolo per eccellenza di riconciliazione e rispetto infuoca
ancora oggi il dibattito. Un dibattito viziato spesso dal fatto che, del
Crocifisso, i due estremismi in guerra alla fine sanno ben poco e del resto non
è Lui a interessare loro, ma la valenza propagandistica che gli attribuiscono.
«Usare il Crocifisso come un Big Jim qualunque è blasfemo», ha twittato ieri padre
Antonio Spadaro, direttore gesuita di "Civiltà cattolica", «la
croce è segno di protesta contro peccato, violenza, ingiustizia e morte – ha
ricordato –, non è mai un segno identitario. Grida l’amore al nemico e
l’accoglienza incondizionata. È l’abbraccio di Dio senza difese. Giù le
mani».
Big Jim, la bambola maschile
tutta muscoli e snodabile, adattabile a qualsiasi posizione e circostanza, è
immagine cruda quanto drammatica di un Cristo che oggi in croce ci torna tutti
i giorni, brandito come arma e usato come alibi per respingere il prossimo.
Esattamente sull’uso improprio di quel termine, "identitario",
sottolineato da padre Spadaro, fa perno oggi una presunta "difesa"
del Crocifisso che in realtà è un’offesa: «Ora in tutti gli edifici un bel
crocifisso obbligatorio regalato dal Comune!», aveva trionfato su Facebook nel
2014 il neo sindaco leghista di Padova, Massimo Bitonci, dopo la
vittoria elettorale, e ancora nel Padovano nel marzo scorso il sindaco leghista
di Brugine, Michele Giraldo, regalava croci alle scuole del paese ma con parole
minacciose: «Chi non rispetta determinati simboli deve adeguarsi, se desidera
essere un nostro concittadino», e chi ha orecchie per intendere intenda...
Volendo gli esempi si sprecano.
Così come da parte opposta si
sprecano i deliri delle croci violate nelle piazze da certo femminismo
(che offende le donne stesse) o dagli eccessi in stile gay pride, o ancora da
chi in nome di un frainteso "diritto alla laicità" pretende di
esiliare la croce.
E' LA SCELTA MIGLIORE?
di Lucandrea Massaro, esperto in sociologia e scienza delle religioni
Nel bel mezzo di una (presunta)
crisi migratoria, mentre nel frattempo Trump dichiara che l’Europa è nemica
degli Stati Uniti, mentre in Nicaragua la Chiesa viene perseguitata (e non solo
lì naturalmente) l’onorevole Barbara Saltamartini (Lega) ha depositato una
proposta di legge sul crocifisso nei luoghi pubblici: per rendere obbligatoria
l’esposizione della croce nei luoghi pubblici: scuole, università, accademie,
carceri, uffici pubblici tutti, consolati, ambasciate. E nei porti,
naturalmente: ancorché chiusi, per volontà del ministro dell’Interno, ai
disperati raccolti in mare, dovrebbero tuttavia, per volontà del suo partito,
esporre la croce «in luogo elevato e ben visibile
» (L’Espresso).
La pena in caso di infrazione
sarebbe di 1000 euro, niente male, ma posto che l’idea di vedere più spesso
il Crocefisso in giro per la città fa piacere tanto a noi che scriviamo, quanto
probabilmente a chi ci legge, forse non né la via migliore per risvegliare la
fede in Italia, né il primo provvedimento legislativo che ci viene in mente in
un paese con 5 milioni di poveri e oltre 7 milioni in difficoltà.
L’intento della deputata salviniana (in linea con la
presunta missione della Lega di difendere le radici cristiane italiane) è –
leggendo la relazione introduttiva della legge – quella di correre ai ripari
rispetto al laicismo imperante:
“Risulterebbe inaccettabile per
la storia e per la tradizione dei nostri popoli, se la decantata laicità della
Costituzione repubblicana fosse malamente interpretata nel senso di introdurre
un obbligo giacobino di rimozione del Crocifisso; esso, al contrario, rimane
per migliaia di cittadini, famiglie e lavoratori il simbolo della storia
condivisa da un intero popolo”
(TPI).
In ossequio al principio del
primato della coscienza per il credente Cristo viene prima dello Stato, viene
prima delle leggi e vive radicato nel cuore del buon cristiano, il quale
probabilmente darà maggiore testimonianza della sua fede se si acconcia a
servire Dio, se aiuta il fratello in difficoltà, se prega e se opera per il
miglioramento della comunità in cui vive.
Costruire una Chiesa o un luogo
di culto è un’opera pia meritoria, ma non sarebbe più utile lasciare che nei
luoghi pubblici dipendenti e (nel caso delle scuole, studenti) possano
discutere se mettere o meno il crocifisso appeso? Non sarebbe, magari
all’inizio di ogni anno prendersi un paio d’ore per dibattere e lasciare che le
domande che la Croce propone a tutti gli uomini entrassero nel dibattito anche
se per poco? Anche chi è contrario non sarebbe “costretto” a chiedersi cosa
significa quell’uomo inchiodato “per la Salvezza di molti”?
Più che imporre per legge il
Crocifisso, non sarebbe assai più utile ed edificante proporlo e vedere che
succede invece di esporlo a quello che – ne siamo certi – diventerà altrimenti
l’ennesima lotta tra forze politiche, tra cittadini divisi tra l’indignazione e
lo scontento?
Del
resto come ebbe a dire San Giovanni Crisostomo:
“Vuoi onorare il corpo di
Cristo? Non permettere che sia oggetto di disprezzo nelle sue membra cioè nei
poveri, privi di panni per coprirsi. Non onorarlo qui in chiesa con stoffe di
seta, mentre fuori lo trascuri quando soffre per il freddo e la nudità. Colui
che ha detto: «Questo è il mio corpo», confermando il fatto con la parola, ha
detto anche: Mi avete visto affamato e non mi avete dato da mangiare (cfr. Mt
25, 42), e: Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno dei più piccoli
tra questi, non l’avete fatto neppure a me (cfr. Mt 25, 45). Il corpo di Cristo
che sta sull’altare non ha bisogno di mantelli, ma di anime pure; mentre quello
che sta fuori ha bisogno di molta cura.
Impariamo dunque a pensare e a
onorare Cristo come egli vuole. Infatti l’onore più gradito che possiamo
rendere a colui che vogliamo venerare è quello che lui stesso vuole, non quello
escogitato da noi. Anche Pietro credeva di onorarlo impedendo a lui di lavargli
i piedi. Questo non era onore, ma vera scortesia. Così anche tu rendigli
quell’onore che egli ha comandato, fa’ che i poveri beneficino delle tue
ricchezze. Dio non ha bisogno di vasi d’oro, ma di anime d’oro.
Con questo non intendo certo
proibirvi di fare doni alla chiesa. No. Ma vi scongiuro di elargire, con questi
e prima di questi, l’elemosina. Dio infatti accetta i doni alla sua casa
terrena, ma gradisce molto di più il soccorso dato ai poveri.
Nel primo caso ne ricava
vantaggio solo chi offre, nel secondo invece anche chi riceve. Là il dono
potrebbe essere occasione di ostentazione; qui invece è elemosina e amore. Che
vantaggio può avere Cristo se la mensa del sacrificio è piena di vasi d’oro,
mentre poi muore di fame nella persona del povero? Prima sazia l’affamato, e
solo in seguito orna l’altare con quello che rimane. Gli offrirai un calice
d’oro e non gli darai un bicchiere d’acqua? Che bisogno c’è di adornare con
veli d’oro il suo altare, se poi non gli offri il vestito necessario? Che
guadagno ne ricava egli? Dimmi: se vedessi uno privo del cibo necessario e,
senza curartene, adornassi d’oro solo la sua mensa, credi che ti ringrazierebbe
o piuttosto non si infurierebbe contro di te? E se vedessi uno coperto di
stracci e intirizzito dal freddo, trascurando di vestirlo, gli innalzassi
colonne dorate, dicendo che lo fai in suo onore, non si riterrebbe forse di
essere beffeggiato e insultato in modo atroce?
Pensa la stessa cosa di
Cristo, quando va errante e pellegrino, bisognoso di un tetto. Tu rifiuti di
accoglierlo nel pellegrino e adorni invece il pavimento, le pareti, le colonne
e i muri dell’edificio sacro. Attacchi catene d’argento alle lampade, ma non
vai a visitarlo quando lui è incatenato in carcere.
Dico questo non per vietarvi di
procurare tali addobbi e arredi sacri, ma per esortarvi a offrire, insieme a
questi, anche il necessario aiuto ai poveri, o, meglio, perché questo sia fatto
prima di quello.
Nessuno è mai stato condannato
per non aver cooperato ad abbellire il tempio, ma chi trascura il povero è
destinato alla geenna, al fuoco inestinguibile e al supplizio con i demoni. Perciò mentre adorni l’ambiente del culto, non chiudere il tuo cuore al
fratello che soffre. Questi è un tempio vivo più prezioso di quello”.