Dottrina Sociale in Europa,
è davvero la fine delle illusioni?
di Andrea Gagliarducci
Un continente in crisi, creato
artificialmente e retto solo da accordi economici, che ha rinnegato le sue
radici e per questo manca di identità: il Nono Rapporto dell’Osservatorio Van
Thuan sulla Dottrina Sociale della Chiesa è dedicato all’Europa, e ad una crisi
che sembra essere prima di tutto identitaria.
Il Cardinale Angelo Bagnasco,
presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee, ha più volte
parlato della volontà di costruire “un ordine mondiale senza Dio”. E questo
ordine mondiale senza Dio ha la sua prima espressione nella decisione di
privare l’Europa della sua identità, non citando le sue radici giudaico
cristiane.
Ne consegue – è l’analisi del
Rapporto – che l’Europa appare come un continente di immigrati, con varie
storie ma senza una Storia comune. Un continente poi unificato improvvisamente
sotto l’idea dell’Illuminismo, che viene fuori all’improvviso nella storia
europea, come se non ci fosse stato un prima e un dopo.
Dal rapporto vengono fuori anche
domande sostanziali, che fanno comprendere quanto, in realtà, il progetto
europeo abbia rappresentato una omologazione dei popoli, non certo
l’esaltazione della loro diversità e delle loro storie. E così, mentre il Regno
di Francia aveva diversi possedimenti, sparsi, con una certa autonomia anche storica,
succede che la Repubblica Francese crea uno Stato unitario, che taglia le
province amministrative diverse in favore di un territorio più omogeneo e
omologato.
La distinzione tra Stati e Imperi
non va sottovalutata. Perché uno Stato è una identità burocratica,
centralizzata, mentre l’impero ha una visione più sussidiaria, unisce più
popoli senza la necessità di una unità culturale. Anzi, creando una sintesi.
Dopo il tema della migrazioni che
rappresentò la “case history” dell’Ottavo Rapporto sulla Dottrina Sociale della
Chiesa, l’ Osservatorio Van Thuan punta così gli proprio su un continente,
l’Europa, che con le migrazioni sta vivendo una sorta di sostituzione.
E
certo – ammette l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi, presidente dell’Osservatorio
– può sembrare un controsenso che un rapporto che guarda ai cinque continenti,
con centri di ricerca che stanno anche fuori dai confini europei, si dedichi ad
uno solo di essi. Ma la scelta è giustificata dal fatto che “se l’Europa, dal
punto di vista geografico, ha dei confini, e se dal punto di vista geopolitico
essa sembra compressa e relativizzata da altre potenze sia ad occidente che ad
oriente, come idea esprime una civiltà potenzialmente universale”.
Lo aveva detto anche Papa
Francesco, parlando con gli intellettuali francesi di Poisson Rose, che
l’Europa era l’unico continente in grado di portare l’unità, ed è stato questo
un tema generale dei vari discorsi del Papa sull’Europa, da quelli al
Parlamento Europeo e al Consiglio d’Europa a quelli per i 60 anni dell’Unione
fino al discorso per il Premio Carlo Magno.
Insomma, se c’è una crisi
dell’Europa, “quella interessa tutto il mondo”, anche perché “per la Dottrina Sociale
della Chiesa l’Europa non rappresenta un punto di riferimento casuale”, perché
lì essa “è stata originariamente incarnata e per molti versi il rapporto tra
Chiesa e mondo così come è stato realizzato in territorio europeo ha un
significato ben più vasto”, continua l’arcivescovo Crepaldi.
In pratica, se
“l’evangelizzazione del sociale frena significativamente o si arresta qui in
Europa, ciò accadrà in tutto l’Occidente”.
Ci vuole – secondo l’arcivescovo
Crepaldi – “un radicale ripensamento di metodi e soprattutto di contenuti”,
perché è vero che “lungo la sua storia, il processo di unificazione europea ha
preso strade sbagliate”, ma è anche vero che ha avuto “le occasioni per fare
ammenda e rimettersi sulla giusta strada”, in particolare dopo il disfacimento
dell’impero comunista dell’Est europeo.
Ma quell’“occasione storica”, è
l’amara conclusione dell’arcivescovo Crepaldi, è andata perduta.
Eppure, i segnali di un risveglio
di identità cristiana europea ci sono proprio ad Est. Gianfranco Battisti, nel
saggio del Rapporto intitolato “Europa, le molte ragioni di una crisi epocale”,
sottolinea “l’opposizione che giunge dai popoli e dai Parlamenti ai diktat che
giungono da Bruxelles in materia di controllo delle nascite, di definizione di
famiglia, di svalutazione della nazionalità”, e fa l’esempio della “Ungheria ha
messo nella Costituzione il carattere cattolico della nazione”, della “Croazia
vi ha fissato la definizione di matrimonio”, della Lettonia che vieta
matrimonio omosessuale.
Ma la spaccatura di Europa c’è
anche sulla questione migranti: il Gruppo di Visegrad, composto da Ungheria,
Cechia, Slovacchia e Polonia cui si aggiungono Austria, Slovenia e Craozia, va quasi a riproporre la versione aggiornata dell’impero asburgico.
L’Europa è andata al di là
dell’idea politica, giungendo a siglare un trattato di Maastricht che proponeva
una unione economica, ma con “basi dottrinali, valoriali e religiose” troppo
fragile.
E così, è l’amara analisi
dell’arcivescovo Crepaldi, “prevalse la ‘ragione strumentale’, prevalse il
convenzionalismo dei diritti umani, prevalse l’accentramento e la
normalizzazione dall’alto, anziché la sapienza politica della costruzione
articolata e sussidiaria dal basso. E questo è continuato anche in seguito,
anche con l’ingresso dei nuovi Paesi dell’Europa orientale, creando oggi una
nuova frattura al’interno dell’Unione”.
Per questo, l’idea di Europa,
nata per “congedarsi dagli Stati ideologici”, è diventata preda di pressioni
ideologiche, e in particolare mosse dai Lumi e dal “predominio della
nomneklatura intellettuale e politica secondo l’ideologia del Manifesto di
Ventotene”, vale a dire “da una concezione astratta dei diritti senza una
visione condivisa dei doveri”.
“L’errore di fondo – conclude
l’arcivescovo Crepaldi - è di aver pensato di aver vinto le ideologie del XX
secolo con la democrazia formale, procedurale, tollerante tutto fino ad essere
intollerante con chi dica che non si può tollerare tutto. E questo errore di
fondo continua ad essere presente, anzi si irrobustisce, segno di una
insipienza che continua nel tempo. E’ qui che l’Europa dimostra di essere
ancora una illusione. Non è certo se sia una illusione finita, è certo che
siamo davanti alla fine delle illusioni”.
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