PAPA FRANCESCO
ALLA FAO
" ....... mi pongo – e vi pongo – questa domanda: è troppo pensare di
introdurre nel linguaggio della cooperazione internazionale la categoria
dell’amore, declinata come gratuità, parità nel trattare, solidarietà,
cultura del dono, fraternità, misericordia? In effetti, queste parole
esprimono il contenuto pratico del termine “umanitario”, tanto in uso
nell’attività internazionale. Amare i fratelli e farlo per primi, senza
attendere di essere corrisposto: è questo un principio evangelico che
trova riscontro in tante culture e religioni e diventa principio di umanità
nel linguaggio delle relazioni internazionali. E’ auspicabile che la
diplomazia e le Istituzioni multilaterali alimentino e organizzino
questa capacità di amare, perché è la via maestra che garantisce non
solo la sicurezza alimentare, ma la sicurezza umana nella sua globalità.
Non possiamo operare solo se lo fanno gli altri, né limitarci ad avere
pietà, perché la pietà si ferma agli aiuti di emergenza, mentre l’amore
ispira la giustizia ed è essenziale per realizzare un giusto ordine sociale
tra realtà diverse che vogliono correre il rischio dell’incontro
reciproco. Amare vuol dire contribuire affinché ogni Paese aumenti la
produzione e giunga all’autosufficienza alimentare. Amare si traduce nel
pensare nuovi modelli di sviluppo e di consumo, e nell’adottare
politiche che non aggravino la situazione delle popolazioni meno
avanzate o la loro dipendenza esterna. Amare significa non continuare a
dividere la famiglia umana tra chi ha il superfluo e chi manca del
necessario.
L’impegno della diplomazia ci ha dimostrato, anche in eventi recenti,
che fermare il ricorso alle armi di distruzione di massa è possibile.
Tutti siamo consapevoli della capacità di distruzione di tali strumenti.
Ma siamo altrettanto consapevoli degli effetti della povertà e
dell’esclusione? Come fermare persone disposte a rischiare tutto, intere
generazioni che possono scomparire perché mancano del pane quotidiano, o
sono vittime di violenza o di mutamenti climatici? Si dirigono dove
vedono una luce o percepiscono una speranza di vita. Non potranno essere
fermate da barriere fisiche, economiche, legislative, ideologiche: solo
una coerente applicazione del principio di umanità potrà farlo. E
invece diminuisce l’aiuto pubblico allo sviluppo e le Istituzioni
multilaterali vengono limitate nella loro attività, mentre si ricorre ad
accordi bilaterali che subordinano la cooperazione al rispetto di
agende e di alleanze particolari o, più semplicemente, ad una
tranquillità momentanea. Al contrario, la gestione della mobilità umana
richiede un’azione intergovernativa coordinata e sistematica, condotta
secondo le norme internazionali esistenti e permeata da amore e
intelligenza. Il suo obiettivo è un incontro di popoli che arricchisca
tutti e generi unione e dialogo, e non esclusione e vulnerabilità.
Qui permettetemi di collegarmi al dibattito sulla vulnerabilità che a
livello internazionale divide quando si parla dei migranti. Vulnerabile
è colui che è in condizione di inferiorità e non può difendersi, non ha
mezzi, vive cioè una esclusione. E questo perché è costretto dalla
violenza, da situazioni naturali o peggio ancora dall’indifferenza,
dall’intolleranza e persino dall’odio. Di fronte a questa condizione è
giusto identificare le cause per agire con la necessaria competenza. Ma
non è accettabile, che per evitare di impegnarsi, ci si trinceri dietro a
sofismi linguistici che non fanno onore alla diplomazia ma la riducono,
da “arte del possibile”, a un esercizio sterile per giustificare
egoismi e inattività.
E’ auspicabile che di tutto questo si tenga conto nell’elaborazione del Pacto mundial para una migración segura, regular y ordenada, in corso in questo momento in seno alle Nazioni Unite.
4. Prestiamo ascolto al grido di tanti nostri fratelli emarginati ed
esclusi: “Ho fame, sono forestiero, nudo, malato, rinchiuso in un campo
profughi”. È una domanda di giustizia, non una supplica o un appello di
emergenza. È necessario un ampio e sincero dialogo a tutti i livelli
perché emergano le soluzioni migliori e maturi una nuova relazione tra i
diversi attori dello scenario internazionale, fatta di responsabilità
reciproca, di solidarietà e di comunione.
Il giogo della miseria generato dagli spostamenti spesso tragici dei
migranti, può essere rimosso mediante una prevenzione fatta di progetti
di sviluppo che creino lavoro e capacità di riposta alle crisi
climatiche e ambientali. La prevenzione costa molto meno degli effetti
provocati dal degrado dei terreni o dall’inquinamento delle acque,
effetti che colpiscono le zone nevralgiche del pianeta dove la povertà è
la sola legge, le malattie sono in crescita e la speranza di vita
diminuisce.
Sono tante e lodevoli le iniziative messe in atto. Tuttavia, non
bastano; è necessario e urgente continuare ad attivare sforzi e
finanziare programmi per fronteggiare in maniera ancora più efficace e
promettente la fame e la miseria strutturale. Ma se l’obiettivo è
favorire un’agricoltura che produca in funzione delle effettive esigenze
di un Paese, allora non è lecito sottrarre le terre coltivabili alla
popolazione, lasciando che il land grabbing (acaparamiento de tierras)
continui a fare i suoi profitti, magari con la complicità di chi è
chiamato a fare l’interesse del popolo. Occorre allontanare le
tentazioni di operare a vantaggio di gruppi ristretti della popolazione,
come pure di utilizzare gli apporti esterni in modo inadeguato,
favorendo la corruzione, o in assenza di legalità........ "
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