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sabato 29 ottobre 2016

MIGRANTI - VERO O FALSO?

Le 10 principali leggende legate alla migrazione

Hanno tutti lo smartphone. Furbi, opportunisti, delinquenti, ricchi. Sono questi gli stereotipi ormai diffusi sugli immigrati. E, così, anche il cellulare fondamentale per chi scappa, diventa un benefit. Per questo l'Associazione Medici senza frontiere ha lanciato una campagna per fare chiarezza

1. Ci portano le malattie: come Ebola, Tubercolosi e scabbia. Non è così. I migranti non rappresentano un rischio per la salute pubblica. Nel corso di oltre dieci anni di attività mediche in Italia, MSF non ha memoria di un solo caso in cui la presenza di immigrati sul territorio sia stata causa di un’emergenza di salute pubblica.
2. Li trattiamo meglio degli italiani! Falso. In Italia, il sistema di accoglienza è gestito dal Ministero dell’Interno e comprende centri di prima e seconda accoglienza. L’insieme delle strutture ordinarie e dei servizi predisposti dalle autorità centrali e dagli enti locali è largamente insufficiente, tanto che più del 70% dei richiedenti asilo è attualmente ospitato in strutture temporanee e straordinarie.
3. Aiutiamoli a casa loro. La comunità internazionale da decenni si pone come obiettivo di eliminare la fame e la povertà estrema ma, nonostante gli sforzi e gli investimenti, i risultati sono ancora insufficienti. E in ogni caso, gli aiuti internazionali da soli non bastano a consentire il rientro a casa in sicurezza di chi fugge da conflitti, persecuzioni e violenza.
4. Hanno pure lo smartphone. Ma tu riesci a immaginare di fuggire senza? Per chi fugge da guerra, violenze o povertà ed è costretto a intraprendere un lungo e pericoloso viaggio, i cellulari, in particolare gli smartphone, sono beni di prima necessità: il mezzo più economico per stare in contatto con i propri familiari; permettono di capire dove ci si trova, attraverso la geolocalizzazione; servono a condividere informazioni fondamentali su rotte, mappe, pericoli alle frontiere, blocchi.
5. Vengono tutti in Italia. Sono troppi! Peccato che sia solo il 6% di chi scappa che arriva in Europa. Degli oltre 65 milioni di persone nel mondo costrette alla fuga nel 2015, ben l’86% resta nelle regioni più povere del pianeta. Il 39% si trova in Medio Oriente e Nord Africa, il 29% in Africa, il 14% in Asia e Pacifico, il 12% nelle Americhe.
6. Sono tutti uomini giovani e forti. La maggioranza delle persone che arrivano in Europa è rappresentata da giovani uomini perché hanno una condizione fisica migliore per poter affrontare un viaggio così duro. Spesso sono le stesse famiglie a mandarli per primi, sperando un giorno di potersi ricongiungere. Tuttavia, il numero di famiglie, donne e minori non accompagnati è in aumento. Nel 2015, secondo l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), di circa un milione di persone arrivate in Grecia, in Italia o Spagna via mare, il 17% è costituito da donne e il 25% da bambini.
7. Ci rubano il lavoro. Le analisi esistenti mettono in evidenza la scarsa “concorrenzialità” tra lavoro straniero e lavoro autoctono a parità di competenze. Secondo il Ministero del Lavoro solo l’1,3 per cento dei lavoratori italiani con laurea svolge un lavoro manuale non qualificato, mentre questa percentuale si alza all’8,4% nei lavoratori extra-comunitari. Inoltre, secondo l’Inps ogni anno gli “immigrati” versano 8 miliardi di euro di contributi e ne ricevono 3 in pensioni e altre prestazioni, con un saldo netto di circa 5 miliardi (fonte, Redattore Sociale).
8. Non scappano dalla guerra. La distinzione tra rifugiati e migranti economici è una semplificazione. I motivi che spingono le persone a fuggire dai propri Paesi sono diversi e spesso correlati tra loro: guerre (Siria, Iraq, Nigeria, Afghanistan, Sud Sudan, Yemen, Somalia), instabilità politica e militare (Mali), regimi oppressivi (Eritrea, Gambia), violenze (lago Chad), povertà estrema (Senegal, Costa d'Avorio, Tunisia).
9. Sbarcano i terroristi. Peccato che la maggior parte degli affiliati ai gruppi terroristici coinvolti negli attentati in Europa fosse già presente sul territorio, in quanto di cittadini europei. La maggior parte è fatta di persone vulnerabili che fuggono da guerre e violenza.
10. Sono pericolosi. Sono più vulnerabili che pericolosi. Numerosi studi internazionali hanno evidenziato l’inesistenza di una corrispondenza diretta tra l’aumento della popolazione immigrata e l’incremento del numero di denunce per reati penali. E’ pur vero che sono molti i detenuti stranieri nelle carceri italiane (il 34% dei reclusi, al 30 settembre 2016), ma ciò è dovuto a una serie di fattori precisi. In particolare, a parità di reato gli stranieri vengono sottoposti a misure di carcerazione preventiva molto più spesso degli italiani, che ottengono invece con maggiore facilità gli arresti domiciliari (o misure cautelari alternative alla detenzione, una volta emessa la condanna). La stessa azione di repressione opera con più frequenza nei confronti degli stranieri, che con maggiore facilità sono sottoposti a fermi e controlli di routine da parte dalle forze di polizia.


venerdì 28 ottobre 2016

TERREMOTO: AIMC VICINA ALLE POPOLAZIONI COLPITE

ASSOCIAZIONE   ITALIANA   MAESTRI   CATTOLICI

Comunicato stampa

 L’AIMC VICINA ALLE POPOLAZIONI COLPITE

Ancora una volta la terra ha tremato. Proprio quando sembrava che si potesse ritornare a una se pur parziale, anche se dolorosa, “normalità”, la terra ha tremato ancora, provocando nuovi danni e rinnovando disperazione tra la gente già duramente colpita dal primo tragico evento dell’agosto scorso.
Le notizie che giungono da tutta l’area sismica, posta alla confluenza delle quattro Regioni del Centro: Lazio, Umbria, Marche e Abruzzi, segnalano, per fortuna, solamente seri danni di carattere strutturale, soprattutto ad edifici pubblici e privati.
Di fronte ad eventi disastrosi come questi, le parole e le azioni appaiono inadeguate, ma interpellano soprattutto le coscienze di tutti a fare il possibile per andare incontro alle popolazioni terremotate con manifestazioni di sostegno.
L’Associazione Italiana Maestri Cattolici (AIMC), avverte forte la responsabilità di agire per realizzare un patto veramente solidale intorno all’istituzione “centrale” per un Paese, quale appunto è la scuola, profondamente convinta che la politica cominci col farsi carico dei bisogni delle persone che versano in maggiori difficoltà.
L’AIMC, nel manifestare vicinanza alle colleghe e ai colleghi delle zone terremotate, sente di esprimere ad alunni, docenti e dirigenti l’augurio che, pur tra le tante difficoltà e nella precarietà del momento, possano riprendere le lezioni al più presto e continuare l’anno scolastico ormai avviato nella serenità e nella certezza di non essere lasciati soli.

L’Ufficio stampa AIMC

Roma 28 ottobre 2016

giovedì 27 ottobre 2016

DANIMARCA: SCUOLA di EMPATIA

L’empatia diventa materia scolastica e viene insegnata nelle scuole danesi

Ai bambini, nelle scuole danesi, si insegna l’empatia così che possano diventare adulti più felici e sereni.

Durante la “Klassens tid”, ovvero l’ora di classe, una volta alla settimana, i più piccoli, sperimentano questa “disciplina” (del tutto nuova, per noi) entrata ufficialmente nel loro curriculum nazionale nell’anno 1990, seppur praticata, nella stessa Danimarca, già dal lontano 1870.
In che modo? Mentre mangiano un pezzetto di torta preparata con le loro mani, momento cruciale per farli sentire a proprio agio, i bambini imparano ad ascoltare e a trattare i problemi che, da soli, non riuscirebbero ad affrontare e gestire con la corretta luce.
Pensano e si esprimono senza alcun imbarazzo perché si sentono liberi e soprattutto perché percepiscono solidarietà e spirito di gruppo: non si sentono soli, bensì parte di una comunità.
Non hanno timore di essere presi in giro, al contrario in loro aumenta il coraggio per il solo fatto di essere ascoltati, imparando quanto sia importante il rispetto reciproco.
L’empatia è la straordinaria capacità di “mettersi nei panni dell’altro” tanto da riuscire a comprenderne il suo stato d’animo, sia esso di gioia che di dolore, senza alcun bisogno di parlare.
Sopratutto nei rapporti quotidiani, siano essi di lavoro, coppia, amicizia, famiglia, è un’abilità cruciale tra le persone.
Al riguardo uno studio realizzato dall’Università di Michigan su circa 14.000 studenti universitari ha messo in luce che i ragazzi di oggi, rispetto agli universitari degli anni ’80 e ’90 hanno circa il 40% in meno di empatia e presentano depressione e/o disturbi mentali in notevole aumento.
Alcuni attribuiscono queste percentuali scoraggianti al fatto che l’attuale società sia diventata molto più narcisistica rispetto a trenta anni fa.
Un esempio opposto, invece, viene dal nord, dove gli abitanti sono addirittura tra i più felici del mondo, secondo quanto emerso dal “World happiness report 2016” che fa il punto sullo stato di felicità globale.
E’ bene sottolineare che, l’ora di empatia non è utile solo ai bambini, trovano grande giovamento anche gli stessi insegnanti che, comprendendo ed ascoltando più da vicino i bisogni dei propri alunni, riescono a ri-creare in “aula” un ambiente molto più accogliente ed inclusivo.
Ovviamente, non sarà facile misurare quanto la “lezione di empatia” sarà stata efficace una volta che i bambini saranno diventati adulti, considerato che lo stato di benessere e felicità dei danesi è sicuramente influenzato anche da molti altri fattori, quali: società egualitaria, alto reddito, Welfare eccellente (istruzione, sanità e ammortizzatori sociali).
Seppur con questa consapevolezza, la “Klassens Tid” continua a essere praticata: i cittadini danesi, difatti, oltre che riconoscere l’importanza dell’empatia, ritengono che quest’ultima non sia una “dote” naturale, per tale ragione, deve essere insegnata, così che i bambini, una volta acquisita, possano esercitarsi proprio come fanno nelle altre discipline.

mercoledì 26 ottobre 2016

ZUCCHE O SANTI?

ALLA VIGILIA

 DI

OGNISSANTI

Ogni anno negli ultimi giorni ottobre si riapre il dibattito sull'opportunità o meno di dare libero sfogo ai "festeggiamenti" di Halloween, una ricorrenza di nordiche e lontane origini, legata al capodanno celtico. Per i Celti, infatti, l’anno nuovo non cominciava il 1° gennaio bensì il 1° novembre, quando terminava ufficialmente la stagione calda ed iniziava la stagione delle tenebre e del freddo, il tempo in cui ci si chiudeva in casa per molti mesi, riparandosi dal freddo, costruendo utensili e trascorrendo le serate a raccontare storie e leggende. I Celti credevano  che la ricorrenza chiamasse a sé tutti gli spiriti dei morti e che le forze degli spiriti potessero unirsi al mondo dei viventi, provocando in questo modo il dissolvimento temporaneo delle leggi del tempo e dello spazio e facendo sì che l’aldilà si fondesse con il mondo dei vivi e permettendo agli spiriti erranti di vagare indisturbati sulla Terra. La paura della morte e degli spiriti si univa all'allegria dei festeggiamenti per la fine del vecchio anno. Durante la notte del 31 ottobre si tenevano dei raduni nei boschi e sulle colline per la cerimonia dell’accensione del Fuoco Sacro e venivano effettuati sacrifici animali. Vestiti con maschere grottesche, i Celti tornavano al villaggio, facendosi luce con lanterne costituite da cipolle intagliate al cui interno erano poste le braci del Fuoco Sacro. Dopo questi riti i Celti festeggiavano per 3 giorni, mascherandosi con le pelli degli animali uccisi per spaventare gli spiriti.
Oggi la ricorrenza di Halloween è divenuta un fatto commerciale, condito da  macabri travestimenti  carnevaleschi, da più o meno simpatici scherzi, da discutibili rituali o da rave, talora  da alienazioni varie e, finanche,  da qualche rito satanico.
La festa cristiana di tutti i santi, legata alla ricorrenza dei defunti del giorno successivo, è ben lontana dalla concezione celtica. Non è la paura della morte e degli spiriti che la anima, ma il grato ricordo dei defunti e, in particolare, di coloro che hanno lasciato dietro di loro una luminosa traccia di santità e che, perciò, godono della gloria del Paradiso. Il morto non è uno scheletro vagante o un pauroso fantasma o un terrificante  zombi, ma un essere amico e fratello che addita ai cristiani (e non solo) la felicità eterna e, grazie alle buone azioni compiute nel suo terreno cammino, ci è di esempio.
 Il giorno di Ognissanti, perciò, è giorno della festa della santità (termine religioso e laico, nel contempo), una festa da preparare mettendo in evidenza i percorsi del bene e la gioia ad essi connessa.  Non è un discorso da sacrestia, ma anche civico e laico.
I santi sono tali non solo per la fede che hanno avuto; la fede ha motivato, vivificato e rinvigorito  la buona vita vissuta, il generoso  servizio alla comunità. L’impegno dei santi è sempre stato non solo spirituale ma anche civico. La loro  presenza è stata ed è una preziosa ed insostituibile risorsa per il progresso culturale, spirituale ed anche materiale di ogni popolo.
La scuola, luogo di cultura, non può trascurare questo aspetto. La conoscenza dei fatti e dei fenomeni religiosi fa parte del suo curricolo. Educare alla cittadinanza, infatti, è far conoscere ed apprezzare i testimoni del bene perché siano di esempio e di stimolo al nostro cammino terreno.  
Cosa fare? Ogni comunità scolastica e ogni insegnante troverà le vie più opportune, non solo a fine ottobre. Un modesto  esempio: si potrebbe cogliere l’occasione per fare preparare delle schede su alcuni santi, evidenziando le principali caratteristiche del loro impegno e le tracce che hanno lasciato; preparare una rappresentazione o un video, incontrare testimoni o esperti; visitare luoghi legati alla vita di un santo; oppure .....
Talora, purtroppo, ci si sofferma principalmente sui cosiddetti grandi (talora conquistatori e guerrafondai) trascurando quei grandi che, senza far troppo rumore, hanno costruito percorsi di pace e di vero progresso umano e sociale.
Di là dell’opportunità o meno di vivere e far vivere l’ormai consueto “gioco” di Halloween (che potrebbe dare anche  possibilità espressive, di buon gusto) siamo chiamati a orientare i ragazzi a comprendere i significati della ricorrenza di Halloween e delle festività religiose dei santi e dei defunti, a riscoprire e valorizzare le tradizioni locali e le caratteristiche virtuose di coloro che sono materialmente morti, ma che continuano a vivere nell'aldilà, un aldilà di felicità e non di terrore.
E’ opportuno ricordare che ci sono tradizioni fisse, ferme nella memoria e nei cuori delle persone, e ci sono tradizioni in evoluzione e migrazione, accolte con entusiasmo e a volte passione. L’unione di vecchio e nuovo spesso genera confusione, se non adeguatamente orientato ed accompagnato.
… e la zucca? Si, se serve per fare un po’ di sano schiamazzo e di buona allegria. Meglio adoperarla per preparare gustosi piatti da condividere con gli amici.
 In ogni caso prestare adeguata attenzione per non far crescere “zucche vuote o marce”.

 Giovanni Perrone


        OGNISSANTI E LE FESTE CRISTIANE

martedì 25 ottobre 2016

MIUR: ATTO DI INDIRIZZO 2017

Atto di Indirizzo 
Le priorità politiche per il 2017

Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha pubblicato le priorità politiche per il 2017 contenute nell’annuale Atto di Indirizzo firmato dal Ministro Stefania Giannini.
Sostenere il processo di rafforzamento dell’autonomia scolastica, potenziare la formazione degli insegnanti e del personale in servizio nella scuola. Dare stabilità e certezza alla governance degli istituti scolastici attraverso lo svolgimento dei concorsi per dirigente scolastico e direttore dei servizi amministrativi.
Fra le priorità, l’inclusione scolastica, da incentivare anche attraverso l’uso di nuove tecnologie, la riduzione della dispersione, il potenziamento e il miglioramento dell’offerta formativa attraverso il rinnovamento della didattica. Centrali anche l’investimento sul capitale umano sul fronte della ricerca e quello sul diritto allo studio.
Proseguirà per tutto il 2017 il processo di innovazione tecnologica a partire dalla scuola. Fra le priorità indicate anche l’attuazione della strategia prevista dal Programma Nazionale per la Ricerca.




domenica 23 ottobre 2016

SAPER ASCOLTARE PER UN DIALOGO EFFICACE


"Dialogo significa ascoltare,               non ‘abbaiare’ contro l’altro”

   Nell’Udienza giubilare di ieri, Francesco incita i 100mila fedeli presenti al dialogo per “abbattere muri di divisioni e incomprensioni” e creare “ponti di comunicazione”, non rinchiudendosi “nel proprio piccolo mondo”

“Ascoltare, spiegare, mitezza, non abbaiare l’altro, non urlare, cuore aperto”. È la ricetta che Papa Francesco offre ai 100mila fedeli presenti all’Udienza giubilare, per avviare un dialogo e un dialogo che vada a buon fine: in famiglia, nel quartiere, a scuola, sul posto di lavoro, …
“C’è tanto bisogno di dialogo nelle nostre famiglie, e come si risolverebbero più facilmente le questioni se si imparasse ad ascoltarsi vicendevolmente!”, afferma il Papa. “Il dialogo abbatte i muri delle divisioni e delle incomprensioni; crea ponti di comunicazione e non consente che alcuno si isoli, rinchiudendosi nel proprio piccolo mondo”.
Esso è “un aspetto molto importante della misericordia” nonché elemento essenziale per la vita di ciascuno perché “permette alle persone di conoscersi e di comprendere le esigenze gli uni degli altri”.
Anzitutto, spiega il Papa, il dialogo “è un segno di grande rispetto, perché pone le persone in atteggiamento di ascolto e nella condizione di recepire gli aspetti migliori dell’interlocutore”. Proprio come accadde con la samaritana e Gesù di cui parla il Vangelo di oggi.
In secondo luogo, “il dialogo è espressione di carità”, sottolinea il Santo Padre, “perché, pur non ignorando le differenze, può aiutare a ricercare e condividere il bene comune”. Inoltre, “il dialogo ci invita a porci dinanzi all’altro vedendolo come un dono di Dio, che ci interpella e ci chiede di essere riconosciuto”.
            Molte volte, infatti, “non incontriamo i fratelli, pur vivendo loro accanto, soprattutto quando facciamo prevalere la nostra posizione su quella dell’altro”. “Quante volte, quante volte – esclama Bergoglio a braccio – stiamo ascoltando uno e lo fermiamo: ‘No, questo non è così!’. Lasciamo che lui finisca di spiegare quello che vuole dire. Questo impedisce il vero dialogo, questa è aggressione…”.
Non si può parlare di dialogo, dunque, quando non si ascolta abbastanza o quando si tende a interrompere l’altro “per dimostrare di avere ragione”. Il vero dialogo necessita invece di “momenti di silenzio, in cui cogliere il dono straordinario della presenza di Dio nel fratello”, evidenzia Francesco.
È così che si aiuta le persone “a umanizzare i rapporti e a superare le incomprensioni”. E questo accade nel rapporto tra marito e moglie, tra genitori e figli, ma anche tra gli insegnanti e i loro alunni oppure tra dirigenti e operai. Poi c’è il dialogo tra le religioni, “per scoprire la verità profonda della loro missione in mezzo agli uomini” e “per contribuire alla costruzione della pace e di una rete di rispetto e di fraternità”.
Di dialogo “vive anche la Chiesa con gli uomini e le donne di ogni tempo, per comprendere le necessità che sono nel cuore di ogni persona e per contribuire alla realizzazione del bene comune”. “Pensiamo al grande dono del creato e alla responsabilità che tutti abbiamo di salvaguardare la nostra casa comune: il dialogo su un tema così centrale è un’esigenza ineludibile”, osserva il Pontefice.
Tutte le forme di dialogo sono pertanto “espressione della grande esigenza di amore di Dio”, che “a tutti va incontro e in ognuno pone un seme della sua bontà, perché possa collaborare alla sua opera creatrice”. Allora “non dimenticate”, raccomanda a braccio Francesco, “dialogare è ascoltare quello che mi dice l’altro e dire con mitezza quello che penso io. Se le cose vanno così la famiglia, il quartiere, il posto di lavoro andranno bene. Ma se io non lascio che l’altro dica tutto quello che ha nel cuore, incomincio a urlare – oggi si urla tanto – non avrà buon fine questo rapporto fra noi, non avrà buon fine fra marito e moglie, tra genitori e figli”.
“Gesù – conclude il Santo Padre – ben conosceva quello che c’era nel cuore della samaritana; ciononostante non le ha negato di potersi esprimere ed è entrato poco alla volta nel mistero della sua vita”. Un insegnamento, questo, che vale anche per noi: “Attraverso il dialogo – assicura Bergoglio – possiamo far crescere i segni della misericordia di Dio e renderli strumento di accoglienza e rispetto”.



sabato 22 ottobre 2016

QUALE SCUOLA? QUALE FORMAZIONE? QUALE VALUTAZIONE? .....

Abbecedario  (impertinente) della  formazione in servizio

Quando si parla di valutazione, nella scuola sembrano scontrarsi
un’istanza formativa e un’istanza classificatoria

                                                                                                                               di Maurizio Muraglia

La legge 107/2015 (comma 124) stabilisce che la formazione in servizio dei  docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale. Sarebbe interessante monitorare la formazione in servizio attuata nelle comunità scolastiche  del nostro Paese nell’anno scolastico  che è seguito all’emanazione della legge. Qui racconto un pezzo di scuola dal  lato di chi viene chiamato ad ‘accompagnare’ la formazione e lo farò in dieci lemmi.

Scuola dell’inclusione o scuola della prestazione?
Occorre tuttavia delineare, doverosamente, una cornice che lega tutti i lemmi e lega tutte le esperienze formative  ‘accompagnate’. La scuola italiana vuole essere inclusiva. Quando la didattica, la relazione educativa, la valutazione si muovono sul terreno dell’inclusione i docenti stanno al gioco, a parte poche riserve indiane annidate nel secondo ciclo. Ma c’è un’obiezione, unica, dovunque: “Ma poi ci sono gli esami…”; “Ma poi ci sono le prove  Invalsi...”. Non so quanto chi decide sulla scuola colga questo iato tra inclusione locale e prestazione centrale. È come se la scuola rivendicasse il diritto di saper valutare le prestazioni dei propri allievi e guardasse alle istanze  valutative del centro come a un’indebita invasione di campo. Indebita perché capace di minare le istanze inclusive di cui sono portatori i contesti.
Se il sistema avanza le sue pretese ‘standardizzate’, la reazione delle scuole è tutta un rintanarsi nella lezione frontale, nei contenuti, nella trasmissione. Proprio ciò che il sistema, almeno a parole o a Direttive, deplora. Sembra che il sorriso di un bambino e il punteggio alto in un Rav non siano conciliabili. Si può rubricare tutto questo come una deriva ‘mammista’ delle scuole? Siamo certi che la difficoltà di conciliare istanza formativa delle scuole e istanza certificatoria o classificatoria del sistema dipenda esclusivamente da autoreferenzialità professionale? Qualcosa non torna  ……


VIODEOGIOCHI?!


VIDEOGIOCHI:

 il confine sottile tra realtà e fantasia

        Sì, lo ammetto. Anche io mi lascio prendere dai videogiochi. Non li vado a cercare. Ma, sul tablet, quando mi capita davanti agli occhi la cartella con i giochi, mi ci butto dentro e cerco di rilassarmi. Ma dura poco il relax, perché capita spesso che l’avvio di diversi giochi venga preceduto da pubblicità di altri giochi che riproducono situazioni raccapriccianti ed agghiaccianti: razzie e distruzioni di villaggi, uccisioni di massa, combattimenti, assalti, attacchi con carri armati, incitamento alla guerra e annientamento di popoli.   Li chiamano videogiochi. 
     Ma come si fa a far passare per giochi situazioni che rimandano a realtà di morte e di crimini contro l’umanità? Non sono forse le stesse situazioni che stanno subendo tanti popoli nel mondo e che ci indignano quando ne veniamo a conoscenza? I bambini che usufruiscono di tali giochi, violenti a dir poco, non penso che conoscano il confine tra la simulazione e la cruda realtà di guerre che ancora attraversano il nostro tempo. Ma chi li progetta, sì.  E chi li progetta, a quanto pare, non si ricorda che quei giochi potrebbero cadere nelle mani di bambini come i loro figli. Se lo dimentica, allora si ricordi che il killer che nel luglio scorso ha compiuto una strage a Monaco di Baviera, in Germania, non era un terrorista. Era deviato, sicuramente, ed era “appassionato di videogiochi violenti”, come ha confermato il Procuratore della città tedesca. Stessa cosiddetta “passione” che aveva un altro giovane al quale si era ispirato, anche lui autore di una strage, nel marzo 2009 a Winnenden, sempre in Germania. 
   Continuiamo pure a chiamare “videogiochi” quelle subdole istigazioni al crimine e alla guerra che rischiano di scatenare raptus criminali nei nostri figli. Continuiamo pure. Tanto sono solo “videogiochi”… 
Leggi: VIDEOGIOCHI

mercoledì 19 ottobre 2016

NON STRESSATE I BAMBINI!


Risultati immagini per BAMBINI NEL BOSCO

I bambini 
hanno bisogno 
di lentezza e di noia

    Sempre più numerosi i ragazzi e bambini, dalla vita apparentemente normale, che si presentano al Pronto Soccorso con un disagio psichico che nasconde un grande dolore: iperstimolati, addestrati a primeggiare, incapaci di trovare la forza di reagire ad una delusione.
    E’ quanto è emerso nel dialogo ad Educa tra la dottoressa Costanza Giannelli, direttrice dell’Unità ospedaliera di Neuropsichiatria infantile dell’Ospedale S. Chiara di Trento, il maestro Franco Ulcigrai, Cofondatore della scuola Steineriana il Cerchio di Rovereto e Maurizio Camin, direttore della cooperativa sociale L’Ancora.
    “Pigiama party alla scuola materna, tre lingue in prima elementare, corsi di arti circensi, musica, gare di sci, la media del nove. Ai bambini viene chiesto di essere sempre più intelligenti, dotati, abili e capaci. Troppo desiderare, troppo avere, troppo sapere, troppe soglie buie varcate in anticipo, con corpo fragile, senza corazza e senza la spada giusta”.
     E’ questo il pensiero di Costanza Giannelli che disegna i genitori moderni come i responsabili, a volte inconsapevoli, di un grande dolore inflitto nei bambini, perché “è più facile vantarsi della luce dell’intelligenza del proprio figlio piuttosto che della zona d’ombra dove si muove la consapevolezza”.
     E così i bambini si trovano prima o poi ad imbattersi nell’indifferenza, nella delusione e nel fallimento senza strumenti per poterli affrontare. “Umiliati e feriti a morte non riescono a reggere lo sguardo dell’altro, si blindano nel rifugio solitario e meditano la vendetta. E così il web diventa uno specchio senza confini e senza regole, un luogo dove cancellare il disonore e la vergogna, dove si può apparire e scomparire senza regole e responsabilità”.
    Costanza Giannelli si augura che dopo quest’era falsamente buona e illuminata, ne nasca una nuova dove “un bambino molto intelligente abbia la possibilità di trovare maestri speciali che gli insegnino a tornare indietro, gli mostrino il volto del fiore e dell’animale e, finalmente, possa trovare la quiete.”
     Anche Franco Ulgigrai chiede ai genitori di non avere fretta e di ripensare al momento in cui il bambino è pronto per iniziare la scuola primaria. “Spesso già a cinque anni si trova seduto al banco di scuola, senza aver raggiunto la maturità sociale, e privato dell'”anno del re”, quel periodo importante in cui il bambino si sente più grande e può dare il suo contributo ai compagni più piccoli. Iniziare la scuola senza la maturità necessaria, porta facilmente il piccolo a vivere un senso di inadeguatezza”. Ulcigrai riporta, inoltre, l’esperienza positiva dell’asilo nel bosco organizzato in Alto Adige, “dove i bambini devono seguire solo le regole del mondo e della natura senza mete, sul binario della massima tranquillità e serenità”.
     Dello stesso parere il direttore della cooperativa Arianna di Trento, Maurizio Camin, il quale racconta come ogni giorno veda adolescenti non ascoltati, affaticati e ingabbiati all’interno di regole. “Giovani che parcheggiano il corpo a scuola, ma hanno anima e interessi fuori, che fanno fatica a stare al mondo, perché non riescono a pensarsi nel futuro”.
      Francesca Gennai, vicepresidente del consorzio Con.solida, che ha moderato l’incontro, ha provato a trarne le conclusioni “le esperienze che abbiamo ascoltato oggi, ci ricordano che dobbiamo garantire ai bambini il diritto alla lentezza, alla natura, alla selvatichezza, alla ferita, alla noia, al vuoto e soprattutto ad essere ascoltati”.

da ladige.it/popular/lifestyle/2016/04/16/bambini-hanno-diritto-lentezza

martedì 18 ottobre 2016

BULLISMO E CIBERBULLISMO - IL PIANO NAZIONALE DEL MIUR

Bullismo e cyberbullismo,
Giannini e Boldrini siglano Protocollo d’Intesa
per la conoscenza dei diritti e dei doveri in internet
Presentato il Piano nazionale del Miur per le scuole.
       Un Piano nazionale per prevenire e combattere il bullismo e il cyberbullismo in classe. Il Piano è promosso dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. È stato lanciato questo pomeriggio dal Ministro Stefania Giannini in occasione della firma del Protocollo d’Intesa con la Presidente della Camera Laura Boldrini, al teatro Palladium, a Roma.
      Il Protocollo mira alla diffusione dei contenuti della Dichiarazione dei diritti e doveri in internet, elaborata dall’omonima Commissione di studio istituita dalla Presidente della Camera. Il Miur e la Commissione, nell’ambito di questa intesa, promuoveranno incontri di formazione e sensibilizzazione con gli studenti delle scuole secondarie per la conoscenza dei diritti e dei doveri in internet di cui ogni cittadino è titolare, con l’obiettivo di avviare un processo di educazione digitale. Tra le azioni previste dal Protocollo anche iniziative di formazione per i docenti e la progettazione di azioni finalizzate a sensibilizzare i ragazzi ad una riflessione sull’uso corretto della rete.
      Dalla Giornata nazionale contro il bullismo a scuola, alla formazione degli insegnanti, dal concorso per gli studenti al format tv: sono alcune delle 10 azioni previste dal Piano nazionale del Miur contro il bullismo e il cyberbullismo.
     “La scuola deve dare ai ragazzi soprattutto la capacità di scegliere sempre e comunque – ha spiegato il Ministro Giannini -. Adesso noi vogliamo dare gli strumenti perché questa capacità di scelta possa orientarli nella selezione di ciò che è positivo o negativo, educando al rispetto dell'altro e a una buona cittadinanza digitale. In tre anni – ha aggiunto il Ministro - più di 80mila ragazzi sono stati coinvolti nel programma Generazioni Connesse e oggi lanciamo questo Piano nazionale con uno stanziamento di 2 milioni di euro per l’anno scolastico in corso che verranno assegnati alle scuole attraverso una call to action”.
     Tra le prime azioni che saranno messe in campo dal Piano, il concorso per gli studenti ‘No hate speech’. Verrà bandito nei prossimi giorni dal Miur e dalla Delegazione italiana presso l’Assemblea del Consiglio d’Europa. Il concorso vuole stimolare la riflessione dei ragazzi sui rischi e sui pericoli dell’odio on line e dell’incitamento al risentimento nei confronti dei loro coetanei e compagni. L’istigazione all’odio on line è divenuta, infatti, una delle forme più diffuse di abuso dei diritti umani. È prevista dal Piano anche la prima Giornata nazionale contro il bullismo a scuola il 7 febbraio 2017, in coincidenza con la Giornata Europea della Sicurezza in Rete (Safer Internet Day) indetta dalla Commissione Europea.......

domenica 16 ottobre 2016

papa Francesco: L'ANZIANO? UNA RISORSA PER LA SOCIETÀ'

Papa Francesco:
GLI ANZIANI UNA PREZIOSA RISORSA

In occasione della celebrazione giubilare per i nonni, il Santo Padre ha messo in risalto il ruolo svolto dagli anziani nell'attuale società e al necessario "legame tra le generazioni".
Anche nell'associazionismo la presenza generosa, operosa e responsabile di anziani, che sovente accompagnano e supportano l'impegno dei giovani, favorisce la vitalità e la continuità delle associazioni.
Anche in AIMC occorre esprimere gratitudine  ai numerosi pensionati che valorizzano e rendono feconda la loro vita e la loro professione animando e sostenendo la vita associativa ai vari livelli e accompagnando -grazie alla loro saggezza ed esperienza-  l'attività di coloro che sono impegnati nel quotidiano servizio scolastico.

… La Chiesa guarda alle persone anziane con affetto, riconoscenza e grande stima. Esse sono parte essenziale della comunità cristiana e della società. Non so se avete sentito bene: gli anziani sono parte essenziale della comunità cristiana e della società. In particolare rappresentano le radici e la memoria di un popolo. Voi siete una presenza importante, perché la vostra esperienza costituisce un tesoro prezioso, indispensabile per guardare al futuro con speranza e responsabilità. La vostra maturità e saggezza, accumulate negli anni, possono aiutare i più giovani, sostenendoli nel cammino della crescita e dell’apertura all’avvenire, nella ricerca della loro strada. Gli anziani, infatti, testimoniano che, anche nelle prove più difficili, non bisogna mai perdere la fiducia in Dio e in un futuro migliore. Sono come alberi che continuano a portare frutto: pur sotto il peso degli anni, possono dare il loro contributo originale per una società ricca di valori e per l’affermazione della cultura della vita.
Non sono pochi gli anziani che impiegano generosamente il loro tempo e i talenti che Dio ha loro concesso aprendosi all’aiuto e al sostegno verso gli altri. Penso a quanti si rendono disponibili nelle parrocchie per un servizio davvero prezioso: alcuni si dedicano al decoro della casa del Signore, altri come catechisti, animatori della liturgia, testimoni di carità. E che dire del loro ruolo nell’ambito familiare? Quanti nonni si prendono cura dei nipoti, trasmettendo con semplicità ai più piccoli l’esperienza della vita, i valori spirituali e culturali di una comunità e di un popolo! ….
In un mondo come quello attuale, nel quale sono spesso mitizzate la forza e l’apparenza, voi avete la missione di testimoniare i valori che contano davvero e che rimangono per sempre, perché sono inscritti nel cuore di ogni essere umano e garantiti dalla Parola di Dio. Proprio in quanto persone della cosiddetta terza età voi, o meglio noi – perché anch’io ne faccio parte –, siamo chiamati a operare per lo sviluppo della cultura della vita, testimoniando che ogni stagione dell’esistenza è un dono di Dio e ha una sua bellezza e una sua importanza, anche se segnate da fragilità. ……
E’ importante anche favorire il legame tra generazioni. Il futuro di un popolo richiede l’incontro tra giovani e anziani: i giovani sono la vitalità di un popolo in cammino e gli anziani rafforzano questa vitalità con la memoria e la saggezza.
Cari nonni e care nonne, grazie per l’esempio che offrite di amore, di dedizione e di saggezza. Continuate con coraggio a testimoniare questi valori! Non manchino alla società il vostro sorriso e la bella luminosità dei vostri occhi: che la società possa vederli!.....  

15 ottobre 2016



mercoledì 12 ottobre 2016

ITALIA: UNA GENERAZIONE SENZA DIO. Una ricerca del sociologo Garelli

PICCOLI ATEI CRESCONO    
    Più che incredula è una generazione che nell’anima sperimenta forme ardite di pluralismo e attorno a sé vive forme originali di biodiversità religiosa». Il sociologo Franco Garelli ha tracciato l’identikit spirituale dell’Italia che va dai 18 e i 29 anni. L’indagine condotta sul campo lo scorso anno (1.450 i ragazzi intervistati) è diventata un libro, edito dal Mulino: Piccoli atei crescono, davvero una generazione senza Dio?
 
    Un interessante punto di partenza per la riflessione in vista del prossimo Sinodo dei vescovi chiamato a ragionare tra due anni esatti - nell'ottobre 2018 - di natura, identità, aspettative e senso religioso delle nuove generazioni. 
«I giovani italiani che si dichiarano non credenti rappresentano il 28 per cento del totale». Tanti? Pochi? «Se si guarda a dati di ricerche comparabili, la percentuale risulta in crescita: negli anni ’80 e ’90 non superava il 10-15 per cento; nel 2007 era del 23 per cento.
 
    Se si confronta questa rilevazione con lavori simili realizzati in altri Paesi si scopre che .....


lunedì 10 ottobre 2016

Papa Francesco: TESTIMONI DI COMUNIONE

  “E’ essenziale – indica il Papa – la comunione con i fratelli”.
 Inoltre, prosegue, “la secolarità si muove con un ampio respiro, su vasti orizzonti” e questo spinge a chi ne fa parte di accettare da un lato “la complessità, la frammentarietà e la precarietà del nostro tempo” e dall’altro di essere creativi nell’“immaginare nuove soluzioni, inventare risposte inedite e più adeguate alle nuove situazioni che si presentano”, “vivendo – asserisce Francesco – una spiritualità capace di coniugare i criteri che vengono ‘dall’alto’, dalla grazia di Dio, e i criteri che vengano ‘dal basso’, dalla storia umana”, letta e interpretata. Il Papa esorta ad essere “testimoni del valore della fraternità e dell’amicizia”.
    “L’unità delle comunità cristiane, delle famiglie cristiane, sono testimonianza: sono la testimonianza del fatto che il Padre abbia inviato Gesù. E, forse, arrivare all’unità – in una comunità cristiana, in una parrocchia, in un vescovado, in una istituzione cristiana, in una famiglia cristiana – è una delle cose più difficili. La storia nostra, la storia della Chiesa, ci fa vergognare tante volte: ma abbiamo fatto le guerre contro i nostri fratelli cristiani!
   Dove “i cristiani si fanno la guerra fra di loro” – afferma Papa Francesco – “non c’è testimonianza”: “Dobbiamo chiedere tanto perdono al Signore per questa storia! Una storia tante volte di divisioni, ma non solo nel passato… Anche oggi! Anche oggi! E il mondo vede che siamo divisi e dice: ‘Ma che si mettano d’accordo loro, poi vediamo… Come, Gesù è Risorto ed è vivo e questi – i suoi discepoli – non si mettono d’accordo?’.


    “E’ stata l’invidia del diavolo – spiega il Papa – a far entrare il peccato nel mondo”: così, anche nelle comunità cristiane “è quasi abituale” che ci siano egoismo, gelosie, invidie, divisioni, “e questo porta a sparlare uno dell’altro. 
     Gesù ha pregato per noi, per tutti noi che stiamo qui e per le nostre comunità, per le nostre parrocchie, per le nostre diocesi: ‘Che siano uno’. Preghiamo il Signore che ci dia la grazia, perché è tanta, tanta la forza del diavolo, del peccato che ci spinge a fare le disunità. Sempre! 
     Che ci dia la grazia, che ci dia il dono: e qual è il dono che fa l’unità? Lo Spirito Santo! Che ci dia questo dono che fa l’armonia, perché Lui è l’armonia, la gloria nelle nostre comunità. E ci dia la pace, ma con l’unità. 
    Chiediamo la grazia dell’unità per tutti i cristiani, la grande grazia e la piccola grazia di ogni giorno per le nostre comunità, le nostre famiglie; e la grazia di mettere il morso alla lingua!”.


sabato 8 ottobre 2016

A PROPOSITO DI DIALOGO


Zygmunt Bauman: “Il vero dialogo non è parlare con gente che la pensa come te”
Il sociologo e filosofo polacco denuncia che le reti sociali non sono una comunità, ma solo un sostituto

Zygmunt Bauman, nato a Poznań (Polonia) nel 1925, dovette emigrare con la sua famiglia in quella che all’epoca era l’Unione Sovietica quando era appena un bambino per sfuggire alla persecuzione nazista. Nel 1968 dovette nuovamente fuggire per evitare la purga antisemita seguita al conflitto arabo-israeliano. Si stabilì temporaneamente a Tel Aviv, per poi trasferirsi in Inghilterra, dove fece carriera all’Università di Leeds.
In un’intervista rilasciata a gennaio di quest’anno a Ricardo De Querol per Babelia, su El País, ha spiegato come le reti sociali, pur avendo cambiato in buona misura le forme tradizionali dell’attivismo sociale, non siano se non un sostituto della formazione di comunità autentiche.
Nell’intervista, De Querol ha citato lo stesso Bauman, per il quale l’attivismo online è un “attivismo da sofà” e Internet la maggior parte delle volte non fa che “addormentare con intrattenimento a basso costo”. Il giornalista gli ha quindi chiesto se le reti sociali, parafrasando Marx, non siano il nuovo “oppio dei popoli”. Bauman non ha esitato a rispondere che l’identità, come le comunità, non è qualcosa che si debba creare, ma qualcosa che “si ha o non si ha”.
            “Quello che le reti sociali possono creare”, ha segnalato il sociologo, “è un sostituto. La differenza tra la comunità e la rete è che tu appartieni alla comunità ma la rete appartiene a te. Puoi aggiungere amici e puoi cancellarli, controlli la gente con cui ti relazioni. La gente si sente un po’ meglio perché la solitudine è la grande minaccia in quest’epoca di individualizzazione. Ma nelle reti aggiungere amici o cancellarli è così facile che non c’è bisogno di capacità sociali”.
Queste ultime, ha segnalato Bauman nell’intervista, si sviluppano nel contatto quotidiano umano diretto, in spazi condivisi, sia pubblici che privati: per strada o nell’ambiente di lavoro, in cui è necessaria un’interazione “ragionevole” con la gente; insomma, in interazioni che esigono dialogo, negoziato e apertura.
A questo proposito, Bauman non esita a ricordare che papa Francesco ha concesso la sua prima intervista dopo essere stato eletto Sommo Pontefice a un giornalista apertamente e ateo, Eugenio Scalfari.
“È stato un segno”, ha indicato Bauman: “il vero dialogo non è parlare con gente che la pensa come te”.
Il dialogo, ha specificato il sociologo in un’intervista rilasciata di recente ad Avvenire, è “insegnare a imparare. L’opposto delle conversazioni ordinarie che dividono le persone: quelle nel giusto e quelle nell’errore”.
“Entrare in dialogo significa superare la soglia dello specchio, insegnare a imparare ad arricchirsi della diversità dell’altro. A differenza dei seminari accademici, dei dibattiti pubblici o delle chiacchiere partigiane, nel dialogo non ci sono perdenti, ma solo vincitori”.
“È la vera rivoluzione culturale rispetto a quanto siamo abituati a fare ed è ciò che permette di ripensare la nostra epoca. L’acquisizione di questa cultura non permette ricette o facili scappatoie, esige e passa attraverso l’educazione che richiede investimenti a lungo termine. Noi dobbiamo concentrarci sugli obiettivi a lungo termine”.
“E questo”, ha concluso Bauman, “è il pensiero di papa Francesco. Il dialogo non è un caffè istantaneo, non dà effetti immediati, perché è pazienza, perseveranza, profondità. Al percorso che lui indica aggiungerei una sola parola: così sia, amen”.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

DANIEL R. ESPARZA/ALETEIA