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venerdì 28 marzo 2014

SCUOLA: QUALITÀ' PER VOLARE IN ALTO


L'istruzione di qualità volano di sviluppo
 

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Inutile sperare in cambiamenti epocali che non arrivano mai. Inutile cercare di scaricare all’esterno le responsabilità delle cose che non vanno. Meglio rimboccarsi le maniche e sfruttare gli spazi di miglioramento che nelle scuole italiane non mancano. Come non mancano esperienze di eccellenza che possono fare da traino per quelle che fanno più fatica. Dal suo osservatorio di direttore esecutivo della Banca Mondiale, Piero Cipollone, ex presidente di Invalsi, lancia un messaggio di realistica speranza.

Quali sono secondo lei i problemi più impellenti che ha davanti la scuola italiana?  
Il nodo fondamentale è l’enorme differenza nei risultati di apprendimento tra scuola e scuola, anche a parità di caratteristiche della popolazione studentesca. Molti istituti italiani non sfigurano affatto a livello internazionale, il problema è che ce ne sono troppi nella parte bassa della graduatoria. Non è anzitutto un problema sistemico o di normative: a parità di leggi, alcune scuole vanno bene e altre male, questo significa che molto si può fare per il miglioramento complessivo. Se riuscissimo a sfruttare i margini di miglioramento che ci sono, potremmo coniugare l’equità (aiutando i ragazzi più svantaggiati) con l’efficienza, nel senso di ottenere risultati migliori a parità di risorse impiegate. Non sono necessarie rivoluzioni. O meglio, la vera rivoluzione è impegnarsi tutti i giorni per fare meglio.

La leva fondamentale per cambiare sono comunque gli insegnanti, che si lamentano per essere sottopagati e sottostimati. E molti sono avanti con l’età.
Siamo realisti: francamente non riesco a immaginare cambiamenti epocali né sugli stipendi né sulla composizione per età della classe docente. Ci metteremo almeno vent’anni per invertire la rotta, e pesa l’incertezza sul sistema di reclutamento (anche in ragione delle oggettive ristrettezze economiche). In più c’è sempre il rischio del "benaltrismo", il rinvio a "nemici" esterni (la politica, i fondi che mancano, la burocrazia). Dobbiamo aiutare i docenti a recuperare la consapevolezza che molto si può fare nelle condizioni date (che non è poco, come dimostrano tanti casi di eccellenza), restituire la percezione di quanto sia importante il loro lavoro e quanto loro stessi possono fare la differenza. E nel frattempo pensare a come migliorare nel lungo periodo. 

Quali sono i punti di forza del modello italiano?
È una scuola dove l’humanitas resta un valore centrale, almeno a livello di aspirazione. È un bene che la nostra scuola tenda a educare le nuove generazioni a valori fondamentali come la tolleranza, il rispetto della persona, l’amore per la conoscenza, la libertà di pensiero. Ma è sbagliato ritenere che questo possa essere perseguito a scapito dell’insegnamento dei fondamenti della conoscenza, come la capacità di leggere un testo e di coglierne la struttura logica. Non si può educare alla tolleranza se anzitutto non si capisce cosa sta scritto in un testo. Ho la sensazione che ci sia stata una sostituzione delle priorità, ci siamo dimenticati che saper leggere e far di conto sono gli strumenti fondamentali per garantire quella continuità nei processi di apprendimento sempre più necessaria in una società a rapida innovazione come la nostra.

Lei ha presieduto per alcuni anni l’Invalsi, che è oggetto di contestazioni da più parti. In che modo un sistema di valutazione può aiutare a migliorare la qualità della scuola?
Qualcuno ritiene che la valutazione sia un’ordalia, un giudizio divino da cui sfuggire. In realtà è un elemento necessario per capire come poter migliorare. Deve stimolare i singoli istituti a capire i punti di debolezza per concentrare lì gli sforzi. I test standardizzati sono uno strumento prezioso perché permettono la comparabilità tra scuole. Nessuna è perfetta in tutte le dimensioni, cosi come nessuna è pessima in tutto. Da presidente dell’Invalsi ho conosciuto esperienze di eccellenza, al Nord come al Sud. Smettiamola con il pianto tutto italiano sulle cose che non vanno. Abbiamo un sistema scolastico che permette ampi margini di azione e di miglioramento, senza aspettare riforme epocali che non arrivano mai. Posso sintetizzare con due parole? "Si può".

Che consigli dà ai dirigenti scolastici per sviluppare il potenziale presente nelle loro scuole?
I dirigenti sono spesso troppo assorbiti dalle emergenze quotidiane, vengono sottoposti a un’infinità di pressioni che mettono in pericolo la capacità di guidare un’organizzazione complessa come la scuola. E così spesso dimenticano di essere leader che devono indicare la strada. Perciò il mio consiglio è di fare in modo di tenersi un po’ di tempo tutti i giorni per pensare alle priorità su cui lavorare, ad obiettivi ambiziosi e insieme realistici e misurabili, e a come conseguirli con una serie di azioni coerenti rispetto allo scopo finale, che rimane l’appprendimento.

Che ruolo possono avere le famiglie e le comunità sociali?
Nessuna scuola può da sola raggiungere l’obiettivo di educare se non è sostenuta dalle famiglie e dalla comunità in cui è inserita. Le famiglie e la comunità hanno il compito di testimoniare ai ragazzi il valore dell’imparare, l’importanza dell’impegno, dell’assunzione di responsabilità. La buona notizia è che questi insegnamenti possono venire da tutte le famiglie, indipendentemente dal reddito e dal livello di istruzione. Su queste basi il lavoro della scuola può generare risultati straordinari. 

Come direttore esecutivo della Banca Mondiale, lei ha uno sguardo che va ben al di là del nostro Paese. Ci sono evidenze per poter dire che l’educazione è una leva fondamentale per lo sviluppo? 
Per molti anni il legame tra istruzione e sviluppo economico è stato al centro della riflessione degli analisti che studiano la crescita di lungo periodo. Mentre nei modelli teorici l’istruzione era riconosciuta come la chiave della crescita, nei modelli empirici la sua rilevanza era piuttosto scarsa. La ragione di tale incoerenza risiedeva nel fatto che per molto tempo si è misurata l’istruzione con gli anni di scuola frequentati, piuttosto che con le conoscenze e competenze acquisite negli anni di scuola. Recentemente invece le evidenze sul legame tra scolarità e crescita sono divenute più manifeste, in particolare da quando gli analisti hanno abbandonato come criterio per la scolarità il numero di anni di scuola, adottando invece le conoscenze e competenze degli alunni, la cui misura è stata resa disponibile dalla diffusione delle indagini internazionali sugli apprendimenti, prima quella della IEA, poi quelle dell’OCSE. In particolare, un recente studio dell’OCSE porta a concludere che un aumento di 100 punti Pisa (l’organismo internazionale che certifica le competenze degli studenti) "produce" un aumento di due punti del Pil pro capite. Grazie a questa crescente evidenza l’istruzione, intesa come competenza, viene ormai riconosciuta come una delle chiavi dello sviluppo, tant’è che gli Obiettivi del Millennio post 2015 conterranno probabilmente un indicatore della qualità dell’istruzione oltre che i tradizionali indicatori sulla quantità.

Giorgio Paolucci
Avvenire, 25 marzo 2014

giovedì 27 marzo 2014

A PROPOSITO DI GENDER .....

LA SFIDA 

COMPRESA

Se si pretende che perfino l’essere uomo o donna non sia più un dato di natura, ma soltanto il frutto, per giunta mutevole e reversibile a piacere, di una scelta assolutamente personale e insindacabile, quali ruoli sociali e quali connesse responsabilità pubbliche o private possono essere richiesti, in nome del superiore bene comune, al cittadino di una qualsivoglia comunità civile? L’interrogativo chiude e giustifica l’appello che i vertici dell’Associazione italiana genitori hanno lanciato ieri agli insegnanti di ogni ordine e grado, per richiamare l’attenzione sul 'rischio gender' che, come questo giornale continua a documentare, incombe sul nostro sistema educativo, oltre che nel mondo dell’informazione e nella sfera della libertà di manifestazione del pensiero. Un’iniziativa che segue di appena 24 ore l’allarme a piena voce del cardinale Angelo Bagnasco, nei confronti di una deriva ideo­logica di cui gli stessi fautori non sembrano a volte in grado di valutare le conseguenze.
Va detto che in queste ultime settimane il livello di consapevolezza della posta in gioco, nonostante la strategia dell’oscuramento mediatico acutamente perseguita .....

continua:  GENDER - LA SFIDA COMPRESA


                                    SOS… IDENTITÀ!

L’impegno di ogni uomo, nel campo educativo, prioritario a qualsiasi altra azione, è quello di ascoltare e decodificare i segni dei tempi che oggi, a differenza dei secoli passati, sono difficili da definire perché si modificano e si succedono rapidamente per cui non si fa  in tempo a intravedere un segno/valore  che si passa immediatamente all’evidenza di un altro che magari è  in totale contrasto con quello precedente , in attesa che se ne ravvisi un altro ancora. Questa frenetica mobilità valoriale che incide  direttamente sulla cultura di una nazione, di un popolo, ha dunque la caratteristica della precarietà.
Compito allora di ogni uomo di buona volontà è quello di saper cogliere il valore che sta alla base di ogni naturale cambiamento, con la capacità di saper discernere il bene dal male, saper discriminare in questo turbinio di evoluzione quelle azioni di bene che vanno ad esaltare e non affossare la persona nella sua interezza.
Fare dunque cultura oggi deve poter significare anche  quello che la Dottrina Sociale della Chiesa ci ricorda al n.°557 “… garantire a ciascuno il diritto di tutti a una cultura umana e civile conforme alla dignità della persona, senza discriminazione di razza, di sesso, di nazione, di religione o di condizione sociale”.
Oltre alla dimensione del diritto al bene, occorre saper cogliere un’altra grande sfida del nostro tempo: la ricerca della verità culturale, in opposizione a tutte le altre “verità” le quali non sono altro che visioni riduttive o ideologiche dell’uomo e della vita......

continua:  SOS .... IDENTITÀ' 


lunedì 24 marzo 2014

LIVIO AGOSTINI E' TORNATO ALLA CASA DEL PADRE


 "... e se un giorno me ne andassi, sappi che vivo nella quiete del tuo cuore".

Ciao Livio

Ho pensato di cominciare a salutarti nello stesso modo con cui ho salutato Beppe un paio di anni fa: te ne sei andato proprio il giorno di S. Giuseppe e quando l’ho saputo ho pensato alla vostra collaborazione e alla vostra amicizia.
Ho avuto la notizia della tua morte quando ero a scuola a Ponte Crencano: il ricordo è andato a quando ero bambino e arrivava in classe il “Barbarossa”, come noi ti chiamavamo. Oggi sono ancora lì a cercare di portare avanti quello che tu, insieme a tanti altri amici, mi hai insegnato.
Ci hai lasciato il giorno della festa del papà e tu sei stato padre per i tuoi figli e in qualche modo lo sei stato per tanti maestri e direttori didattici.
Mentre comunicavo la notizia agli amici dell’Aimc nazionale e ragionale, ho scritto che sei stato uno dei nostri condottieri ma poi ho voluto cercare qualcosa che ti distinguesse.
E ho pensato che sei stato condottiero in modo “artistico”, nel modo di colui che guarda le cose, la materia, e dentro ci vede qualcosa che poi riesce a far venire fuori.
Chi ti conosce sa che hai amato e praticato l’arte, la fotografia, la pittura, la scultura, il lavoro manuale, hai usato la cartapesta e hai voluto che i tuoi figli amassero e praticassero la musica.
Sul piano professionale hai praticato l’arte della didattica, non tanto perché l’hai esercitata ma perché hai aiutato altri a farlo.
Sei stato uomo del tuo tempo, lo hai valorizzato e per alcuni aspetti hai anticipato il futuro. Con il tuo guardare oltre sei stato promotore e riferimento per diversi aspetti del lavoro d’aula: la TV a scuola, gli audiovisivi, l’animazione teatrale, la scuola materna, la matematica, il lavoro di gruppo, la comunicazione interpersonale, le prove oggettive.
Con il tuo aspetto, la barba rossa e gli occhi vispi, e con il tuo modo di fare, a volte “fuori dalle righe”, hai saputo attirare e valorizzare altri. Hai lasciato pochi segni scritti, sei stato poco scrittore, ma hai scritto nel cuore di tanti insegnanti e direttori didattici che ancora ti sono riconoscenti.
Sei stato artista anche nel tuo staccarti dalla scuola e dall’associazione. “Prima che ti mettano da parte, è meglio mettersi da parte!”, mi dicevi quando cercavo di tenerti con noi.
Il tuo ritirarti, il tuo chiuderti in te stesso ha sorpreso molti.
Noi che abbiamo continuato a frequentarti abbiamo potuto godere delle tue introspezioni e delle tue riflessioni che ci esprimevi quando venivamo a trovarti e che vedevamo nei tuoi quadri e nelle tue sculture.
Quando, poi, la malattia ti ha impedito la comunicazione verbale ed artistica, hai usato il tuo sguardo “birichino” e l’intensità della tua stretta di mano e del tuo abbraccio.
Con te, Livio, un altro pezzo di storia dell’Aimc e della scuola se ne va.
E noi, cerchiamo di essere buoni allievi e proviamo a continuare il nostro impegno di “artisti dell’educazione”.
Grazie a te, Livio, anche a nome degli amici dell’Aimc e della scuola veronese e nazionale, grazie a Rita e ai tuoi figli che ti hanno permesso di essere con noi e grazie al Signore della vita, che oggi lodiamo e benediciamo, perché ha manifestato in te il suo amore.

 Antonio e l’Aimc veronese e veneta
22.3.2014


UN SALUTO A LIVIO AGOSTINI
La lista comincia ad essere dolorosamente lunga: dopo Maria Badaloni, Carlo Buzzi, Pina De Maio, Consiglio De Simone, Maria Russo, Luigi Borghi, Tilde Parente, Rita Ludovico, Armando Covarelli, Sandro Zanin, Lorenzo Cultreri, Piero Pasotti,  Cesare Scurati ora è arrivato il turno anche di Livio Agostini da Verona.
Una molto garbata e-mail di Antonio Rocca mi ha informato del triste evento, ricordando, con particolare sensibilità, che ad ogni nostro incontro in sede associativa puntuale era  la mia richiesta di notizie sul conto dell’amico Livio.
Negli ultimi tempi il riscontro da parte di Antonio risultava sempre più mesto, malinconico, accompagnato da un’essenziale considerazione sul graduale, invasivo spegnimento di quella visione intellettuale chiara e distinta che costituiva forse la qualità più eccelsa del collega ed amico veronese.
Il rapporto mio con Livio fu segnato, in primo luogo, da un profondo sentimento di stima nei suoi riguardi. Ero interessato al suo modo di argomentare così logico, così lineare, sempre molto puntuale nell’analisi dei problemi e delle situazioni storico – culturali che motivavano le scelte di politica scolastica che in quel tempo si andavano compiendo nel Paese.
A lui piaceva di me quella che definiva la passione mediterranea nell’esporre il contesto storico- antropologico in cui andavano a collocarsi le carenze e le sofferenze del Mezzogiorno d’Italia. Mi riconosceva anche l’onestà intellettuale della severa autocritica ma anche dell’inflessibilità nella denuncia delle responsabilità della classe politica sulle oggettive difficoltà della scuola meridionale.
Una volta, per sottolineare la lunghezza di un mio intervento in consiglio nazionale, mi omaggiò, al termine della comunicazione, di una simpatica caricatura della mia persona con la scritta ‘ insomma’ con tanto di punto esclamativo finale.
Ricordo ancora che, inserito quale relatore in un corso di formazione per giovani maestri in svolgimento lungo la penisola sorrentina, arrivò lì col camper animato dalla vivace e tanto amata sua famiglia.
In didattica fu un anticipatore delle più avanzate teorie,  affrontate ed analizzate sempre con spiccato senso critico e col nutrimento della  ricca e variegata esperienza maturata in aula.
Ricordarlo ai quadri associativi, impegnati sul campo nelle differenziate realtà del  territorio nazionale, significa manifestare nei riguardi del compianto Livio un dovuto atto di gratitudine. A quanti sono interessati alla storia dell’Associazione si tratta di recuperare  un’intelligenza vivace e critica, consolidatasi in una stagione fertile di  proposte significative per l’AIMC e per la stessa scuola italiana.

Ambrogio Ietto
Aimc Salerno

21.3.2014

domenica 23 marzo 2014

LE DOMANDE DIFFICILI - Incontro di formazione

A scuola talvolta i bambini ci fanno domande “difficili”.  Sono le domande sul senso della vita.
            Si trovano a vivere una perdita, una separazione,un dolore. O comunque qualcosa  di incomprensibile. E sentono allora la voglia forte di  sciogliere il malessere, la rabbia, la contraddizione. Le domande che ci rivolgono (su Dio ad esempio o sul senso delle cose) rivelano un mondo magico, attraversato da preoccupazioni profonde ma anche da stereotipi ripresi dagli adulti. 
            A queste domande spesso non sappiamo rispondere, o rispondiamo con altri stereotipi,altri catechismi,altre formule. Di cui poi non siamo contenti. Perché quelle domande ce le facevamo anche noi da piccoli. E ora quei bambini ci rimandano a emozioni e paure ancora nostre, a interrogativi antichi, a luoghi comuni di cui   forse siamo ancora prigionieri


L’A.I.M.C. FIRENZE
Organizza un incontro  di formazione
Sabato 12 aprile    2014 ore 09,15 – 12,15
presso la Sala  della Chiesa di Santa Lucia sul Prato
via di Santa Lucia 10 Firenze

LE DOMANDE DIFFICILI DEI BAMBINI
SUL SENSO DELLA VITA:
“Dio (per i bambini) chi è? “

Don Paolo Arzani: "Il sussurro di una brezza leggera"
  
Catia Rossi - "E a scuola... la visione religiosa dei bambini fra magia, mistero e timore"

         
       Don Paolo Arzani è  Assistente spirituale dell’A.I.M.C. Firenze, laureato in letteratura italiana, con studi in psicologia e teologia,  insegnante di religione cattolica e parroco della Chiesa di S.Lucia sul Prato )
Catia Rossi è Docente di scuola primaria e componente del Consiglio dell'AIMC Firenze

 L'incontro è gratuito. Le iscrizioni si raccolgono fino ad esaurimento dei posti disponibili ai seguenti indirizzi di posta  stefanoagnifedi@alice.it catiamax.dg@libero.it  Al termine dell'incontro sarà rilasciato ai partecipanti l'attestato di frequenza e i relativi materiali.

martedì 4 marzo 2014

LA SCOMPARSA DI MARIO LODI

OMAGGIO

 A MARIO LODI

Nel pomeriggio di ieri, nella chiesa di S. Eufemia a Drizzona di Cremona, un piccolo comune del cremonese con 550 abitanti, si sono svolti i funerali di Mario Lodi, maestro sperimentatore, dottore honoris causa in pedagogia, laurea concessagli dall’Università degli Studi di Bologna.
Bene ha fatto Matteo Renzi, il giovane ed esuberante presidente del Consiglio, a rilasciare una dichiarazione che può essere giudicata, dai soliti critici di mestiere, retorica e strumentale ma che, in chi scrive, alimenta commozione e fa riflettere: “ Mario Lodi, uno di quei piccoli maestri che hanno fatto grande il nostro Paese”.
Fa anche piacere leggere che il novantaduenne ideatore di una didattica valorizzatrice del potenziale di creatività di cui è portatore ogni allievo non abbia posto ostacoli a fruire di onoranze funebri secondo il rito cristiano – cattolico. Anzi egli, approdato al pensiero e alla metodologia del francese Celestin Freinet, coniatore di una tipografia adatta all'uso scolastico perché convinto dell’importanza della pagina stampata, ‘ una pagina impeccabile, netta, che conserva in sé perennità e maestà’, fu estimatore anche di don Lorenzo Milani, di Maria Montessori, di Paolo Freire, il sacerdote brasiliano fautore della “ pedagogia degli oppressi” che, sostenendo la restaurazione dell’intersoggettività, si presenta nella sostanza come “pedagogia dell’uomo”.
E’ pur vero che la sua impostazione didattico – metodologica lo fece aderire alla costituzione e al coerente sostegno del Movimento di Cooperazione Educativa, un gruppo professionale di maestri sperimentatori cui va dato il merito, unitamente all’Associazione Italiana Maestri Cattolici di Maria Badaloni e di Carlo Buzzi, di avere perseguito e di continuare ad adoperarsi per l’uguaglianza dei diritti dell’alunno, della cultura dell’accoglienza e del rispetto della diversità, della libertà di espressione e della partecipazione democratica.
I nostri nipoti sono idealmente grati a Mario Lodi perché li ha resi tifosi di Cipì, il passerotto del libro suo più noto che, come ogni bambino, è curioso, desidera mettersi alla prova, anche affrontando pericoli e gli inevitabili  imprevisti della vita.
E’ questo desiderio di conoscere che lo fa volare alto, che lo rende intraprendente e che gli consente di scoprire il mondo.
Mario Lodi lascia un monito a quanti di noi continuano a soffrire del mal di scuola e, soprattutto, alle centinaia di migliaia di insegnanti di ogni ordine e grado di scuola impegnati nelle tante difficoltà quotidiane: vivere con orgoglio questa attività professionale, non dimenticare che essa è determinante per il futuro dei nostri ragazzi e giovani, valorizzare nella mediazione didattica il ricco patrimonio  di esperienze di cui ogni allievo è portatore anche e, soprattutto, grazie ai molteplici canali tecnologici coi quali sono a contatto.
E’ un lavoro non semplice ma anche entusiasmante.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                          Ambrogio Ietto

sabato 1 marzo 2014

LO STUPORE A SCUOLA 

Lo stupore riguarda qualcosa di inatteso. Qualcosa che rompe la routinarietà e determina una  discontinuità del sentire. Si tratta di una condizione antropologica ben nota, e in quanto tale non può rimanere estranea a quell’esperienza primaria dell’umano che è l’esperienza dell’apprendere. 
Cercherò qui di delineare, per l’esperienza dello stupore, una possibilità di “accampamento” all’interno degli ambienti in cui bambini e ragazzi ogni giorno devono acquisire le conoscenze necessarie per vivere. Ha a che fare con la scuola lo stupore? Per rispondere in modo affermativo a questa domanda, che è lo scopo del presente contributo, occorrerà naturalmente tradurre la nozione di stupore nel linguaggio che meglio si adatta ai temi dell’istruzione, e questa costituirà l’occasione per ripercorrere alcune questioni cruciali della didattica con un particolare taglio osservativo.  
Intanto pare opportuno creare una sorta di trittico a tre “s”, che lega lo stupore ai concetti di “sorpresa” e di “scoperta”. Si tratta in altri termini di comprendere se l’ambiente scolastico possa configurarsi come un ambiente in cui fare esperienza della sorpresa (o della meraviglia) e fare esperienza della scoperta costituiscono un vantaggio in ordine alla possibilità di apprendere. In via preliminare può essere utile scandagliare i contrari di questi due termini: forse il contrario di sorpresa può essere “prevedibilità”, che magari fa pensare a “noia”, mentre il contrario di “scoperta” potrebbe in qualche modo ricondurre allo stesso terreno. Se non c’è niente da scoprire, 
forse questo accade perché tutto è già dato per scontato e va solo trasmesso. ,,,,