Is 2,1-5; Sal 121; Rm 13,11-14a; Mt 24,37-44
Commento
di M. Augé B.
L’Avvento
ricorda le due venute del Signore e le mette in intimo rapporto, la prima nel
mistero della incarnazione e la seconda alla fine dei tempi: “Al suo primo
avvento nell’umiltà della condizione umana egli portò a compimento la promessa
antica, e ci aprì la via dell’eterna salvezza. Quando verrà di nuovo nello
splendore della gloria, ci chiamerà a possedere il regno promesso che ora
osiamo sperare vigilanti nell’attesa” (prefazio dell’Avvento I). Questa Ia domenica
è tutta quanta incentrata sulla venuta del Signore alla fine dei tempi, alla
quale siamo invitati a prepararci. Quando facciamo delle scelte nella vita di
ogni giorno, le facciamo avendo davanti l’immagine di un futuro che intendiamo
raggiungere: economico, sociale, culturale, ecc. Oggi siamo invitati a farle
guardando anche al futuro di Dio, di un Dio che è venuto, viene e verrà per
noi.
Il brano evangelico raccoglie alcune parole di Gesù in cui egli afferma che l’incontro con lui alla fine del nostro pellegrinaggio terreno sarà improvviso e inatteso. Il testo evangelico è tutto focalizzato sull’incertezza del quando, che viene ripetuta tre volte: “vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà…”. Siamo invitati quindi a risvegliare in noi uno spirito vigilante.
La vigilanza è la capacità di essere presenti a ciò che si vive. Non si tratta di una vigilanza passiva e inoperosa, ma attiva e dinamica; dobbiamo andare incontro al Cristo che viene e dobbiamo farlo “con le buone opere” (colletta). Tutta la vita deve essere una preparazione prolungata e fedele ad accogliere Cristo che viene. Un messaggio simile lo troviamo nella prima lettura, in cui il profeta ci esorta a percorrere il nostro cammino “nella luce del Signore”.
Nella lettura apostolica, san Paolo, riprendendo il simbolismo della luce e, dopo aver ricordato che siamo nella notte in attesa dell’alba luminosa dell’avvento di Cristo, ci invita a svegliarci perché il giorno della salvezza è vicino. In questo contesto, l’Apostolo aggiunge che dobbiamo gettare via le “opere delle tenebre” e comportarci “come in pieno giorno”. Il futuro verso cui camminiamo deve innestare nel presente la tensione per l’impegno nei valori che, vissuti nel presente, conducono al possesso di quelli futuri e definitivi. Ogni attimo della nostra vita è impastato di eternità. Perdere la memoria del futuro equivale ad appiattire il presente.
Il
cristiano essendo una persona di memoria, è una persona di attesa. La nostra
esistenza di credenti è destinata a svolgersi, come è naturale, in seno alla
storia concreta degli uomini e delle donne ma allo stesso tempo è chiamata a
far lievitare la storia con la novità della speranza, cioè con la fede nel
progetto salvifico di Dio.
La
partecipazione all’eucaristia è “pegno della redenzione eterna” (orazione sulle
offerte), ci sostiene nel nostro cammino e ci guida ai beni eterni (cf.
orazione dopo la comunione).
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