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giovedì 26 giugno 2025

PELLEGRINI PER LA PACE


A piedi lungo la via Francigena dove cadono a terra tutti i pregiudizi

Il cammino insegna l’umiltà del confronto con chi è diverso da te. 

La guerra nasce spesso dall’incomprensione.

Riuscire a parlare col nemico è l’educazione sentimentale che il Nazareno propose

Da Milano a Roma, in un viaggio povero, lento e condiviso, lungo la Via Francigena, per raggiungere piazza San Pietro e consegnare una lettera al Papa. È il Cammino della Pace che ha visto protagonisti i ragazzi delle scuole Penny Wirton, una rete di 65 associazioni i cui docenti volontari insegnano gratuitamente italiano ai migranti. Eraldo Affinati, scrittore e fondatore nel 2008 con la moglie Anna Luce Lenzi della prima Penny Wirton romana, racconta ogni settimana una tappa di questo cammino.

 

-         di ERALDO AFFINATI

-          Ci svegliamo all’alba nel convento dei Cappuccini a Pontremoli: la città dei ponti tremolanti. Una schiera di palazzi sgranati sul fiume Magra lungo la riva sassosa che scende dai monti a strapiombo in mezzo alle case. Mentre mi aggiro nei lunghi corridoi che un tempo ospitavano le vecchie celle dei monaci e ora sono adibite all’accoglienza dei pellegrini, ho l’impressione di sentir risuonare da lontano le preghiere secolari che vennero pronunciate fra queste mura da individui drammaticamente sospesi tra cielo e terra, nel comune auspicio della Gerusalemme Celeste, la città alla quale Gesù piangendo si rivolse così: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stato visitata.” (Luca, 19, 41). I n una sala al pianterreno, vicino a quello che una volta era forse il refettorio, sono appese due vecchie carte geografiche: una riproduce il Bel Paese che stiamo attraversando; l’altra, nella sua gran parte, fotografa uno Stato che non c’è più: l’Unione delle Repubbliche Sovietiche. Osservando la prima mi torna in mente Francesco Petrarca: “Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno / a le piaghe mortali / che nel bel corpo tuo sì spesso veggio, / piacemi almen che ‘ miei sospir’ siano quali / spera ‘l Tevero et l’Arno, / e ‘l Po / dove doglioso et grave or seggio.” Guardando la seconda non posso non ripensare al conflitto ucraino in pieno corso, soprattutto quando l’occhio mi cade su Kharkov, scritto nella grafia russa, che visitai due anni fa: ancora conservo la memoria della piccola Mascia, una bambina di otto anni, costretta a studiare nel bunker insieme alle sue compagne, per mettersi al riparo dai bombardamenti.

Torniamo su a riprendere gli zaini. Nello sgabuzzino incrocio Fatima, anziana marocchina impegnata a rifare le stanze: sembra uscita da una medina di Fez o Marrakech, parla a stento l’italiano, quando le dico che porta il nome di una delle figlie del profeta, scopre con un sorriso rugginoso i suoi denti guasti. È un’apparizione magica in questo scenario di cristianesimo antico, nel giorno in cui si apre il conclave. Forse lei custodisce nel cuore, a sua insaputa, una speranza di riconciliazione fra universi contrapposti e talvolta recalcitranti, incarnando l’Islam col quale il poverello d’Assisi cercò un rapporto non effimero, ancora oggi vivo e pulsante negli occhi dei nostri studenti arabi, al tempo stesso indisciplinati e ribelli, difficili da contenere nella dimensione didattica, eppure stretti l’uno all’altro da un patto di fratellanza quasi ancestrale attraverso cui l’educatore consapevole può trovare un varco d’accesso. T alvolta, quando sono di fronte a loro, difficili da contenere, penso a Charles de Foucauld, ucciso nell’eremo di Tamanrasset da un giovane predone impaurito. Secondo la biografia di Michel Carrouges, l’omicida si chiamava Sermi Ag Thora, aveva quindici anni: “Rimasto solo, vicino al padre, Sermi perde la testa. Pensa che il prigioniero voglia scappare. Gli tira un colpo a bruciapelo. Il proiettile entra dall’orecchio destro ed esce dall’occhio sinistro. Con un colpo solo il padre cade, come fulminato. Il suo corpo, legato, si affloscia lentamente. Il proiettile si è conficcato nel muro della torre, a sinistra dell’entrata del fortino.” La guerra nasce spesso dall’incomprensione, dall’incredulità, dall’equivoco, dal fraintendimento.

Parlare con il nemico

Riuscire a parlare col nemico, pronti a varcare gli steccati delle nostre certezze difensive, lasciandosi trafiggere dal punto di vista altrui, è l’educazione sentimentale che il Nazareno propose ai suoi discepoli dal primo momento in cui li vide, sulle sponde del lago Tiberiade, fin quasi sul Golgota, rinunciando di fronte a loro ad ogni possibilità di salvezza ultraterrena. Ecco perché mettersi alla sua sequela, scrisse Dietrich Bonhoeffer, significa accettare il limite che la realtà ci impone: “Il cristiano deve rimanere nel mondo. Non a causa della bontà che Dio ha conferito al mondo, neppure perché sia responsabile delle vicende del mondo, ma a causa del corpo di Cristo, che si è fatto uomo, della comunità.”

All’ora di pranzo abbiamo il treno regionale per Lido di Camaiore con cambio a Vezzano Ligure dove contiamo di arrivare in poche ore: lì ci aspetta il marito di Primetta, responsabile della Penny Wirton di Massarosa, non distante da Lucca, dove sono in programma diversi incontri. Il primo avviene alla Casa del Pellegrino di Valpromaro, famosa organizzazione parrocchiale di accoglienza per i viandanti diretti a Roma. Mirco Lazzari, uno dei che prestano servizio in questa sede, ci racconta le storie delle tante persone negli anni passate da qui: dal signore olandese che aveva smarrito la strada al tedesco afflitto dal morbo di Parkinson fino all’esploratrice più anziana, Emma Morosini di Castiglione delle Stiviere, deceduta a 96 anni dopo l’ultimo pellegrinaggio a Czêstochowa. Chi cammina scopre gli ingranaggi del suo motore interiore, mostrando dove trova alimento. Armando, pensionato impegnato a tener viva questa impresa, quando gli chiedo di spiegarmi la propria motivazione al volontariato, mi regala, con scelta sorprendente, una terzina dantesca: “Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, / per giudicar di lungi mille miglia / con la veduta corta d’una spanna?” (Canto XIX del Paradiso). Come dire che sulla via Francigena cadono a terra tutti i pregiudizi: il cammino ti insegna l’umiltà del confronto con chi è diverso da te.

Parole di fratellanza

Al centro civico di Massarosa e poi nell’auditorium della scuola media ci vengono incontro ragazzi nigeriani, senegalesi, albanesi, magrebini: ognuno si presenta con la sua parola di fratellanza, frutto spesso deturpato da esperienze traumatiche perché molti di questi adolescenti hanno ancora le cicatrici delle ferite ricevute, eppure sembrano averle superate, lanciati come sono verso un futuro a loro stessi ignoto. Ecco Anastasia, liceale figlia di genitori polacchi, che, come tante sue coetanee, svolge le ore dei Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento) insegnando la nostra lingua ai minorenni non accompagnati. Le chiedo cosa provi nel farlo. Risponde dicendo che è come se parlasse a una piccola se stessa perché anche lei, pur nata in Toscana, essendo di madre lingua straniera, ha dovuto faticare per sentirsi uguale alle altre. Ascoltandola raccontare la sua esperienza didattica, come non ripensare a Don Lorenzo Milani? “D’ogni libro c’era una copia sola. I ragazzi gli si stringevano sopra. Si faceva fatica a accorgersi che uno era un po’ più grande e insegnava. Il più vecchio di quei maestri aveva sedici anni. Il più piccolo dodici e mi riempiva di ammirazione. Decisi fin dal primo giorno che avrei insegnato anch’io.”

 ww.avvenire.it

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