V Domenica di Quaresima
- 6 aprile 2025 -
Vangelo: Gv 8,1-11
Commento di don Massimo Grilli*
La dignità che sgorga dall’incontro con Gesù è pure il motivo
conduttore del racconto dell’adultera. È noto che il brano non apparteneva
originariamente al vangelo di Giovanni e che solo in un tempo posteriore vi ha
fatto il suo ingresso, proveniente da un’altra fonte (Luca?). La sua
accettazione liturgica avvenne molto tardivamente (qualcuno parla del V secolo)
e alcuni studiosi indicano la causa di questo ritardo proprio nella naturalezza
con cui Gesù perdona un peccato che era disciplinato dalla chiesa delle origini
in modo piuttosto rigido. In ogni caso, anche se testualmente la scena è fuori
posto, essa si adatta perfettamente al prosieguo del capitolo ottavo di
Giovanni, dove si parla del giudizio veritiero di Gesù in contrasto con quello
dei suoi oppositori. E proprio di giudizio si parla in questo episodio.
La scena è pennellata da un artista: gli scribi e i farisei
accusatori conducono la donna come una preda; lei, svergognata, “in piedi,
di fronte a tutti”, e Gesù curvo che scrive con il dito per terra. Agostino
ha tratteggiato in modo mirabile il dramma, scrivendo: «i relitti sono due: la
misera e la misericordia”. Da una parte una donna, ridotta a uno stato di
completo avvilimento dalla sua colpa e da una legge che la condanna senza
appello, e dall’altra gli zelanti tutori dell’ordine, che hanno a cuore la
legge, ma non l’uomo, e la consolidata pratica di interrogare gli altri, ma non
se stessi. Gesù – osservato speciale – costretto a emettere la sentenza.
«Ma Gesù si mise a scrivere col dito per terra». Di
questo gesto sono state date numerose spiegazioni, più o meno plausibili.
Spesso si è pensato che scrivesse i peccati degli accusatori o la sentenza su
di loro, pronunciata poi nel versetto seguente; altri hanno pensato a delle
linee indistinte, tracciate per contenere i sentimenti di ripugnanza verso chi
tentava di tendergli un tranello; altri ancora – soffermandosi sulla terra e
sul dito – hanno fatto riferimento alla legge di Mosè scritta sulla pietra con
il dito di Dio: una Legge interpretata in modo nuovo da Gesù.
I peccatori
Forse per comprendere a fondo l’atto dello scrivere dobbiamo
portare la nostra attenzione a quanto Gesù dice subito dopo: «chi di voi è
senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei», perché con questo
pronunciamento Gesù rifiuta l’ipocrisia umana che utilizza lo zelo per la legge
come un randello per condannare e abbattere. Si tratta di un pericolo che si
annida in chi crede e in chi non crede, nei palazzi dei potenti e in quelli sacri,
sulle strade del mondo e nelle case degli uomini: il desiderio di mortificare
la dignità umana grazie a una libido del potere che si fa
interprete persino della volontà di Dio. La salvaguardia di una legge non deve
perdere di vista la dignità umana. Quando la difesa di un valore arriva al
disprezzo dell’essere umano fino a calpestarne la dignità, quando si legifera
solo in vista della punizione e della mortificazione della persona… allora si
calpesta la speranza: rimane il regno degli “onnipotenti”.
LA salvezza
Quando il processo si è liquefatto, rimangono solo Gesù e la
donna: la misera e la misericordia, e Gesù può finalmente emettere
la sua sentenza definitiva: «Nemmeno io ti condanno. Va’ e d’ora in poi non
peccare più». La vita rinasce grazie a una Parola che non conosce condanna.
Per i farisei, che l’avevano colta sul fatto, la donna era solo un’adultera:
nient’altro. Per Gesù, invece, la donna che gli sta davanti non può essere
definita soltanto dal suo peccato. Ogni uomo e ogni donna racchiudono un
mistero che non può esaurirsi unicamente nel «già»; in ogni essere umano abita
un «non ancora» di grazia, ancora inespressa. «Va’ e d’ora in poi non
peccare più» è un atto di fiducia divina nella possibilità che ogni essere
umano possa di nuovo alzarsi e andare!
*Don Massimo Grilli,
Professore emerito della Pontificia Università Gregoriana e
Responsabile del Servizio per l’Apostolato Biblico Diocesano
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