religiosi ma non troppo.
Come è cambiata la fede vissuta
L’indagine condotta su un campione
rappresentativo di mille individui.
Tra coloro che si dichiarano “felici”
è alto il tasso di chi considera la fede
e la sua pratica essenziale
alla propria vita
-
di Elisa Campisi
«Quale posto occupa la
religione nella sua vita?”. È una delle 40 domande di una ricerca Ipsos che ha
coinvolto mille over 65 per indagare, su richiesta della Fondazione Età Grande,
la religiosità degli anziani in Italia. «La religiosità in età matura è caratterizzata
da una sorta di “sdoppiamento” tra sfera spirituale individuale e dimensione
sociale della Chiesa», ha spiegato il presidente di Ipsos, Ferdinando
Pagnoncelli, presentando martedì scorso i risultati della ricerca durante una
tavola rotonda che si è tenuta alla sala Pio XI della Città del Vaticano, con
molti relatori, tra i quali l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della
Fondazione.
È la prima volta – hanno ricordato gli organizzatori – che il tema della fede e
della spiritualità viene indagato concentrandosi sull’ormai vastissimo e
diversificato mondo degli over 65, che in Italia costituisce oltre il 25% della
popolazione, per un totale di 14 milioni di persone. La ricerca ha approfondito
i temi del senso di appartenenza religiosa, della pratica, della
socializzazione della fede, della morte, del fine vita e dell’incrocio tra
religione e nuove tecnologie. Costituisce dunque un importante spunto per
riflettere sui cambiamenti antropologici che stanno attraversando il mondo
sempre più ampio degli anziani nel nostro Paese, dal punto di vista della
spiritualità e della fede.
Religiosità e pratica
Tra gli aspetti più
interessanti c’è per esempio questo divario tra religiosità e pratica: se da un
lato persiste un solido legame identitario con la fede trasmessa da tradizione
e famiglia, dall’altro si assiste a un progressivo affievolimento della ritualità
pubblica, specie tra le fasce under 80. «I risultati smentiscono lo stereotipo
per cui gli anziani vanno a Messa, complice forse anche la possibilità di
guardarle più facilmente da casa», aggiunge Pagnoncelli. Il divario tra il
dichiararsi religiosi e l’importanza di Dio nella propria vita da una parte e
dall’altra il rapporto con le chiese locali e con il linguaggio religioso
cristiano, parla di una religiosità spesso svincolata dalle categorie
convenzionali. Sul fronte dell’appartenenza religiosa emerge infatti una
situazione di sostanziale fede nella popolazione anziana, con l’85% degli
intervistati che considera il credere in Dio un bisogno umano. Tuttavia,
andando ad analizzare più nel dettaglio, si notano delle differenze
significative per area geografica, status socio-economico, livello di
istruzione ed età. Pur con un 75% di intervistati che si definisce cattolico,
solo il 20% lo ritiene un aspetto fondamentale e il 38% importante. Il Sud e le
isole, capofila, registrano oltre l’80% di persone che si sentono religiose,
mentre si scende al 44% tra i 65-70enni del Nord-Est. L’analisi individua poi
che questa appartenenza spirituale tende a correlarsi con il livello di
felicità. In generale gli over 65 mostrano un dato medio di felicità personale
pari a 6,4 su una scala da 1 a 10, ma più ci si sente vicini alla religione,
più si dichiara appagamento personale. Anche qui, però, con alcune differenze.
Gli uomini, le persone più benestanti, chi ritiene la religione molto
importante e i residenti al Sud si dichiarano mediamente più felici, mentre le
donne, chi versa in condizioni economiche svantaggiate e chi dichiara la
religione poco o per nulla importante ha generalmente anche maggiori rimpianti
e insoddisfazione rispetto alla vita trascorsa.
Religione e quotidianità
A tale spiritualità non
corrisponde però altrettanta pratica. Per quanto concerne la frequentazione
religiosa, pur con picchi del 41% di Messa settimanale tra i 76-80enni, si vede
progressivamente una minore assiduità nelle fasce più giovani della terza età:
solo il 26% dei 65-70enni frequenta funzioni con regolarità e fino al 34%
dichiara di non pregare mai. Nelle regioni del Nord-Est, dove il 57% dei
65-70enni dichiara la religione poco o per nulla importante, solo il 13%
frequenta messa e riti con regolarità. Si tratta di un netto calo
generazionale, che si ritrova anche nella scelta di dare o meno un’educazione
religiosa ai propri figli. I giovani anziani percepiscono inoltre una minore
“utilità” della religione nell’affrontare la quotidianità. Infine, l’indagine
mostra differenze attitudinali e valoriali tra under e over 80 anche sui temi
legati al fine vita. I più giovani tra gli anziani sono più laici e con un
approccio pragmatico rispetto a scelte quali testamento biologico o suicidio
assistito. Gli ultraottantenni sono invece più tradizionalisti, ritenendo la
religione guida imprescindibile anche su tali complesse decisioni personali.
«La terza età – spiega ancora Pagnoncelli – si configura come delicato crocevia
esistenziale, con la religione che dà rifugio esteriore coerente alla
tradizione qual era in gioventù e si fa voce interiore suadente negli anni
della pensione. Una voce talora scalfita da dubbi, ma tuttora capace di
infondere quella serenità e fiducia necessarie ad affrontare l’inesorabile fine».
La spiritualità permane dunque «elemento fondamentale e intimamente
consolatorio per la generazione degli over 65, gettando un ponte verso l’aldilà
ai più anziani e verso le proprie radici culturali ai più giovani». Il
presidente di Ipsos ha poi sollecitato una riflessione su come l’allungamento
della vita costituisca una grande opportunità, «ma dopo il ritiro dal lavoro
c’è un profondo smarrimento». Questo interpella sì la Chiesa, ma anche le
istituzioni e le comunità, ha ricordato: «Un ruolo sociale può aiutare a dare
un senso alla propria esistenza e chi esce dal mondo del lavoro ha un bagaglio
di esperienza che può mettere a disposizione di altri, ma bisogna anche non
lasciare soli gli anziani, attivare processi comunitari per avvicinarli ai
giovani, un po’ come abbiamo fatto per esempio nei momenti di emergenza del
Covid19, quando molti ragazzi andavano a portargli la spesa».
La vera urgenza
I cambiamenti analizzati,
in una società che invecchia come la nostra, interrogano la Chiesa che ha una
responsabilità verso questa fetta di popolazione più anziana. «La vera urgenza
che emerge da questa inchiesta, è che bisogna parlare di questa autoesclusione
degli anziani – ha commentato monsignor Paglia – . Abbiamo un popolo
enorme che chiede pane e non c’è chi lo spezza per loro». Questa
indagine, che mostra un bisogno generale di spiritualità, «ci dice anche che la
Chiesa non la riesce a offrire a queste persone come dovrebbe». Nelle diocesi,
continua, «c’è il prete per i giovani, ma manca spesso quello degli anziani.
Serve una pastorale anche per loro, in modo da accompagnarli a vivere con
pienezza questi anni che non possono essere di rassegnazione». Adesso che le
persone vivono fino a 20 anni di più, sottolinea ancora monsignor Paglia,
bisogna insistere sull’aspetto comunitario e non solo sulla messa, ricordando
uno dei dati più importanti tra quelli emersi dall’analisi Ipsos: «La forza
della fede aiuta gli anziani. Chi crede sta meglio».
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