Un Mega contro il Maga di Trump
Il
past president del Cese, l'organismo che rappresenta la società civile europee,
Luca Jahier analizza i molti importanti dossier che coinvolgono l'Ue nella
nuova era trumpiana, per concludere che occorre rispondere al "Make
America Great Again" del tycoon con il "Make Europe Great Again"
di Luca Jahier
È da
un anno che in Europa si dibatte sulla eventualità di un ritorno di Donald
Trump. Ma questo lungo tempo di attesa non pare aver finora prodotto
strategie operative e quel salto di qualità che sarebbe necessario, prima per
non perire e poi per svolgere quel ruolo che l’Europa ha svolto con grandi
risultati nei decenni passati, cioè di coniugare il volto di un altro
Occidente, promotore di pace, progresso condiviso e multilateralismo.
Dal
nucleare, al clima, tutti i ripiegamenti Usa
Non
è certo un mistero capire quali saranno le linee di impatto della seconda
amministrazione Trump sull’Europa: basta guardare a cosa è successo durante la
sua prima presidenza. Principale sponsor e sostenitore della Brexit, ritenendo
che l’Europa unita non fosse interesse degli Usa e arrivando persino a definire
l’Ue come il peggior nemico degli Stati Uniti, con gli esiti che sappiamo, ma
che allora fecero molti adepti in molti paesi europei. Poi l’uscita
dall’accordo sul nucleare con l’Iran, l’uscita dall’accordo di Parigi sul
clima, l’imposizione di dazi commerciai nei confronti di diverse esportazioni
europee per finire alla sfida rispetto alle spese per la difesa in ambito Nato.
In questo secondo mandato si possono solo aspettare elementi di maggiore
assertività su questi punti, sia perché le strategie di questa presidenza sono
state preparate con molta più solidità della precedente, sia perché le spinte
per una nuova primazia americana sugli scenari internazionali è molto più
impellente di allora, sia per gli aspetti della sfida della rivoluzione
tecnologica ed economica in corso, sia perché l’asse principale del confronto
geopolitico mondiale è quello del Pacifico e dello scontro con la Cina (con la
quale i dazi su alcuni prodotti sono già al 60%) e gli Stati Uniti non
intendono più perdere troppo tempo con l’Europa o il Medio Oriente.
Trump
I e II, ecco le differenze
La
differenza radicale di oggi con la prima amministrazione Trump è il fatto che
allora in Europa vi erano alcune leadership solidissime, da Macron a Merkel,
affiancate da Juncker e Tusk (l’altro Donald) che riuscirono
in tempi brevi a darsi strategie unitarie per fronteggiare le politiche
aggressive verso l’Europa di Trump. L’esempio probabilmente di maggior successo
in questo è stato la gestione nel negoziato della Brexit, sul quale, contro la
previsione di molti, l’Europa non solo non si è divisa ma ha saputo persino
rafforzarsi, pur perdendo un membro di grande peso. La seconda è che ora siamo
in una situazione di “guerra estesa”, i cui punti di maggiore e devastante
crisi sono il fronte ucraino e il Medio Oriente. E questo non solo pesa già per
gli enormi costi in vite umane ma anche in spese militari e per la difesa e
costi economici che abbiamo e dovremo sostenere, ma anche per le grandi
incognite rispetto al futuro, di fronte al quale l’annunciato abbandono
dell’Ucraina da parte di Trump e un suo negoziato diretto con Putin per
congelare il conflitto sulle posizioni attuali, per ora, sarebbe assai nero per
l’Ucraina, per la Moldova, per la Georgia, ma anche peer l’Europa e per le
aeree più vicine, a partire dai Balcani.
Finita
la speranza coltivata da molti che non finisse così, resta ora la crudezza di
una realtà da affrontare, evitando il rischio della rincorsa disordinata alla
corte del vincitore per ottenere qualche favore sui propri specifici interessi
nazionali. Al di là di coloro che in Europa esultano e si aspettano che esso
dia una spinta alle forse populiste e nazionaliste nelle prossime tornate
elettorali (da Orban a Le Pen passando per
l’Afd tedesca) se comincerà quella sorte di “pellegrinaggio a Lourdes” di cui
si sono già viste alcune avvisaglie, allora non resta che la rassegnazione, che
già Balzac aveva definito una sorta di suicidio quotidiano. Analogamente sarebbe
quello di attestarsi, come insieme dei paesi europei e delle istituzioni
comuni, su una sola postura di strategie difensive, secondo una logica di
limitare per quanto possibile i danni oggi, sperando in un domani migliore. Una
postura dal fiato molto corto e che però già si intravede dai timidissimi
risultati del vertice di Budapest di questi giorni.
Il
tweet di Gonzales Laya: «Il futuro dell’Europa è nelle mani dell’Europa»
Mi
pare che il migliore commento politico al risultato del voto sia contenuto in
un tweet di Arancia Gonzales Laya, già ministro degli Esteri
spagnolo e oggi succeduta a Enrico Letta come decana della
Paris School of international Affairs, a Science Po. “Trump non è il problema,
Harris non sarebbe stata la soluzione. Il futuro dell’Europa è nelle mani
dell’Europa. Il lavoro deve cominciare ora” Agli inizi di quest’anno di ho scritto
un libro Fare l’Europa, fare la pace. Per evitare il
collasso del progetto europeo (Feltrinelli), indicando una concreta
Agenda della speranza per questa nuova fase post elezioni europee.
Insomma,
è ora che la risposta a ciò che ormai ha sostituito il cuore della tradizione
repubblicana americana, cioè il “movimento Maga”, ancora richiamato da Trump
nel suo discorso della vittoria come il più grande evento politico della storia
americana, diventi per l’Europa il Mega “make Europe great again”!
È
il tempo di fare quello che ebbi già a definire come un “salto quantico”, in
termine di politiche, di integrazione, di istituzioni e investimenti comuni che
è la sola condizione per non frantumare quanto abbiamo costruito, preservare il
nostro modello sociale e democratico e poter definire un nuovo ruolo negli
scenari internazionali così sconquassati che stiamo vivendo. Dopo la caduta del
muro di Berlino l’Europa seppe superare le reticenze accelerando sul mercato
interno e progettando sia l’Euro che il più grande allargamento della
storia. Dopo la pandemia, l’Europa ha saputo rispondere con il Next
generation EU, basato su 750 miliardi di debiti europei, finalizzati in gran
parte a rafforzare la strategia del Green Deal e della transizione digitale,
che era stata messa al centro della legislatura pochi mesi prima.
L’agenda
delle cose possibili
Ora
l’agenda delle cose possibili e necessarie è molto ampia, ma credo che una
strategia solida si possa basare almeno su questi cinque punti. Assumere l’Agenda
Draghi e il Rapporto Letta come progetto costituente
di questa e della prossima legislatura, a partire da una solida strategia
industriale e di sovranità strategica e dall’Unione del mercato dei capitali,
per favorire i flussi degli investimenti necessari. Un fondo europeo per la
Difesa, basato sul debito comune. Un decisivo rilancio della Agenda
verde, sul quale l’Europa ha oggi un vantaggio competitivo, anche in ambito
tecnologico. Affrontare il nodo dei meccanismi decisionali in seno all’UE,
abolendo almeno il potere di veto. Fare dell’allargamento, della politica
Mediterranea e di una alleanza strategica con l’Africa gli assi traenti di una
decisiva politica estera comune. Sono tutti aspetti per i quali i piani
concreti ci sono, con già precisi riferimenti nelle deleghe dei nuovi
commissari europei che entreranno in funzione, Ci vuole però un salto decisivo
di leadership politica nelle capitali europee, in molte della quali prevale
oggi una condizione di fragilità sia economica che politica, che sostenga
quella che si può presumere sarà un tandem ai vertici europei molto forte e
molto sintonico, Von der Leyen e Costa, che tra
poche settimane dovrebbero essere nel piano dei loro rispettivi mandati.
La
sola speranza non è certo una strategia, ma oggi siamo chiamati ad evitare che
il mondo cada in uno scenario tipo anni ‘30 dello scorso secolo, quando gli USA
fecero una scelta isolazionista a seguito della crisi del ’29, e siamo
sfidati non solo a dare un buon futuro a noi europei ma anche a rappresentare
il volto di un altro Occidente nelle dinamiche delle relazioni internazionali.
Luca
Jahier è past president del Cese, l’organismo di rappresentanza della società
civile europea
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