-
di Giuseppe Savagnone*
L’attacco
israeliano agli italiani
L’attacco
durante il quale l’IDF (Israeli Defense Forces) ha sparato «ripetutamente» e
«deliberatamente» contro le basi dell’ONU nel sud del Libano, gestite dai
militari italiani, ha suscitato dure rimostranze da parte del nostro governo.
Per
la prima volta, dall’inizio della guerra di Gaza, ora estesasi al Libano, un
suo esponente, il ministro della Difesa Crosetto, ha accusato Israele di
«crimini di guerra» e di «gravissime violazioni alle norme del diritto
internazionale, non giustificate da alcuna ragione militare», precisando che
«non si è trattato di un errore né di un incidente».
Anche
il ministro degli Esteri Tajani ha dichiarato che «è stato violato il diritto
internazionale» e – in rapporto alle pressioni fatte ultimamente dall’IDF
perché il contingente italiano dell’UNIFIL spostasse le sue basi operative in
un’altra parte del territorio – all’ambasciatore israeliano Jonathan Peled,
convocato d’urgenza, ha detto: «Riferisca a Netanyahu che le Nazioni Unite e
l’Italia non possono prendere ordini dal governo israeliano».
Una
crisi diplomatica imprevista
Sono
toni mai usati finora da un membro del governo nei confronti di un paese, come
Israele, che fino ad oggi è sempre stato trattato come un alleato e un amico.
È
trascorso poco più di un mese dalla visita a Roma del presidente israeliano
Herzog, a cui Giorgia Meloni «ha ribadito la vicinanza del Governo italiano ad
Israele e la ferma condanna del terrorismo di Hamas», senza far cenno alle
gravissime violazioni dei diritti umani e delle leggi internazionali di cui,
secondo la stragrande maggioranza degli osservatori, si sta rendendo
responsabile l’esercito israeliano.
La
premier si è limitata ad esprimere al suo ospite una «forte preoccupazione per
la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza», un riferimento abbastanza
vago e in cui colpisce soprattutto l’evidente silenzio sul ruolo determinante
che ha in questa «situazione umanitaria» la politica dello Stato ebraico.
Di
fatto, il governo italiano ha sempre scrupolosamente evitato qualunque presa di
posizione contraria alla linea di Netanyahu, astenendosi sistematicamente
nell’Assemblea dell’ONU, su tutte le mozioni che chiedevano, insieme alla
liberazione degli ostaggi, una immediata cessazione della campagna militare che
sta devastando la Striscia di Gaza.
Solo
l’aggressione dell’IDF ai soldati italiani, poco più di un migliaio, che fanno
parte del contingente dell’UNIFIL poteva cambiare l’atteggiamento di un governo
che ha al primo punto del suo manifesto elettorale: «Politica estera incentrata
sulla tutela dell’interesse nazionale e la difesa della Patria».
Anche
se non sembra che da parte di Tel Aviv ci sia l’intenzione di fermarsi. È
significativo che, mentre Tajani ha esplicitamente dichiarato di attendersi
delle scuse, l’ambasciatore israeliano abbia giustificato l’accaduto dandone la
colpa all’UNIFIL: «Abbiamo raccomandato più volte ai militari italiani di
ritirare parte delle loro forze ma purtroppo la richiesta è stata respinta».
Il
7 ottobre e la “sindrome della Shoah”
In
attesa di vedere quali sviluppi avrà la situazione, non possiamo evitare
l’impressione che Israele, inebriato del suo strapotere tecnico-militare, abbia
perduto il senso dei limiti e si sia ormai messo in un atteggiamento di sfida
al mondo intero. Nella consapevolezza di un isolamento sempre più grande, da
parte dell’opinione pubblica mondiale, isolamento percepito come un’ingiustizia
inaccettabile non solo dallo Stato ebraico, ma dalle comunità ebraiche presenti
in altri Stati.
La
copertura ideologica di questa battaglia a tutto campo è – sulla base di un
tacito richiamo alla tragica memoria della Shoah – la denuncia
dell’antisemitismo sempre più dilagante nel mondo, che ispirerebbe le critiche
da più parti all’IDF. È di pochi giorni
fa l’accusa mossa da Netanyahu all’Assemblea dell’ONU di essere «una palude
antisemita»
Una
copertura, peraltro, avallata dai quasi tutti i governi occidentali e dalla
grande maggioranza dei nostri opinionisti, che da settimane indicano in questo
ritorno dell’antisemitismo il vero pericolo su cui polarizzare l’attenzione,
per non ricadere – come ha detto Netanyahu al Congresso degli Stati Uniti –
nella barbarie.
Il
resto – i 42.000 morti palestinesi, la devastazione di un territorio e delle
sue infrastrutture, la politica di sistematico annientamento delle fonti di vita
(alimentari, sanitarie, culturali, religiose) della popolazione di Gaza – passa, in questa logica, in seconda linea.
Anzi,
ogni riferimento ai costi umani della campagna che Israele sta conducendo viene
avvertito come un sostegno dato ad Hamas e una giustificazione del terrorismo.
Lo
stesso papa Francesco, che aveva, in un suo discorso, condannato la violenza
sia dell’una che dell’altra parte, ha avuto in risposta la dura nota in cui il
Consiglio dell’Assemblea dei Rabbini d’Italia gli rinfacciava di avere messo
sullo stesso piano, «in nome di una supposta imparzialità», «aggressore e
aggredito».
E
la presidente dell’Unione delle comunità ebraiche Italiane, Noemi Di Segni,
aveva anche lei protestato, in quella occasione, facendogli notare che
«l’equidistanza e l’equivicinanza non aiutano a cogliere il vero problema».
Ed
effettivamente il trauma subìto non solo da Israele, ma dagli ebrei di tutto il
mondo, col massacro del 7 ottobre, rende comprensibile questa “sindrome della
Shoah”.
Emblematico
il documento diffuso un mese dopo dalla stessa Di Segni: «Non abbiamo ancora
trovato un nome univoco per far comprendere l’orrore che si è abbattuto su
tutto il popolo ebraico», vi era scritto. «Il 7 mattina è cambiato il nostro
destino, è cambiato il mondo, e nulla può tornare come prima».
Questo
strazio già allora era accresciuto, secondo lei, «dal silenzio di chi dovrebbe
denunciare l’accaduto: «Silenzio dell’ONU per le sevizie contro bambini e
neonati, violenze e torture sulle donne, rapimento di civili e la lista è
lunga. Silenzio della Croce Rossa che non lamenta o non prova a visitare ed
accertare la situazione degli ostaggi. Silenzio di tutte le ONG di difesa
diritti umani per quanto avvenuto il 7 ottobre e per quanto sta accadendo in
questi giorni in molte nostre comunità in tutto il mondo. In parallelo al
silenzio assordante, ci sono gli slogan urlati da chi difende in modo
superficiale e demagogico il popolo palestinese e attacca gli interventi di
difesa dell’esercito israeliano».
Seguiva
l’invito a «far cessare gli appelli umanitari diretti unicamente verso Israele,
un paese che agisce secondo morale e non si è sottratto alle norme
internazionali». Dopo questa appassionata difesa di Israele, la denuncia:
«L’antisemitismo è tutto questo. Non è mai sopito e si è presentato in questi
trenta giorni con il volto del terrorismo radicale e l’abbraccio europeo
dell’ignoranza e l’ottusità dilagante».
Ma
se tutto è antisemitismo…
Su
questa linea, anche nel periodo successivo, fino ad oggi, ogni opinione, ogni
manifestazione, ogni presa di posizione in favore del popolo palestinese e
critica verso i metodi dell’esercito israeliano è immediatamente catalogata –
dal governo di Tel Aviv, dai rappresentanti ufficiali delle comunità ebraiche e
da gran parte dei governi e della stampa occidentali – come allarmante
espressione di un ritorno all’antisemitismo.
Col
risultato che, mentre non solo a Gaza, ma in Cisgiordania (dove non c’è Hamas,
ma i coloni ebrei vogliono prendersi le terre dei palestinesi e lo fanno con
aggressioni continue, protetti dall’esercito) e ora nel Libano, assistiamo a un
susseguirsi di inaudite violenze ai danni della popolazione civile, in nome del
“diritto di Israele di difendersi”, leggendo i nostri giornali si potrebbe
credere di vivere nella stagione di una «caccia
all’ebreo», che starebbe imperversando nelle nostre città e nelle nostre
università.
Salvo
a dover constatare, senza tema di smentite, che, mentre la “caccia al
palestinese” sta producendo decine di migliaia di vittime – nella maggioranza
donne e bambini – , quella “all’ebreo”, per fortuna, si risolve, nella peggiore
delle ipotesi, in azioni dimostrative,
odiose e riprovevoli, certamente, ma di gravità immensamente minore.
Grazie
a Dio ci sono molti ebrei che riconoscono questa situazione e la denunciano
coraggiosamente. In un articolo apparso su «Vita e Pensiero Plus» la storica
ebrea Anna Foa, il cui ultimo libro si intitola «Il suicidio di Israele» ed è
molto critico verso la politica del governo di Tel Aviv, faceva notare il
paradosso: «Ogni rifiuto della politica del governo viene bollato da Netanyahu
come antisemitismo. Ma se tutto è antisemitismo, dov’è l’antisemitismo?».
Il
segretario generale dell’ONU, Guterres – per aver fatto notare che la strage
del 7 ottobre (da lui decisamente condannata) non nasce al nulla, ma ha alle
spalle anni di politica antiaraba israeliana – , è stato fin dall’inizio catalogato come un amico del terrorismo e
ultimamente addirittura dichiarato «persona non grata», in Israele, col divieto
di metterci piede. Di papa Francesco e della pesante polemica nei suoi
confronti si è detto prima.
L’Assemblea
dell’ONU, ha detto Netanyahu, è una palude antisemita. Tutte le associazioni
umanitarie impegnate a fronteggiare la terribile situazione di civili di Gaza
sono antisemite. Anche Crosetto, ora che ha accusato l’IDF di aver commesso un
«crimine di guerra», è antisemita?
Ingolfato
in una guerra che inizialmente riguardava solo Gaza, ma che ora si dilata
sempre di più – alla ricerca disperata di quella «vittoria totale» di cui
Netanyahu parla spesso, e che appare lontana, malgrado i clamorosi successi
militari -, Israele sembra aver dimenticato quella solidarietà con il resto
dell’umanità che ha costituito la forza del popolo ebraico e gli ha consentito
di avere uno Stato su un territorio che da duemila anni non gli apparteneva.
Senza
l’ONU, senza l’appoggio morale di gran parte del mondo, questo Stato non
esisterebbe. Non sarebbe più saggio – da parte dei governanti di Tel Aviv e dei
rappresentanti del mondo ebraico -, invece di continuare a lanciare accuse,
fermarsi e interrogarsi su ciò che con tutte queste guerre vogliono ottenere?
Magari
smettendo, intanto, di trattare i civili come carne da macello. Per non
rischiare che la storia, che ha visto gli ebrei vittime di uno spaventoso
genocidio, li ricordi in futuro come gli autori di una strage che gli somiglia
molto.
*Scrittore
ed Editorialista. Pastorale della Cultura della Diocesi di Palermo.
www.tuttavia.eu
Nessun commento:
Posta un commento