Commento al Vangelo
di domenica
27 Ottobre 2024
Non dimentichiamo
mai che, in miniatura, il cammino della liturgia è simbolo della nostra vita.
Anche noi, con e come i discepoli, stiamo dietro a Gesù nel cammino verso
Gerusalemme. E strada facendo, cerchiamo di lasciarci educare dal Signore per
vivere fino in fondo la logica che lo porta a Gerusalemme, a “bere il calice”
(domenica scorsa), ossia a fare della vita un “dono fino alla fine”.
Vangelo:
Mc 10,46-52
-don
Andrea Vena -
Oggi
la sosta è a Gerico, ultima tappa prima di salire verso la meta. Sosta che
permette l’incontro con Bartimeo, simbolo dei tanti esclusi del tempo e nello
stesso momento occasione per dimostrare che in Gesù si realizza – come
profetizzato da Geremia nella I lettura – il coinvolgimento di tutti nella sua
sequela, nessuno escluso: “Cieco, zoppo, donna incinta, partoriente… Partiti
nel pianto, ritornano tra le consolazioni”. Esperienza che porta il popolo – e
oggi noi – a cantare con le parole del salmo: “Grandi cose ha fatto il Signore
per noi”.
vv.
46-48: «In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gerico
insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che
era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno,
cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”. Molti
lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di
Davide, abbi pietà di me!”».
Gerico
si trova 250 metri sotto il livello del mare, in un’oasi della valle del
Giordano, lungo la via che porta a Gerusalemme. È lungo questo tragitto che
l’evangelista Luca ambienterà l’episodio del buon samaritano (cfr Lc 10,25-37).
Un
cieco – avendo sentito parlare di Gesù – “al sentire che passava di lì”,
comincia a chiamarlo: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”. In contrasto
alla voce che si leva, troviamo voci che tentano di zittirlo. E la reazione
dell’uomo cieco è alzare ancora più forte il suo grido. A dimostrazione di
quanto sia convinto della sua supplica e del fatto che non teme di esporsi per
chiedere aiuto al Signore Gesù. È una costanza che lo premia.
vv.
49-52: «Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il
cieco, dicendogli: “Coraggio! Alzati, ti chiama!”. Egli, gettato via il suo
mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi
che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di
nuovo!”. Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito vide di
nuovo e lo seguiva lungo la strada».
Alla
chiamata di Gesù, la prima cosa che il cieco fa è quella di “gettare il
mantello”, che per un mendicante è strumento per raccogliere le offerte, ed è
l’unica garanzia per difendersi dal freddo, a tal punto che chiunque a sera è
tenuto a restituire al povero il suo mantello (cfr Dt 24,13). Balzato in piedi
Bartimeo va da Gesù che gli rivolge la stessa identica domanda fatta ai figli
di Zebedeo (l’episodio di domenica scorsa, Mc 10,36): “Che cosa vuoi che io
faccia per te?”. Il cieco risponde con l’espressione “Rabbunì”, che ritroviamo
solo un’altra volta sulle labbra di Maria di Magdala dopo la risurrezione:
«Gesù le disse: “Maria!”. Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì – che
significa Maestro”» (Gv 20,16).
La
fede
Gesù
non compie gesti particolari, ma riconosce che la fede ha già salvato
quest’uomo. Se ricordiamo, nel cap. 5,34 – episodio dell’emoroissa – ci fu
prima un “toccare il mantello” e quindi la formula “la tua fede ti ha salvata”.
Se poniamo questo brano accanto ai brani che abbiamo ascoltato nelle domeniche
precedenti, balza all’attenzione il fatto che il gruppo dei “Dodici”, pur
camminando dietro a Gesù, ancora non ha aderito totalmente al suo Maestro: la
tentazione della gloria (24^ domenica, Lungi da me Satana, tu non pensi secondo
Dio ma secondo gli uomini); la tentazione del potere (25^ domenica, Chi è il
più grande tra noi?); la tentazione dell’esclusività (26^ domenica, “Predica
amore, ma non è dei nostri”); la tentazione del legalismo, (27^ domenica “La
legge dice, In Principio Dio…); la tentazione del vano sapere (28^ domenica, il
giovane ricco); la tentazione dell’ambizione (29^ domenica, La pretesa dei
figli di Zebedeo di sedere alla destra e alla sinistra).
Insomma,
i Dodici, che si sentono parte di una privilegiata cerchia (cfr 26^ domenica),
in realtà sono ancora invischiati nella mentalità del mondo, e oggi si
ritrovano sorpassati da un uomo “scartato”: un mendicante che è allenato a
vivere dipendendo dalla carità degli altri (“Ai bambini appartiene il regno di
Dio”, Mc 10,14); un cieco, “scartato” perché improduttivo, che sa di non poter
ambire a nulla; un povero, che è capace però di abbandonare il mantello – ossia
la sua ricchezza – a differenza del giovane ricco. Ma la cosa più sorprendente
è il fatto che, mentre Giacomo e Giovanni non vengono esauditi perché il loro
desiderio è disordinato (cfr domenica scorsa), quello di Bartimeo viene subito
soddisfatto, in quanto lui si presenta come peccatore bisognoso di
misericordia. È esaudito per la sua fede. E subito egli si fa suo discepolo,
avendo capito forse più di tutti come si sta dietro a Gesù e come si vive qui
ed ora lo spirito di Gerusalemme.
Nella
scena odierna un uomo che non vede fisicamente, sa in realtà vedere molto di
più! Un “vedere” purificato, autentico. Domenica scorsa ci siamo soffermati
sull’importanza del “sapere”. Oggi siamo invitati a fare un ulteriore passo e
riflettere sull’importanza della vista, alla quale viene dato un posto
rilevante nel libro della Genesi. Il serpente promette che si “aprirebbero i
vostri occhi” (Gn 3,5); subito Eva vide che l’albero era buono… (Gn 3,6) ma
alla fine “si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi” (Gn
3,7). Svelato l’inganno! E lo sguardo diviene distorto. In Gesù, invece, lo
sguardo viene purificato: “Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”,
(Emmaus, 24,31). Il centurione, “vedendo Gesù morire il quel modo” (Mc 15,38),
lo riconosce Figlio di Dio.
Ascolta,
Israele
In
questo cieco che da mendicante diventa discepolo, mi vedo io e ci vediamo un
po’ tutti noi. In lui possiamo imparare il cammino di guarigione, di
conversione. Un cammino che ha inizio con un ascoltare (il cieco… Sentendo che
era Gesù…), primo atteggiamento del credente: “Ascolta, Israele” (Dt 6,3).
Dall’ascolto nasce la preghiera, che è sempre una risposta alla Parola udita.
Una preghiera che custodisce e svela la fede nel Signore – Figlio di Davide,
Gesù! -, e la nostra identità – Gesù, abbi pietà di me peccatore. È la
preghiera più vera in quanto Gesù non è venuto per i sani ma per i peccatori
(cfr Lc 10,27-32). Il cieco la fa senza pretese, a differenza di Giacomo e
Giovanni “Vogliamo che tu faccia…” (domenica scorsa). E Bartimeo vede ciò che
desidera di più vedere, ossia il Volto di chi ha invocato, di chi lo ha
guarito.
Ma
l’esperienza di Bartimeo suggerisce e illumina anche la nostra vita interiore.
In fondo quel cieco seduto lungo la strada a mendicare è riflesso di tutte le
esperienze di “cecità” della vita, di quelle situazioni di oscurità, di
disorientamento, di smarrimento. Quante volte le viviamo! Magari per paura, ci
sediamo “lungo la strada”, ci chiudiamo, non affrontiamo le difficoltà. E
allora ci fermiamo, perché non vediamo più la strada che stiamo percorrendo,
non vediamo il senso di quello che stiamo facendo, e forse non ci interessa
nemmeno cercarlo, non vogliamo affrontare tutto questo.
Cercoiltuovolto
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