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venerdì 25 ottobre 2024

SI APRIRONO GLI OCCHI


 Commento al Vangelo
 di domenica 
27 Ottobre 2024


 Non dimentichiamo mai che, in miniatura, il cammino della liturgia è simbolo della nostra vita. Anche noi, con e come i discepoli, stiamo dietro a Gesù nel cammino verso Gerusalemme. E strada facendo, cerchiamo di lasciarci educare dal Signore per vivere fino in fondo la logica che lo porta a Gerusalemme, a “bere il calice” (domenica scorsa), ossia a fare della vita un “dono fino alla fine”.

 Vangelo:  Mc 10,46-52

 -don Andrea Vena -

 Oggi la sosta è a Gerico, ultima tappa prima di salire verso la meta. Sosta che permette l’incontro con Bartimeo, simbolo dei tanti esclusi del tempo e nello stesso momento occasione per dimostrare che in Gesù si realizza – come profetizzato da Geremia nella I lettura – il coinvolgimento di tutti nella sua sequela, nessuno escluso: “Cieco, zoppo, donna incinta, partoriente… Partiti nel pianto, ritornano tra le consolazioni”. Esperienza che porta il popolo – e oggi noi – a cantare con le parole del salmo: “Grandi cose ha fatto il Signore per noi”.

 vv. 46-48: «In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”. Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”».

Gerico si trova 250 metri sotto il livello del mare, in un’oasi della valle del Giordano, lungo la via che porta a Gerusalemme. È lungo questo tragitto che l’evangelista Luca ambienterà l’episodio del buon samaritano (cfr Lc 10,25-37).

 Un cieco – avendo sentito parlare di Gesù – “al sentire che passava di lì”, comincia a chiamarlo: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”. In contrasto alla voce che si leva, troviamo voci che tentano di zittirlo. E la reazione dell’uomo cieco è alzare ancora più forte il suo grido. A dimostrazione di quanto sia convinto della sua supplica e del fatto che non teme di esporsi per chiedere aiuto al Signore Gesù. È una costanza che lo premia.

 vv. 49-52: «Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Alzati, ti chiama!”. Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada».

 Alla chiamata di Gesù, la prima cosa che il cieco fa è quella di “gettare il mantello”, che per un mendicante è strumento per raccogliere le offerte, ed è l’unica garanzia per difendersi dal freddo, a tal punto che chiunque a sera è tenuto a restituire al povero il suo mantello (cfr Dt 24,13). Balzato in piedi Bartimeo va da Gesù che gli rivolge la stessa identica domanda fatta ai figli di Zebedeo (l’episodio di domenica scorsa, Mc 10,36): “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. Il cieco risponde con l’espressione “Rabbunì”, che ritroviamo solo un’altra volta sulle labbra di Maria di Magdala dopo la risurrezione: «Gesù le disse: “Maria!”. Ella si voltò e gli disse in ebraico: “Rabbunì – che significa Maestro”» (Gv 20,16).

La fede

Gesù non compie gesti particolari, ma riconosce che la fede ha già salvato quest’uomo. Se ricordiamo, nel cap. 5,34 – episodio dell’emoroissa – ci fu prima un “toccare il mantello” e quindi la formula “la tua fede ti ha salvata”. Se poniamo questo brano accanto ai brani che abbiamo ascoltato nelle domeniche precedenti, balza all’attenzione il fatto che il gruppo dei “Dodici”, pur camminando dietro a Gesù, ancora non ha aderito totalmente al suo Maestro: la tentazione della gloria (24^ domenica, Lungi da me Satana, tu non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini); la tentazione del potere (25^ domenica, Chi è il più grande tra noi?); la tentazione dell’esclusività (26^ domenica, “Predica amore, ma non è dei nostri”); la tentazione del legalismo, (27^ domenica “La legge dice, In Principio Dio…); la tentazione del vano sapere (28^ domenica, il giovane ricco); la tentazione dell’ambizione (29^ domenica, La pretesa dei figli di Zebedeo di sedere alla destra e alla sinistra).

 Insomma, i Dodici, che si sentono parte di una privilegiata cerchia (cfr 26^ domenica), in realtà sono ancora invischiati nella mentalità del mondo, e oggi si ritrovano sorpassati da un uomo “scartato”: un mendicante che è allenato a vivere dipendendo dalla carità degli altri (“Ai bambini appartiene il regno di Dio”, Mc 10,14); un cieco, “scartato” perché improduttivo, che sa di non poter ambire a nulla; un povero, che è capace però di abbandonare il mantello – ossia la sua ricchezza – a differenza del giovane ricco. Ma la cosa più sorprendente è il fatto che, mentre Giacomo e Giovanni non vengono esauditi perché il loro desiderio è disordinato (cfr domenica scorsa), quello di Bartimeo viene subito soddisfatto, in quanto lui si presenta come peccatore bisognoso di misericordia. È esaudito per la sua fede. E subito egli si fa suo discepolo, avendo capito forse più di tutti come si sta dietro a Gesù e come si vive qui ed ora lo spirito di Gerusalemme.

 Nella scena odierna un uomo che non vede fisicamente, sa in realtà vedere molto di più! Un “vedere” purificato, autentico. Domenica scorsa ci siamo soffermati sull’importanza del “sapere”. Oggi siamo invitati a fare un ulteriore passo e riflettere sull’importanza della vista, alla quale viene dato un posto rilevante nel libro della Genesi. Il serpente promette che si “aprirebbero i vostri occhi” (Gn 3,5); subito Eva vide che l’albero era buono… (Gn 3,6) ma alla fine “si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi” (Gn 3,7). Svelato l’inganno! E lo sguardo diviene distorto. In Gesù, invece, lo sguardo viene purificato: “Si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”, (Emmaus, 24,31). Il centurione, “vedendo Gesù morire il quel modo” (Mc 15,38), lo riconosce Figlio di Dio.

Ascolta, Israele

In questo cieco che da mendicante diventa discepolo, mi vedo io e ci vediamo un po’ tutti noi. In lui possiamo imparare il cammino di guarigione, di conversione. Un cammino che ha inizio con un ascoltare (il cieco… Sentendo che era Gesù…), primo atteggiamento del credente: “Ascolta, Israele” (Dt 6,3). Dall’ascolto nasce la preghiera, che è sempre una risposta alla Parola udita. Una preghiera che custodisce e svela la fede nel Signore – Figlio di Davide, Gesù! -, e la nostra identità – Gesù, abbi pietà di me peccatore. È la preghiera più vera in quanto Gesù non è venuto per i sani ma per i peccatori (cfr Lc 10,27-32). Il cieco la fa senza pretese, a differenza di Giacomo e Giovanni “Vogliamo che tu faccia…” (domenica scorsa). E Bartimeo vede ciò che desidera di più vedere, ossia il Volto di chi ha invocato, di chi lo ha guarito.

 Ma l’esperienza di Bartimeo suggerisce e illumina anche la nostra vita interiore. In fondo quel cieco seduto lungo la strada a mendicare è riflesso di tutte le esperienze di “cecità” della vita, di quelle situazioni di oscurità, di disorientamento, di smarrimento. Quante volte le viviamo! Magari per paura, ci sediamo “lungo la strada”, ci chiudiamo, non affrontiamo le difficoltà. E allora ci fermiamo, perché non vediamo più la strada che stiamo percorrendo, non vediamo il senso di quello che stiamo facendo, e forse non ci interessa nemmeno cercarlo, non vogliamo affrontare tutto questo.

 Cercoiltuovolto

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