La risposta mi ha spiazzato. Io avrei detto i Greci proprio per tutto quello che hanno scoperto e ci hanno lasciato, e che continua a stupirci. Per una bambina di 7 anni invece è più attraente ciò che spinge alla scoperta, ciò che fa venire al mondo.
Non è forse questo «educare»?
-
-di Alessandro D’Avenia
-
Non
ho mai voluto ridurre il verbo «educare» all'interpretazione dell'etimologia
latina e-ducere (trarre fuori) come un mero processo di estrazione, come un
filone aureo da una miniera, operazione che implica non solo una certa
passività e violenza, ma anche l'idea che il contesto in cui quel filone si
trova sia soltanto un contenitore che ostacola. In realtà il verbo significava
«portar fuori», «far uscire» nel senso di lasciare un luogo, e quindi
metaforicamente «allevare»: «far venire al mondo», «far crescere». Infatti, il
contrario di educare (educere) è sedurre (seducere), che significa mettere in
disparte, separare: l'educatore porta al mondo e a se stessi, il seduttore
separa dal mondo e da se stessi. Educare non è «estrarre» né «sedurre» ma
«aiutare a venire al mondo», «in-coraggiare (svegliare il coraggio) a
crescere». Ma che cosa significa tutto questo oggi e quando/dove accade o
meno?
Radical
ambientato nel 2011 nella scuola ghetto di un quartiere disperato della
cittadina di Matamoros in Messico, dove il professor Sergio Juarez Correa
compie un miracolo giunto alle cronache globali grazie all'articolo «A Radical
Way of Unleashing a Generation of Geniuses» («Un modo radicale di liberare una
generazione di geni»), apparso su Wired nel 2013.
E
infine Maria Montessori: la nouvelle femme, film biografico sulla dottoressa e
pedagogista che ai primi del '900, a Roma, inaugura un metodo rivoluzionario
partendo dai bambini fragili.
Il
maestro spagnolo promette di portare al mare bambini che non lo hanno mai
visto, culmine didattico di un crescendo esplorativo; il professore messicano
porta i suoi studenti delle medie a scoprire le leggi della fisica proprio dove
vivono, a partire dalle loro inclinazioni o storture; la dottoressa Montessori
salva bambini che allora venivano richiusi in strutture per malati mentali,
portandoli al mondo attraverso il gioco, il tatto, la musica... e grazie ai
loro sorprendenti risultati mette a punto un metodo educativo universale,
ostacolato allora (Montessori dovette andar via dall'Italia) dal fascismo che
voleva il controllo dell'educazione (uniforme e uniformità contro libertà e
scoperta) e ancora oggi guardato con sospetto in Italia (ci sono più scuole
montessoriane in Giappone che da noi), forse perché continuiamo a volere, in
modi diversi, una scuola controllata e uniformante. Nei tre film c'è
«educazione»: portare «fuori» i ragazzi, metterli di fronte alle cose, spirito
e corpo, il resto lo fanno loro stessi, perché scoprire il mondo è un gioco
entusiasmante per chi viene messo in gioco. Tre maestri che, pagando in prima
persona le loro rivoluzioni, incidono sulla grande storia a partire da una
stalla trasformata in aula, da una scuola senza computer, da un centro per
bambini con disabilità. Tre che non «seducono» (separano) ma «educano» (portano
fuori), non «in-trattengono» (chiudono dentro) ma «in-augurano» (ampliano
dentro), perché hanno fiducia nei ragazzi e nel mondo, il combinato contrario a
ciò che rende ansiosa una generazione (paura del mondo e sottomissione dei
corpi al digitale). L'esito è infatti opposto all'ansia: il coraggio. Bambini e
ragazzi si tirano fuori dall'angolo: fuori-escono e fioriscono. Il problema non
è quindi il digitale in sé ma il digitale che in-trattiene e se-duce: riduce il
mondo a schermo e mette i corpi all'angolo. Rimango dalla parte dei Greci, ma
ha ragione mia nipote: si cresce dove c'è più mondo da esplorare. Non siamo
fatti per essere messi all'angolo ma al mondo, non siamo chiamati a una vita
«angusta», ristretta e ansiosa, ma «augusta», ampia e coraggiosa.
Nessun commento:
Posta un commento