La “vita associativa” delle aggregazioni ecclesiali nel prisma dell’Evangelii gaudium
Le associazioni sono una preziosa risorsa, per la persona e la società.
perciò bisogna prendersene cura, con amore, competenza e costanza.
Il
tempo complesso che sta attraversando l’associazionismo cattolico, anche
confermato da numerosi studi di Sociologia della Religione (come quelli di
Roberto Cipriani e Franco Garelli), non deve indurre alla lamentela, al
pessimismo o allo scoraggiamento. Tuttavia, esso non deve essere sottovalutato
e richiede di essere, ancora una volta, analizzato. Non è certo questa la sede
per farlo. Con queste poche pagine, invece, si intende cogliere, dalla sempre
attuale Evangelii gaudium di papa Francesco (da ora, EG), talune preziose
indicazioni che sembrano segnare una cornice entro la quale può essere oggi
sperimentata l’ordinarietà della “vita associativa”, spesso faticosa e irta di
ostacoli, delle aggregazioni ecclesiali.
Nel
“cambiamento d’epoca” (come lo ha definito il Pontefice) al quale stiamo
assistendo, si è dell’idea che il laicato associato e la Chiesa intera siano
chiamati a compiere importanti scelte. Queste ultime non possono che muovere da
un attento discernimento su ciò che è essenziale, al fine di concentrarsi su
quest’ultimo e tralasciare il superfluo. Non è, infatti, il momento di
“imbarcarsi” in numerose iniziative pastorali che, seppur lodevoli, non sempre
hanno successo a causa della complessità della vita di chi dovrebbe
organizzarle e di chi dovrebbe esserne il destinatario.
L’Esortazione
apostolica ora richiamata, pertanto, può indicare una strada da percorrere,
offrendo spunti preziosi che qui si vogliono condividere.
Suggerimenti
pratici di Evangelii gaudium
Occorre
partire dal presupposto che professare la fede in modo associato rimane una
preziosa via di evangelizzazione e di partecipazione responsabile – in forma
solidale – “alla vita e alla missione della Chiesa” (Christifideles laici 29,
ma v. anche EG 29) per la salvezza propria e per quella altrui, costituendo al
tempo stesso un mezzo di contrasto all’individualismo (cfr. EG 67) e al
clericalismo (cfr. EG 102), purché non divenga occasione di mondanità
spirituale da parte dei singoli (EG 93 ss.). Peraltro, come si sa, “nessuno si
salva da solo” (EG 113). A ciò si aggiunga che “è nella comunione, anche se
costa fatica, che un carisma si rivela autenticamente e misteriosamente
fecondo” (EG 130).
A
quest’ultimo proposito e in via preliminare, è possibile precisare che la prima
azione concreta che le singole realtà sono chiamate a porre in essere è proprio
quella di riscoperta del carisma che sta alla base dell’identità associativa. A
quest’ultima, infatti, occorre rimanere fedeli pur con gli opportuni
adattamenti e aggiustamenti che impone l’epoca in cui si opera. Ciò non
significa certamente, come si dirà a breve, chiudersi in se stessi, ma mettere
a disposizione di tutti, per l’“utilità comune” (1Cor 12, 4-11), quel carisma.
Essere
audaci e creativi
Ecco
perché uno degli impegni imprescindibili che associazioni e movimenti devono
provare a mettere in campo non può che essere volto a contrastare la “logica
del si è fatto sempre così”, della quale discorre l’Esortazione apostolica in
parola (al n. 33); ciò, però, comporta la capacità di “essere audaci e creativi
in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi
di evangelizzazione delle proprie comunità” (ancora, EG 33; cfr. anche EG 129).
Appare infatti necessario e urgente aprirsi alla novità (ed anche a chi di tale
novità è portatore), non certo per rinnegare quanto è stato fatto in passato,
ma per aggiornare le dinamiche associative ai tempi che si vivono. D’altra
parte, “ogni autentica azione evangelizzatrice è sempre ‘nuova’” (EG 11).
Quanto detto, però, non deve consentire che l’aspetto meramente
“amministrativo” venga prima di quello pastorale (cfr. EG 63).
Leggere
i segni dei tempi
Urge,
quindi, un’attenta lettura dei “segni dei tempi” (cfr. EG 51), che favorisca un
proficuo discernimento, una verifica dello stile associativo, una sorta di
“esame di coscienza” dal quale nessuno può tirarsi indietro. Ciò appare
prezioso per sapere cogliere la realtà e misurare l’attività che si svolge con
i bisogni, ma anche con i limiti e le opportunità di questo tempo. D’altra
parte, i cristiani sono chiamati a vivere una fede “incarnata”, che non può
essere “intimista” (cfr. EG 233, 262) ma che deve essere pienamente immersa
nella complessità della “ferialità”, proprio perché i cristiani, pur non
essendo del mondo, sono nel mondo (cfr.
Lettera a Diogneto).
Occorre,
infatti, ricordarsi che “la realtà è superiore all’idea” (EG 231). Questa
consapevolezza, a volte un po’ amara, deve spronare i laici associati ad
abbandonare certe idee, a prima vista interessanti e considerate “vincenti”,
per fare i conti con il contesto “spaziale” e “temporale” in cui operano. Molte
volte, infatti, con “maturità laicale”, è opportuno non ostinarsi a voler
perseguire a tutti i costi taluni progetti per il perseguimento dei quali non
si hanno le forze necessarie. Non deve apparire una sconfitta la scelta
(spesso, obbligata) di dover fare un’attenta cernita delle iniziative da
proporre. D’altra parte, prima di costruire una torre non si deve forse
calcolare se si hanno i “mezzi per portarla a termine”? (cfr. Lc 14, 28-33).
Intercettare
le reali domande
La
capacità di lettura della realtà diventa infatti preziosa al fine di non dare
risposte “a domande che nessuno si pone” (EG 155). Purtroppo, invece, a volte,
l’impressione che si ha è che si giri “a vuoto”, si lavori tanto ma siano
scarsi i risultati e sia venuto meno l’appeal verso
l’associazionismo (sul punto, si tornerà). Probabilmente, però, il problema è a
monte, in quanto non si ha la capacità di intercettare le reali domande
dell’uomo e della donna di oggi ed invece è necessario farlo, perché solo così
è possibile provare a fornire le risposte che davvero interessano, andando
incontro a quella esistenziale ricerca di Dio che – anche inconsapevolmente –
accomuna gli esseri umani (o la maggior parte di essi).
Il
pericolo dell’autoreferenzialità e della sclerotizzazione
Non
c’è dubbio, poi, che la “vita associativa” debba rifuggire
l’autoreferenzialità e la sclerotizzazione. Aprirsi agli altri (cfr. EG 91 s.), in spirito di
comunione, con buona capacità di ascolto e con la voglia di collaborare
fraternamente, con lo spirito di rinnovamento e di lungimiranza, appare fondamentale. Essere Chiesa “in uscita” (EG 20 ss.),
infatti, implica anche la disponibilità ad abbandonare, quando occorre, le
personali originarie determinazioni, lasciandosi interpellare dai punti di
vista altrui, spesso diversi dal proprio.
Quanto
ora detto richiede al laicato di raffinarsi nell’arte del dialogo (cfr. EG 74,
ma anche 238 ss.), sia al proprio interno sia con coloro che professano
un’altra fede (EG 250 ss.), con gli atei e gli agnostici e, in generale, con
associazioni non ecclesiali (cfr. EG 257). Ciò richiede, necessariamente, la
buona volontà di abbandonare forme di rigidità, assumendo una capacità di
mediazione, non scevra dalla parresìa.
È
necessario, pertanto, sperimentare l’arte dell’inclusività e dell’accoglienza,
nella consapevolezza che “la gioia del Vangelo è per tutto il popolo, non può
escludere nessuno” (EG 23). Occorre, infatti, non cadere nella tentazione dei
gruppi “chiusi” (come tali, respingenti), ai quali è difficile accedere.
La
cura, la prossimità, la costanza
La
“vita associativa”, infatti, deve essere scandita dal “ritmo salutare della
prossimità” (EG 169), affinché gli aderenti siano veri “compagni di strada” di
chi incontrano sul proprio cammino (cfr. EG 171 ss.).
Peraltro,
a fronte della intrinseca “dimensione sociale dell’evangelizzazione” (EG 176
ss.), è opportuno prendere in considerazione l’impegno socio-politico (v.,
spec., EG 205), quale modalità operativa al servizio degli altri e, quindi, del
bene comune. La “preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale” (EG
201) non può che accomunare tutti i fedeli laici, sia a livello individuale che
collettivo (e, quindi, anche, associato). Per Francesco, è infatti “importante
che le aggregazioni ecclesiali partecipino al dibattito pubblico ossia si
“inseriscano] a fondo nella società” (EG 269).
Una
creatività missionaria
Per
realizzare quanto si sta dicendo, occorre però una “creatività missionaria” (EG
28), che è una particolare modalità di esercizio della carità, unitamente ad
una vitale voglia di lasciare qualcosa di buono dopo il proprio passaggio sulla
terra (EG 183).
La
missionarietà, nei modi adeguati al tempo, rimane l’urgenza delle aggregazioni
ecclesiali e della Chiesa intera (e quindi anche delle parrocchie) (cfr. EG
15). Essa costituisce quell’essenziale, al quale si accennava poco sopra e a
cui si deve tendere (cfr. EG 35).
Al
tempo stesso, però, non si può fare a meno di rilevare come sia necessario
recuperare il primato dell’aspetto prettamente spirituale, da curare
attentamente (cfr. EG 262) anche praticando la missionarietà (cfr. EG 272); in
molti casi, infatti, come osserva Francesco, le attività (poche o tante che
siano) vengono “vissute male” proprio per carenza di quella spiritualità che
deve starne alla base (cfr. EG 82).
La
formazione continua
Infine,
non si può trascurare l’importanza della formazione, che deve costituire
specifico ambito di impegno per le aggregazioni ed esigenza alla quale la
gerarchia ecclesiastica dovrebbe tenere in modo particolare, sostenendo quelle
esperienze associative che già si spendono in tal senso (senza, chiaramente,
disinteressarsi delle altre). Infatti, “la formazione dei laici e
l’evangelizzazione delle categorie professionali e intellettuali rappresentano
un’importante sfida pastorale” (EG 102, ma cfr. anche 121, 160).
In
conclusione
Con
molta probabilità, l’associazionismo cattolico è in crisi (o, comunque, è in
difficoltà) perché non è più “contagioso”; eppure, la Chiesa cresce (o dovrebbe
crescere) “per attrazione” (EG 14). A questo proposito, dovremmo chiederci se
siamo (e siamo stati) in grado di coinvolgere chi ci osserva da “fuori”. Come
si sa, “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri,
[…] o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”, come disse
profeticamente Paolo VI (Evangelii nuntiandi, 41). La buona testimonianza,
peraltro, è la migliore modalità di promozione associativa.
La comunità e la
comunione nelle differenze
Non
si può sottovalutare la triste conflittualità (anche) interna che a volte si
scorge nelle aggregazioni e che si traduce in una “contro-testimonianza”.
Sebbene, come rileva il Santo Padre, il conflitto sia da accogliere e da
accettare (in quanto tipico di ogni realtà umana), al tempo stesso, esso non
può intrappolare (cfr. EG 226), ma deve divenire un “anello di collegamento di
un nuovo processo” (EG 227) attraverso una “comunione nelle differenze” (EG
228). Viene alla mente la “convivialità delle differenze” della quale parlava
don Tonino Bello nonché la celebre frase che Giovanni XXIII pronunciò la sera
prima dell’apertura del Concilio, quando esortò a considerare ciò che avrebbe
unito anziché quanto avrebbe diviso (disse: “cogliere quello che ci unisce,
lasciar da parte, se c’è, qualche cosa che ci può tenere un po’ in
difficoltà”).
Come
disse R.A. Livatino, alla fine della nostra vita “nessuno ci verrà a chiedere
quanto siamo stati credenti, ma credibili”; noi lo siamo? La nostra
credibilità, in estrema sintesi, si fonda sull’Amore che saremo riusciti a
donare e a donarci reciprocamente (il richiamo, com’è ovvio, è a s. Giovanni
della Croce).
La
pazienza del seminatore
Inoltre,
in un’epoca nella quale siamo abituati ad avere tutto e subito, è necessario
coltivare la pazienza del seminatore che sa che i frutti del lavoro svolto, con
molta probabilità, saranno raccolti a distanza di tempo o da altri (cfr. EG 82
e 223). Infatti, anche tra tante difficoltà, occorre nutrire la certezza che
“nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo, che
presto o tardi produce un frutto” (EG 276).
In
adempimento alla vocazione laicale (cfr. EG 85), alla paura della sconfitta –
che è spesso presente ed immobilizza – occorre rispondere con l’impegno, ossia
con una “dedizione creativa e generosa” (EG 279) che sia volta ad “iniziare
processi” e non a “possedere spazi” (EG 223) per ricoprire ruoli.
La
sinodalità
Prima
di concludere, sia consentita una notazione: qualcuno avrà notato che non è
stato mai usato il termine “sinodalità”, non solo perché in Evangelii gaudium
ad esso non si dà particolare risalto, ma anche perché tale parola è fin troppo
declamata e non altrettanto praticata. Fermo restando che la Chiesa o è
sinodale oppure manca di un suo elemento costitutivo, sembra in questa sede
preferibile parlare di “comunione” (cfr. EG 23, 28, 31, ma passim);
quest’ultima, fondata sulla corresponsabilità di laici, pastori e religiosi,
deve connotare il modo di essere e di operare della Chiesa. Solo così è
possibile, davvero, “camminare insieme”; anche al riguardo, però, pare che la
strada da percorrere sia ancora tanta.
In
definitiva, nella “vita associativa” di oggi non mancano le difficoltà e le
sfide che occorre fronteggiare (cfr. EG 75), ma papa Francesco ci invita a non
darci “per vinti” (EG 3) e ci ricorda che “le sfide esistono per essere
superate” (EG 109).
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