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giovedì 16 maggio 2024

IL BISTURI E L'ACCETTA

 Premierato, sovranità e consenso

 

-di AGOSTINO GIOVAGNOLI

 

È sempre più diffuso l’equivoco secondo cui sovranità popolare (il popolo come fonte di ogni potere) coincide con consenso elettorale (che misura la forza dei partiti). Ma non è così: se la prima è il fondamento della democrazia, il secondo è compatibile anche con regimi non democratici.

 Sovranità popolare vuol dire potere di tutti e per questo la sua espressione fondamentale è il Parlamento che rappresenta non la voce del popolo – che non ha mai una voce sola! – ma le tante voci diverse di tutti i cittadini. Non solo quelle di chi ha più voti alle elezioni. Il governo, invece, esprime la volontà di una parte: quella che, di volta in volta, ha la maggioranza. Per formare il governo, dunque, è giusto tener conto dei consensi raccolti. Ricordando però che l’esecutivo non esprime la sovranità popolare, come invece finiscono per affermare, più o meno esplicitamente, molti sostenitori del premierato. Oggi il Parlamento non gode di buona fama, ma domani potremmo scoprire che, screditandolo e maltrattandolo, abbiamo preparato la strada al downgrading, il declassamento dell’Italia da democrazia a simil-democrazia.

 La confusione tra sovranità popolare e consenso emerge ad esempio quando si discute dell’aspetto più controverso della proposta di premierato: l’elezione diretta del presidente del Consiglio. Come si è detto, in democrazia è regola ferrea che qualsiasi governo sia subordinato al Parlamento. Persino se il suo capo è eletto dal popolo. Tale elezione, infatti, mostra che ha più consensi di altri, ma ciò non lo rende espressione della sovranità popolare. Non a caso, anche in repubbliche presidenziali come gli Stati Uniti, Congresso e Senato hanno poteri fortissimi che controbilanciano quelli del Presidente, come è particolarmente evidente oggi. Invece, la riforma del premierato – così come è attualmente formulata – mette in discussione la subordinazione del governo al Parlamento. Eletto dal popolo, il presidente del Consiglio acquisterà sul Parlamento potere di vita e di morte, mentre la fiducia parlamentare al suo governo diventerà una formalità. In questo modo il consenso (raccolto da una parte) prevarrà sulla sovranità (che appartiene a tutti). Il problema non sarà risolto neanche dall’eventuale introduzione di una legge elettorale a doppio turno, che avrà il vantaggio di rendere necessario un consenso più ampio per chi guiderà il governo ma non ne farà un rappresentante del popolo.

Un parlamento da avvilire 

Il modo in cui si sta procedendo la discussione sul premierato evidenzia già questa tendenza ad avvilire il Parlamento (oltre a svuotare il ruolo del Presidente della Repubblica, anch’egli espressione della sovranità popolare, attraverso la sua elezione parlamentare). Maggioranza e opposizione puntano fin da ora sul referendum (la prima ha già arruolato attori e cantanti per la campagna referendaria). Il messaggio è chiaro: la discussione in Parlamento non ha importanza, la maggioranza approverà e l’opposizione boccerà, poi il popolo sarà convocato per un grande scontro frontale. Che, da solo, non garantisce la democrazia. Usato per bypassare il Parlamento, infatti, il referendum diventa uno strumento per delegittimarlo. La discussione sul premierato parte male anche perché a presentarla è il governo in carica. Non è bene, infatti, che chi ha in mano il potere esecutivo proponga o addirittura imponga una riforma costituzionale così importante. De Gasperi non è mai intervenuto nei lavori dell’Assemblea costituente – tranne che sull’articolo 7 – e Matteo Renzi è stato giustamente criticato per aver fatto approvare, da presidente del Consiglio, una riforma costituzionale (poi bocciata dal referendum). Svilisce il Parlamento, inoltre, che una riforma così importante sia decisa da uno scontro pugilistico tra maggioranza e opposizione.

 La sovranità popolare violata

Chi ha il potere di imporre una riforma così importante ha il dovere non solo di ascoltare le critiche, ma anche di accoglierne le più importanti e non mancano oggi le voci sagge e competenti – anche all’interno della maggioranza – che ne evidenziano gli aspetti problematici. Quando si arriverà al referendum non sarà più possibile correggere errori o contraddizioni: si dovrà scegliere tra il Sì o il No, tagliando con l’accetta una materia che invece richiede il bisturi. Viola la sovranità popolare, infine, che discutendo di questa riforma non si faccia anzitutto riferimento alla Costituzione: massima espressione di tale sovranità è infatti il potere costituente, che entra in campo quando si devono gettare le fondamenta della vita comune (e non è questo il momento). Si argomenta che la Costituzione è stata frutto di un compromesso, che non ha un’impostazione unitaria, che tanti la interpretano in modi diversi... Insomma, poco più che buoni principi espressi in forma generica. Non è così, come ha ricordato il Presidente Mattarella pochi giorni fa. Il nucleo del compromesso costituzionale fu l’intesa raggiunta, tra tutte le più importanti forze politiche, sul primato della democrazia rispetto alle loro diverse ideologie: è questa la sostanza dell’antifascismo della Carta. Per la Costituzione la sovranità popolare non è solo un punto di partenza, ma anche un obiettivo da raggiungere, la democrazia non è solo un insieme di istituzioni, norme e procedure, ma anche un processo per affermare l’uguaglianza non solo formale ma anche sostanziale di tutti i cittadini, rimuovendo gli ostacoli che impediscono l’inclusione di chi è più emarginato, svantaggiato, in difficoltà. Una spinta che ha fatto crescere enormemente la società italiana ma che oggi sembra affievolirsi sempre di più.

 

www.avvenire.it


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