Al
messaggio diffuso nella “Generazione Z” sulla presunta innocuità della cannabis
si oppongono i dati delle ricerche su disturbi ed effetti anche gravi.
- -di VIVIANA DALOISO
Non basta. Perché, se è vero che il 28% degli adolescenti in età scolare fa uso di stupefacenti (che per 600mila di loro è la cannabis), l’11% di psicofarmaci e addirittura il 50% di alcol, mescolandolo alle sostanze e alle pasticche, al computo delle cause di tanto disagio bisognerebbe trovare il coraggio di aggiungere una volta per tutte il capitolo dipendenze. L’argomento, invece, risulta per lo più dimenticato. Sul piano politico il dibattito resta viziato da strumentalizzazioni e slogan sempre uguali a sé stessi: l’ultima trovata è quella di una proposta di legge di iniziativa popolare per la coltivazione domestica di cannabis, promossa dalle associazioni radicali. Già trentamila le firme, raccolte con i soliti slogan: che non fa male (anzi, che farebbe persino bene), che l’uso personale deve essere consentito, che in altri Paesi si può acquistare e consumare nei “club” mentre da noi («proibizionisti») no.
Argomenti persuasivi sul fronte di
un’opinione pubblica ormai anestetizzata agli allarmi sulle cosiddette “droghe
leggere”, che leggere non sono, senza che ai più giovani venga spiegato il
perché. Esagerazioni? Tutt’altro: i dati appena diffusi dal Ministero della
Salute sulla presa in carico di chi fa uso di sostanze nel nostro Paese (quasi
130mila persone nel 2022) evidenziano come oltre il 70% dei giovanissimi siano
assistiti nei Serd proprio per dipendenza da cannabis. Due su tre. Depressione
e psicosi legate al suo consumo i primi scogli da affrontare, proprio come
avviene negli ospedali e nei Pronto soccorso, dove oltre la metà degli accessi
per abuso di sostanze finisce con una diagnosi psichiatrica. «Niente che stupisca
– spiega Antonio Bolognese, professore onorario di Chirurgia generale del
dipartimento Pietro Valdoni del Policlinico Umberto I e responsabile
scientifico della Commissione istituita dall’Ordine dei medici di Roma e
Provincia per la valutazione e la prevenzione dei danni delle cannabis sui
ragazzi –. La verità è che la scienza di questi danni parla ormai da anni, per
lo più inascoltata».
Sono le stesse conclusioni a cui è giunto lo scorso settembre lo studio pubblicato sul British medical journal, che per la prima volta ha messo a confronto oltre un centinaio di ricerche e pubblicazioni con l’obiettivo di misurare il rapporto tra rischi e benefici della cannabis. Dimostrando che «i primi superano di gran lunga i secondi» spiega Marco Solmi, lo psichiatra italiano che insegna all’Università di Ottawa e che ha coordinato il gruppo di lavoro. Impressionante il legame evidenziato dagli esperti tra il consumo della sostanza tra i più giovani e le alterazioni del funzionamento cognitivo che possono esporre con facilità agli incidenti stradali, a quelli sul lavoro, ma anche a tendenze autolesionistiche e suicidarie: tutti fenomeni che stanno travolgendo la cosiddetta “Generazione Z”, cresciuta sul piano culturale alla scuola della totale normalizzazione del consumo di cannabis.
«La
considerano una sostanza innocua, ciò che è manifestamente falso – sottolinea
Solmi, che in Canada (dove la cannabis si può comprare liberamente) gestisce un
centro per psicosi che accoglie sempre più ragazzi segnati dalle conseguenze di
un consumo incontrollato – visto che scientificamente di innocuo non esiste
nulla. Io non sono proibizionista, non ho ricette politiche, ma come uomo di
scienza credo che i ragazzi vadano informati dei rischi che corrono. Di qui la
necessità di questo studio, che lo dimostra al di là di prese di posizione
ideologiche».
www.
Avvenire. it/ Vita
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