La
tragica vicenda di Giulia Cecchettin ha lasciato il segno, forse più di altre
in cui le vittime sono donne uccise dal loro compagno, marito o fidanzato che
sia. E ha innescato un dibattito che però, dice Paolo Crepet, psicologo
specializzato in problematiche educative giovanili, non è stato incanalato
nella giusta direzione.
Più
che interrogarsi sugli omicidi in quanto atti commessi dagli uomini,
bisognerebbe spostare l'obiettivo sulla violenza che segna il nostro modo di
vivere, su quella mancanza di relazioni interpersonali sane che fanno crescere
i ragazzi e anche gli adulti. Anche l'idea di un'ora di sentimenti, in cui
parlare, a scuola, di educazione affettiva, lascia il tempo che trova. Meglio,
sostiene Crepet, una settimana bianca in cui i ragazzi possano stare con gli
altri. L'educazione ai sentimenti si fa anche in parrocchia, nella squadra di
calcio o di basket, nelle esperienze con gli amici: bisogna ricominciare dalla
vita e imparare, lì, il rispetto.
A
cosa ci pone di fronte questa vicenda?
A
tanti fallimenti. Prima di tutto quello educativo, non solo nei confronti dei
bambini, dei ragazzi, ma anche tra di noi. Una reazione così forte come quella
che si è verificata in seguito a questa tragedia non ci porta grandissima
speranza. La teoria per cui non c'è da fidarsi perché noi maschi, nel migliore
dei casi, siamo dei precursori delle violenze, se non degli assassini, quindi o
assassini o inconsciamente assassini, mi sembra una teoria nazista: i nazisti
ragionavano così, ovvero secondo genetica. Tutti i maschi sono tali
geneticamente parlando, ma sono diversi tra loro per tutto il resto. Giacomo
Leopardi è diverso da Lucky Luciano: non è genetica, è cultura. Se questa
diversità non esiste, tuttavia, allora vuol dire che anche le donne sono tutte
uguali.
È
questo il messaggio?
Sì.
Non è stato così, invece, nel caso di Cogne: credo che una donna non si
identifichi in una madre assassina.
Cos'è
che non funziona in questa lettura dei fatti?
Rispetto
a quello che è uscito mi aspetterei una donna che dicesse: «Non è esattamente
così» C'è una schizofrenia tra una parte politica che dice «Vogliamo l'ora di
buoni sentimenti» e i maschi che, però, sono considerati tutti potenzialmente
assassini. La violenza inizia sempre con le parole e allora bisogna stare
attenti alle parole, perché sono pietre: vogliamo lapidare il maschio? In
realtà ci vorrebbe un'assunzione di responsabilità da parte di tutti e due,
uomini e donne. È una questione complessa che va risolta come tale. Oppure va
bene così, e allora torniamo ai grembiulini rosa da una parte e a quelli
azzurri dall'altra. Che lo si dica, però.
Qual
è allora la discriminante tra un uomo capace di relazioni rispettose e uno che
diventa omicida?
È
l'esperienza di vita che ce lo dice, non l'appartenenza genetica.
Per
quale motivo ci sono tanti femminicidi?
Le
statistiche dicono che, in maniera molto moderata, i casi sono in calo. I
numeri non mi bastano: se anche gli episodi sono 103 o 104, finendo l'anno a
110, siamo di fronte a una quantità enorme. Il fatto che siano meno di quanto
capitava dieci anni fa, insomma, non mi consola. Il problema vero è cosa
facciamo. Dobbiamo andare oltre: non credo che il problema sia solo il
femminicidio, ma la violenza, all'interno della quale c'è l'orrore dell'orrore
che è l'omicidio. Nel caso della ragazza (Giulia Tramontano, nda) uccisa dal
fidanzato (Alessandro Impagnatiello, nda) mentre era incinta, la donna aveva
parlato con l'amante del suo uomo. È stata trucidata, ma non mi pare che dopo
quel colloquio qualcuno sia andato dai carabinieri. Non lo dico per colpevolizzare,
è per capire. Evidentemente è una situazione complicata.
Quanto
complicata?
Ho
avuto una paziente che mi ha stalkerizzato per anni, lo so quanto è difficile.
Sono andato a denunciare, ma non è che questo risolve. Non basta andare al
centro antiviolenza. Quando lo hai fatto, va via l'ansia? Io avevo l'ansia di
uscire di casa. Ce l'avevo ovunque andassi, avevo le guardie del corpo. Non
voglio farla troppo semplice e concludere che anche le donne stalkerizzano, ma
sottolineare che questo discorso non può essere ideologizzato. Che poi sono gli
uomini che agiscono in maniera più definitiva e violenta lo so, ma il fenomeno
non è maschile. La violenza è maschile, in gran parte forse, ma anche
femminile. Vogliamo andare a vedere in una separazione in Tribunale chi tra
l'uomo e la donna è più crudele, più aggressivo, chi fa più ricatti?
Di
cosa c'è bisogno per comprendere questa complessità?
C'è
bisogno di tutto fuorché di ulteriore violenza. Questa ragazza che è morta
davvero avrebbe voluto dividere il mondo con un pregiudizio così profondo, così
totalizzante? Secondo me non avrebbe voluto essere motivo di tutto questo.
Invece c'è questa vittimizzazione maschile per cui siamo tutti lì con il capo
cosparso di cenere e non possiamo dire niente. E non faccio questo discorso
perché sono un maschio. Se si parla di una figura come la madre che può
diventare negativa, poi, apriti cielo. E perché? Non posso parlare male di una
madre diseducativa? Non ho detto “di tutte le madri”. Nella mia esperienza ne
ho vista una quantità esorbitante. Sto dicendo madre ma potrei dire padre,
ovviamente. Sto dicendo che nessuno si può tirare indietro.
Da cosa possiamo cominciare?
Cominciamo
dai bambini: pensiamo che sia meglio metterli insieme perché crescendo la loro
sessualità possa essere concepita meglio? Allora pensiamo in modo positivo le
nostre relazioni, ma così non posso arrivare alla conclusione di prima.
Facciamo qualcosa di bello per i bambini senza pensare che il maschietto
diventerà un assassino: è un problema culturale, educativo, non genetico.
C'è
un problema di educazione alla relazione?
Un
problema enorme.
Anche
l'ora di relazione a scuola sarebbe inutile?
Cambiamo
la scuola per quello che è. Favoriamo una scuola che duri più tempo, che sia a
tempo pieno. Cosa significa il rientro pomeridiano di un'ora e mezza ogni
tanto? Questo evento tragico ha aperto i cancelli a cose che mai mi sarei
immaginato potessero essere dette, dal governo all'opposizione, senza soluzione
di continuità. Come il rientro un'ora e mezza due volte al mese per questi
corsi. Un'attrice nota mi ha detto: «Da qualche parte bisogna pure cominciare».
Cosa vuol dire? Che si va a caso? Siamo un Paese alla deriva. La mia paura è
che qualcuno metta un mental coach al liceo classico. Ho sentito con le mie
orecchie che fra i candidati a questa accademia dei buoni sentimenti ci può
essere un influencer. Mi vengono i brividi. Non so se qualcuno abbia una vaga
idea dell'universo degli influencer, degli o delle youtuber. Sono delle teste
vuote.
Ma
questa educazione alle relazioni allora da dove comincia? Dalla famiglia?
Dalla
vita: un po' in parrocchia, un po' a basket, un po' in discoteca, al baretto, a
scuola. Anche giocare a pallone ti insegna i sentimenti: se dai un calcio alla
tibia a quello davanti lui piange, hai fatto una cosa scorretta, te ne penti,
chiedi scusa. C'è rispetto.
Viviamo
in un mondo che ti porta a pensare a te stesso e basta: è un ostacolo che si
può superare?
Non
si fanno più neanche le gite scolastiche: i ragazzi non ci vogliono andare,
perché è una rottura di scatole, anche sabato e domenica preferiscono stare in
camera. Tutto quello che era per generazioni e generazioni libertà, occasione
di incontro, svago, gioia, adesso è orrore. I genitori sono ancora più contenti
perché così non si fanno male, non devono preoccuparsi con chi dormono, né di
cosa possono fare in albergo in montagna se fanno la settimana bianca con la
scuola. Quindi meglio che stiano in camera da letto con il telefonino. In
questa realtà, in cui famiglia e scuola si mettono d'accordo per non fare
niente, arriva l'idea della Schlein e della Meloni dell'educazione
sentimentale. La settimana bianca è educazione sentimentale: dovrebbe essere obbligatoria,
e se c'è una famiglia che non ha i soldi dovrebbe pagarla lo Stato. Ci sarà
casino alle 2 di notte? Possibile. Poi a volte è difficile anche trovare
insegnanti che si prestano alle gite, perché rischiano una denuncia. Se ci sono
ragazzi che si danno quattro schiaffi per via di una ragazza, il padre di chi
le ha prese denuncia soprattutto il professore che non è stato vigile. Il
risultato più ovvio, allora, è stare a casa.
Fonte:
Italia Oggi