- di José
Tolentino Mendonça*
-Una cosa che dobbiamo
tornare a imparare è l’ascolto. Non ce ne rendiamo conto, ma noi ascoltiamo
poco, e lungo le nostre giornate ci lasciamo fluttuare dispersi fra tante
interruzioni.
Ipervalorizziamo rumori,
sonorità secondarie, voci che si sovrappongono, e non ci disponiamo a captare
l’essenziale che ci viene rivelato.
A questo scopo, dobbiamo
ricordare che il primo organo di ascolto è il cuore, non solo le orecchie. E
che ciò che non ascoltiamo con cuore sveglio rimarrà posticipato, come un
ospite alla porta che non arriva mai a essere accolto.
Noi infatti andiamo curvi
sotto il peso non solo di quelle cose importanti che, per una ragione o per
l’altra, sono rimaste da dire: un altro peso che ci mette in imbarazzo è
costituito da ciò che sarebbe stato importante ascoltare con attenzione, ma
così non è avvenuto.
Ci fa difetto tutta una
pedagogia dell’ascolto. Senza di essa affronteremo la vita in modo sempre
impreciso e sfocato: incapaci di cogliere il significato che si nasconde dietro
una lacrima o in un sorriso; disattenti a come il bisogno d’amore resti tante
volte mascherato da manifestazioni di aggressività, fatica o stupido orgoglio;
impreparati a toccare, in noi e negli altri, la ferita e il sogno, l’argilla
screpolata e la stella, il naufragio e il respiro, la rigidità che blocca e la
danza lievissima, il vuoto e la briciola lucente.
www.avvenire.it
*Cardinale Prefetto del Dicastero Cultura ed Educazione
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