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lunedì 23 ottobre 2023

GOVERNO E PARTECIPAZIONE NELLE ASSOCIAZIONI



Leadership 

e governance

nelle comunità

 associative

 

-di Alessandro Bruni e Andrea Gandini

 

Nelle comunità associative, dopo le prime fasi di avvio istituzionale, nasce il problema organizzativo e della direzione, ovvero chi determina cosa c'è da fare e come governare l'operatività. Solitamente questa fase di sviluppo nasce dall'opera di un leader ideologico o spirituale che determina il collante dei fini da perseguire, ma questo solitamente non basta a rendere funzionale una associazione di volontari.

 Nella fase costitutiva seguente, al leader ideologico si affiancano più persone con compiti operativi quali l'amministratore e da più persone che si fanno carico di attività specifiche. Costoro si trovano nella situazione complessa di mantenere i fini ideologici di base e al contempo di esprimere l'operatività con una efficienza che permetta la sopravvivenza dell'associazione.

 Costoro, che chiameremo collaboratori o soci attivi, dipendono direttamente dal Presidente o dal Direttore e svolgono un'attività di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell'attuazione degli obiettivi dell'associazione. In una fase ancora successiva, a questi si affiancano altre persone con compiti via via più operativi che vanno a costituire il team di gestione dell'associazione.

 Bisogna chiarire che Presidente, Direttore amministrativo, soci attivi e team di gestione sono tutti volontari e operano tutti in regime di "primi tra pari". Questo significa che in una associazione di volontari non può esistere un “capo” così come è conosciuto in una azienda dove esiste una precisa gerarchia di ruolo prima ancora che di competenza. Lo staff aziendale è strutturato con l'unico fine di far aumentare il profitto o il fatturato dell'impresa. Se il team operativo riesce nell'intento, viene confermato, se non ci riesce viene sostituito. Questa logica può essere applicata nelle comunità di volontariato? No, ovviamente.

 Infatti, diversamente dalle imprese, nelle associazioni di volontariato il fine è legato a diversi fattori: riconoscimento dell'idea motivante, riconoscimento nell'ambito sociale, capacità di attrarre per motivi ideologici, capacità di attrarre per azioni concrete svolte nel conteso sociale, capacità di aumentare il numero dei soci. Ciascuna di queste attività ha necessità di un referente che sommi adesione ideale a competenze operative specifiche. Due qualità senza le quali il lavoro associativo non può progredire. Deviare dai fini significa snaturare l'associazione, essere incompetenti significa portarla al disastro.

 Di qui la domanda: i collaboratori di una associazione volontaria devono agire come leader o come capo? La risposta è molto semplice: devono agire come leader per riconosciuta competenza specifica soprattutto perché i soci sono tutti volontari e non operano per fini di lucro (quindi non hanno un fine esistenziale di sopravvivenza). Questo modello, ovvio in teoria, non è facile da costruire poiché tra i volontari, per loro cultura personale, alcuni vorrebbero avere la “comodità” di un capo che ordina (attività volontaria passiva, senza troppo coinvolgimento decisionale), altri vorrebbero avere “empatia” da un leader che coinvolge ed istruisce (attività volontaria attiva che vuole impegno emotivo). I soci più attivi nella gestione di una associazione di volontariato devono essere capaci di soddisfare entrambe le esigenze con il giusto mix di competenza, qualità operativa pratica su come si fanno le cose, qualità relazionali sociali e umane e qualità creative-ideative. Eventuali forme di nepotismo e/o di autoreferenza danneggiano la qualità delle relazioni e delle stesse associazioni.

 Organizzare e guidare un gruppo di volontari non è certo impresa facile, mancando qualsiasi relazione gerarchica e dove ciascuno vale uno per definizione. La differenza di ruolo la fa solo la competenza e la responsabilità. Ogni volontario ha il proprio carattere, le proprie abilità e le proprie motivazioni di appartenenza. Le persone non sono tutte uguali e proprio per questo ragionano in maniera diversa portando linfa creativa, ma anche anarchia operativa.

 Ma se la motivazione e l'ideale sono il cemento comune e condiviso dei soci, la competenza e la responsabilità sono espressioni che possono essere espresse solo individualmente. Infatti, nessuna impresa o associazione può essere governata con efficienza se i leader non si assumono individualmente l'onere delle competenza e della responsabilità. È bene non cadere nella illusoria sicumera della responsabilità collegiale o condivisa che può essere esercitata solo nello stabilire i fini di una associazione e non nell'esecuzione gestionale-operativa.

 Concludendo, qual è la differenza tra il capo e il leader in una associazione di volontariato?

 Il capo “comanda e ordina”, ma ha spesso poche vere competenze operative. Il capo è quello che vuole che le cose siano fatte come lui ha pensato senza avere sul tema molte competenze e di conseguenza dice agli altri quello che devono fare, ma che lui stesso non è capace di fare. Accentra il comando e pretende obbedienza, specie da quelli che hanno più competenze di lui. Il capo giudica, attribuisce i compiti: è efficace nell'emergenza, ma nel lungo periodo tende per egocentrismo a demolire il team demotivando. Il capo “non è mai solo”, perché molti lo temono e lui è soddisfatto di avere subalterni timorosi che ne riconoscono il ruolo prima della competenza.

 Il leader “pone le domande e spiega le soluzioni chiarendo il perché e il come si fa”. Deve avere profonde competenze teoriche e pratiche che gli permettano, prima di attribuire compiti, di essere lui stesso capace di svolgerli. Il leader accentra la responsabilità e condivide l'operatività, guida con l’esempio e mostra come si fa. Il leader non giudica, motiva e decide per sé prima di decidere per gli altri. Il leader è una persona che si assume in primis la responsabilità dell’andamento delle cose. Il leader “è solo” perché a lui spetta il peso della responsabilità decisionale, avendo attorno consiglieri che ne riconoscono la competenza prima del ruolo.

 Il punto fondamentale per ogni volontario è riuscire a stabilire il suo personale livello di partecipazione nelle attività nell'associazione. Essendo tutti i soci volontari si deve presumere che ogni socio dia il massimo di quel che resta delle sue attività irrinunciabili per vivere (famiglia, lavoro, altre attività personali). Quindi ad ogni socio deve essere lasciata la libertà di partecipazione in base alle sue scelte personali che rimangono assolutamente non giudicabili e non poste in una scala di merito. Chi dà molto lo fa perché si sente di farlo e ha lo stesso merito di chi dà poco perché si parte dalla presunzione che entrambi i soci comunque stiano dando il loro personale massimo.

 Per forza di cose, e non per meritocrazia, i soci attivi sono quelli che per disponibilità possono più facilmente farsi carico di compiti operativi e gestionali. D’altra parte, senza questi soci la gestione dell'associazione si azzererebbe portando allo scioglimento. L'alchimia corretta per una governance efficace di una associazione di volontariato è un mix di soci uniti nel riconoscimento del lavoro dell'altro nel quale non si fa differenza tra chi si impegna di più e chi si impegna di meno. Sempre che venga posto in alto grado il rispetto della competenza personale, dell'assunzione personale di responsabilità operativa e del livello di partecipazione in funzione delle disponibilità personali.

 Madrugada

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