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mercoledì 23 agosto 2023

FRAGILI, MA IMPEGNATI


 LA FRAGILITÀ 

È UNA RICCHEZZA,

NON LA SCUSA 

PER IL DISIMPEGNO

 

-di LELLO PONTICELLI*

 

Più volte Papa Francesco è tornato sul tema della fragilità, ricordando che «è la nostra vera ricchezza – da rispettare, accogliere – e che, quando offerta a Dio, ci rende capaci di tenerezza, misericordia ed amore». Nella lettera su S. Giuseppe (Patris Corde) raccomandava di trattare le proprie fragilità con tenerezza, sia per non prestare il fianco al tentatore che vuole scoraggiare, sia per imparare a non puntare il dito contro le fragilità altrui. Il Papa, che conosce bene le dinamiche del cuore, sa che in certe posture rigide e accusatorie, è spesso all’opera la difesa della proiezione, la quale ci porta a vedere ed attaccare nell’altro ciò che non accettiamo in noi stessi. Quanti atteggiamenti intolleranti e censori sono frutto di simili dinamiche, talvolta inconsapevoli!

In questa riflessione, però, vorrei evidenziare il rischio di alcune distorsioni pedagogiche che si verificano quando l’invito ad accogliere e rispettare la fragilità viene equivocato: è possibile, infatti, che la fragilità diventi quasi un’ideologia, che se ne faccia un pretesto per non cambiare o una forma di ricatto vittimista e manipolatorio. In una corretta postura educativa, invece, le sue molteplici espressioni vanno, sì, accolte, ma anche affrontate e, per quanto possibile, risolte. Se sul piano educativo passa l’idea che l’accettazione di esse non solo è necessaria, ma addirittura sufficiente, la motivazione a fare qualcosa per non subirle ne riceve impulso o rischia di indebolirsi o non attivarsi affatto? Molti sono i segni con cui la fragilità si esprime, specie tra i ragazzi: bassa autostima, volontà debole, scarso controllo degli impulsi, eccessiva timidezza che ostacola la relazione con gli altri, etc... Ma anche sul piano morale la fragilità allunga i suoi tentacoli. 

Dovrebbe far riflettere il fatto che, per gestire le proprie fragilità, le persone – specialmente i giovani–cercano spesso un’autocura, trovando, però, soluzioni autolesioniste (vedi le varie dipendenze). Allora un genitore, un educatore, deve incoraggiare a lottare per vincere e superare le fragilità ove possibile, altrimenti imparare a conviverci in modo più maturo, oppure deve lasciar correre? A rischio di favorire la confusione tra passività e accettazione?! Se accogliere la fragilità e i suoi “segni” equivalesse ad un talvolta banalizzato «va bene così come sei», che ne sarà della motivazione a prendere le redini in mano e a fare qualcosa di più promettente?

Se sussiste il pericolo di nuove forme di pelagianesimo – il Papa più volte l’ha segnalato – i malintesi sulla fragilità non potrebbero indurre a un nuovo “quietismo”? Dove si sminuisce l’importanza dell’impegno, della fortezza nella prova, della reazione attiva agli ostacoli, l’attrazione esercitata dalle mete esigenti, pur nella serena accettazione di sconfitte e fallimenti.

Non a caso Francesco anche di recente, a Lisbona, ha invitato i giovani a non aver paura delle proprie fragilità, ad osare, rischiare, mettersi in gioco con grinta, a combattere per essere migliori, a rifiutare la logica dello scarto delle persone fragili valorizzandole e aiutandole a rialzarsi, migliorando così il mondo! Nel dire e nel fare del Papa, insomma, non si può equivocare: la fragilità, che Dio stesso assume e redime, non è una scusa per il disimpegno, il vittimismo e la manipolazione egoistica, ma un tesoro che ci rende più umani e capaci di riumanizzare la realtà!

*Sacerdote, psicologo

www.avvenire.it 

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