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giovedì 18 maggio 2023

SCUOLA E MERITOCRAZIA

 Scuola, merito 

ed ascensore sociale       

Che cosa comporterà l’aggiunta della parola «merito» 

       nella denominazione del ministero    dell’Istruzione?         

                                                                                                     

  -di Sandra Cavallini

                                                                                           

Si va a scuola per apprendere ed imparare ad apprendere costruttivamente e solidarmente con gli altri. Si va a scuola per diventare noi stessi, cioè per scoprire i nostri talenti insieme agli altri, fatti della nostra stessa pasta umana, con cui condividiamo habitat e destino. Il motto della Rivoluzione francese, libertà, uguaglianza, fraternità, ci insegna che la libertà senza regole tende a distruggere l’uguaglianza, che l’uguaglianza, se imposta, tende a distruggere la libertà, che la fraternità non può essere imposta, ma è necessaria ad entrambe.                                                       

Il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara spiega che la scuola deve, in primo luogo, individuare e valorizzare talenti e capacità di ognuno, indipendentemente dalle sue condizioni di partenza, affinché ciascuno possa avere una opportunità nel proprio futuro. Il merito è pure un valore costituzionale, declinato nell’art. 34. E’ su questi presupposti che lavoreremo per una scuola che sia un ascensore sociale e che non lasci indietro nessuno. Il merito, dunque, come leva indispensabile per favorire l’emancipazione sociale. Ma siamo sicuri che funzioni?

Il Ministro difende la nuova denominazione legandola al riscatto sociale. Ma nella meritocratica America ci sono volute cinque generazioni per passare dalla povertà alla classe media, mentre nell’Europa del welfare ne bastano due o tre.

La meritocrazia americana dimostra che per garantire a “ciascun giovane un’opportunità nel proprio futuro” non basta valorizzarne i talenti e le capacità indipendentemente dalle sue condizioni di partenza, bensì bisogna farlo tenendo conto di queste condizioni, perché per tagliare uno stesso traguardo (scolastico e poi lavorativo), chi parte più indietro deve fare più strada. In effetti i nostri costituenti assegnarono alla Repubblica “il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.  Una società è giusta quando riesce a garantire che sia selezionato il candidato più meritevole, sia esso figlio dell’operaio e del contadino. 

“L’idea di meritocrazia ha molti meriti, ma la chiarezza non è tra questi» (Amartya Sen, Nobel per l’economia)”.  Esemplifichiamo.

Scenario 1- Verifica di Italiano. Caty passa il fine settimana a studiare ed ottiene un ottimo voto. Marco passa il fine settimana a studiare, ma si concede anche pause per uscire con gli amici. La verifica non va male, ma il voto non è alto.

Scenario 2- Verifica di Italiano. Caty passa il fine settimana a studiare ed ottiene un ottimo voto. Marco passa il fine settimana a studiare, ma, sollecitato dall’amica Camilla, le offre aiuto nello studio. Marco è anche membro di un’associazione giovanile di volontariato. La verifica di Marco non va male, ma il voto non è alto.

Forse chi ha rinominato il Ministero dell’Istruzione aggiungendo “merito” ha considerato lo scenario 1. Caty si è impegnata più di Marco, ha guadagnato il successo con i suoi sforzi e quindi “merita” di essere premiata. Eppure ci sembra ingiusto che gli sforzi di Marco nello scenario 2 (aiutare gli amici e fare volontariato) non siano riconosciuti come meritevoli. La meritocrazia è pure un ideale di giustizia sociale, e nello scenario 2 sembra piuttosto “ingiusto” premiare Caty e non Marco.

Amartya Sen ha ragione: la meritocrazia, e l’idea di merito, sono concetti piuttosto vaghi. “La mancanza di chiarezza può essere riferita al fatto che il concetto di merito è condizionato dalle nostre opinioni su cosa sia una buona società”. Nel caso della scuola, quindi, occorrerebbe partire da considerare che cosa costituisca una «buona scuola», qual è il telos (scopo ultimo) dell’istruzione. Da lì poi capiremo ciò che vogliamo premiare.  Melchiorre Gioia scriveva: «Le idee che corrispondono alla parola merito sono diverse: esse cambiano d’oggetto, di grado, di scopo, non solo tra i popoli, ma anche tra classi sociali nella stessa città».

Un altro scopo della scuola poi è quello di trasformare le persone in cittadini.  Ciò che rende davvero un cittadino tale non sono soltanto i buoni voti a scuola, ma è l’uso pubblico e libero della ragione sulle questioni della nostra società. I padri costituenti che hanno inserito l’art. 34 della Costituzione Italiana, dove si parla di «capaci e meritevoli », hanno pensato ad un testo che vive nella sua interpretazione e  contestualizzazione.  È questo che rende la nostra Costituzione una delle più belle del mondo. La discussione è il sale della democrazia: ebbene discutiamo anche sulla meritocrazia.

È bene ricordare poi che merito e successo non sono sinonimi. Nei Miserabili Victor Hugo diceva: «Il successo è una cosa piuttosto lurida; la sua falsa somiglianza col merito inganna gli uomini», questo perché al successo individuale concorrono tanti fattori non “meritori”: la fortuna, l’aiuto altrui, le condizioni di partenza, i talenti personali. Questa consapevolezza ci salva anche dall’equivoco di equiparare fallimento e demerito. Cogliamo la differenza tra gli scenari 1 e 2 nella storia di Caty e Marco?  Comprendiamo che la valorizzazione del merito è una delle logiche che governerà la scuola e la società, ma non l’unica su cui dovrebbero reggersi?

Carl Gustav Jung così si espresse: «Con lo spirito del tempo non è lecito scherzare: esso è una religione, ..., un credo, a carattere irrazionale, con l’ingrata proprietà di volersi affermare quale criterio assoluto di verità…... Lo spirito del tempo si sottrae alle categorie della ragione umana. Esso è un’inclinazione, una tendenza di natura sentimentale, che agisce su basi inconsce esercitando una suggestione sugli spiriti più deboli e trascinandoli con sé. Pensare diversamente da come si pensa oggi dà l’impressione di una cosa non giusta; persino di una scorrettezza, una morbosità, ..., ed è quindi socialmente pericoloso per il singolo».                                                                          

 “Istruzione ed Educazione”

 La Costituzione italiana stabilisce che la scuola sia aperta a tutti e che l’istruzione sia un diritto di tutti (artt. 3 e 34); che l’insegnamento sia libero, nel rispetto della normativa nazionale e finalizzato ai bisogni degli studenti (art.33). La scuola è considerata da ogni Paese come bene comune su cui è opportuno investire. Infatti, dalla ricerca OCSE 2018, l’obiettivo di ogni Stato dovrebbe essere quello di coprire le spese per la ricerca, l’istruzione, l’educazione e la formazione. Si tratterebbe di investimenti sul personale, sulla formazione, sulla innovazione didattica, sulla edilizia scolastica, finalizzati al diritto al futuro delle giovani generazioni.

La scuola è una organizzazione fatta di valori, norme e pratiche; è una realtà complessa, identificabile come istituzione, servizio e comunità. Istituzione perché svolge funzioni per la società, come l’innalzamento del livello di istruzione e formazione del cittadino; servizio in quanto fornisce prestazioni ad individui e gruppi; comunità perché è un ambiente sia fisico che simbolico per l’apprendimento.

La scuola è cultura del sapere sistematico, condiviso e trasmissibile; è normata mediante una organizzazione fatta di orari e curriculi, richiede competenze agli operatori. Si parla di una ridefinizione del ruolo della scuola od addirittura della sua fine, a fronte della difficoltà di seguire un modello normativo complesso.

Se la scuola è infatti il principale strumento di trasmissione del sapere tra una generazione e l’altra, le modalità però cambiano (Postman). Il rapporto educazione / società si è sviluppato su tre fasi / modelli: dipendenza, ordine sociale (E. Durkheim), autonomia, crisi della dipendenza e pluralismo culturale (R. K. Merton), interdipendenza, trasformazione del pluralismo in complessità sociale (N. Luhmann). Nel caso della dipendenza, il legame tra individuo e società è stato lineare e diretto, per cui il riferimento diventava quello della conformità, dove l’educazione dipendeva dalla società; nel caso della autonomia, il legame è stato invece discontinuo e dialettico, per cui il riferimento era quello del conflitto e della negoziazione; nel caso della interdipendenza, infine, il legame tra individuo e società è stato ambivalente, circolare tra strutture sociali ed educative.  Il luogo dove si sono sviluppati questi modelli è proprio la scuola, dove infatti troviamo due concetti opposti: ‘rifugio’ e ‘panorama’. Il rifugio, vedi la casa, è il primo modo di vivere lo spazio, produce equilibrio tra interno ed esterno, tra sé e gli altri. È un luogo dove si ha diritto d’asilo e si condividono esperienze di vita con i propri pari e con gli adulti; in cui le conoscenze sono fatte proprie allo scopo di migliorare se stessi ed il mondo. Una area protetta garantita da tutta la Comunità educante. Ma la scuola è anche un panorama, vasto e luminoso, è un trampolino di lancio, un luogo di simulazione per la vita adulta.

Oggi assistiamo alla sfida della complessità del sapere in una sua costante rielaborazione e contestualizzazione (Morin, 1999). La attuale epoca mette in discussione spazi e tempi per l’apprendimento e la organizzazione della didattica. Lo abbiamo visto nella fase di emergenza epidemiologica covid 19. Se la didattica a distanza ha fatto emergere diseguaglianze negli spazi domestici, nelle strumentazioni mancanti, la scuola invece, riorganizzandosi, ha saputo interagire con studenti e famiglie leggendo la complessità, acquisendo capacità di resilienza mantenendosi comunità educante, ha sviluppato negli studenti le Life Skills, cioè le competenze per la vita.

La scuola e i conflitti tra docenti, allievi e genitori

Stante che la scuola è luogo di relazioni complesse tra ragazzi, insegnanti, famiglie,  possono emergere differenze di vedute, conflitti, ecc. Fra l’altro i ragazzi, nelle scuole italiane, rimangono insieme per anni in luoghi chiusi, con poche pause tra una lezione e l’altra, spesso cattedratica e raramente laboratoriale, cosicché da intraprendere legami amichevoli duraturi, o situazioni conflittuali.  Il conflitto andrebbe mediato, in quanto spesso fa emergere bisogni non “nutriti”, valori ed opinioni, a cui sono collegate le componenti emotive ed ideali. Infatti, nel conflitto non c’è emozione che non sia guidata da una convinzione, e non c’è idea che non sia animata da una emozione.

Certamente, se dei ragazzi mettono in atto dei comportamenti violenti, è perché non sono in grado di affermare in modo adeguato se stessi ed i propri bisogni, Anche un cosiddetto bullo ha diritto ad essere accolto e sostenuto con la sua storia personale, le sue fragilità, al di là della maschera da duro; così come ne ha diritto il ragazzo-vittima con i suoi bisogni di appartenenza e di affermazione di sé.  L’educatore dovrebbe nutrire fiducia in un percorso di recupero personale grazie alla qualità delle relazioni, anche in situazioni estreme, che vedono da un lato l’umiliazione della vittima, e dall’altro il comportamento asociale del bullo.  Ma gli educatori riescono a mantenere equilibrio, discernimento?

Si legge "Si torna a scuola, ma resta alto il rischio di burnout tra 16-18 anni (ANSA); gli studenti italiani sono 'ignoranti', non sanno leggere, sono ansiosi, insoddisfatti (OCSE), soffrono di esaurimento, frustrazione, cinismo verso la scuola ed il futuro”.  Ovviamente questi studenti hanno maggiori rischi di dispersione scolastica, e di sviluppare forme di depressione.  Temiamo che l’interesse per il rientro a scuola in sicurezza abbia distolto l'attenzione dai suoi vecchi problemi.  Stiamo assistendo all’allontanarsi di alcune fasce della popolazione scolastica dall'idea di una scuola come luogo di crescita personale e di investimento verso il futuro: se prima si parlava di disinnamoramento dei giovani per la scuola, adesso è vicino il distacco da essa. Ma noi confidiamo nella professionalità e sensibilità di coloro che quotidianamente vi operano.                                  


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