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giovedì 27 aprile 2023

LA RETE SENZA VERITA' FA L'UOMO NICHILISTA

Per il filosofo Han il problema non sono fake e menzogna, ma l’apparire di un mondo autoreferenziale, senza riferimento ai fatti concreti e senza alterità.

Un contesto privato della carne, del suolo e dei codici di natura diventa muto e non offre più occasione di ascolto: quello che conta è ciò che è utile al singolo utente.


- di SIMONE PALIAGA

 In questo periodo ChatGpt, l’intelligenza artificiale generativa con cui è possibile intavolare una conversazione, attraversa le cronache, soprattutto dopo che il garante per la privacy ne ha bloccato l’accesso dall’Italia. Si tratta però solo dell’aspetto più visibile di un fenomeno che accompagna le vite quotidiane ogni giorno. Con l’intelligenza artificiale e il mondo dei dati trasformati in informazioni conviviamo quotidianamente, oramai, sia che si usi un navigatore sia con i chatbot delle piattaforme o i consigli commerciali che fanno capolino sulle pagine web durante la navigazione. Senza contare l’uso che viene svolto dall’intelligenza artificiale sui social, che, peraltro, diffondono immagini, come quella di Vladimir Putin in manette o di Donald Trump strattonato dalla polizia. Immagini di cui diventa difficile stabilire la veridicità. Starebbe qui il cuore della svolta della digitalizzazione, secondo quanto scrive il filosofo coreano naturalizzato tedesco, Byung-Chul Han in Infocrazia. Le nostre vite manipolate dalla rete (Einaudi, pagine 80, euro 12,50). Ne deriverebbe un nuovo nichilismo in cui «è la stessa distinzione tra verità e menzogna a essere minata». 

A trovarsi al centro di questo nuovo nichilismo è la de-fatticizzazione della realtà. Infatti, per Han, «le fake news non sono menzogne: esse attaccano la fatticità stessa». Il problema dunque non è la menzogna, che riconosce la verità ma la distorce e se ne discosta. Il problema è invece l’apparire di un mondo in cui non si prevede alcun riferimento a fatti e a verità fattuali. E questo genera una crisi della verità. Uno degli aspetti più visibili da cui deriva la crisi della verità è la fruizione autistica dei contenuti, il rafforzamento autoreferenziale delle proprie convinzioni e opinioni. Questo esito è dovuto anche ai cosiddetti bubble filter, che fanno trovare sui profili solo quanto è coerente con le idee dell’intestatario escludendo ogni prospettiva di alterità. Da non ingenuo indagatore delle dinamiche che condizionano il mondo attuale Han è ben consapevole che all’origine della deriva che mina il valore della verità fa capolino una dinamica non riconducibile esclusivamente alla digitalizzazione. 

«La personalizzazione dei risultati delle ricerche e dei news feed - precisa il filosofo - è responsabile solo in minima parte di questo processo degenerativo. L’auto indottrinamento o l’auto propaganda avviene già offline». E il pensatore non tarda a mostrare come a essere responsabile della crisi della verità «non sia la personalizzazione algoritmica della Rete bensì la sparizione dell’altro, l’incapacità di ascoltare». Per Han quindi il processo di “defatticizzazione” della realtà, vale a dire la perdita di fiducia nei fatti, è l’esito di un processo non imputabile al processo di digitalizzazione, con tutti i suoi corollari, algoritmi, intelligenza artificiale, web, social  network, bubble filter e via enumerando. L’eclisse dei fatti, per il pensatore tedesco, sarebbe legata a un livello ulteriore, l’estinzione dell’altro. «L’espulsione dell’altro - insiste il pensatore - rafforza la costrizione autopropagandistica a indottrinare se stessi con le proprie idee. Questo autoindottrinamento produce bolle informatiche autistiche che rendono più complesso l’agire comunicativo. Se la costrizione all’autopropaganda si accresce, gli spazi discorsivi vengono progressivamente sostituiti da ecochambers, nelle quali sento parlare soprattutto me stesso».

 La digitalizzazione non fa altro che rafforzare il processo di iperculturalizzazione, come Han la definisce in Iperculturalità (Nottetempo, pagine 130, euro 15). Con questo processo, precisa il pensatore, «la cultura diventa genuinamente culturale, anzi iperculturale, denaturandosi, liberandosi cioè tanto del “sangue” quanto del “suolo”, dei codici biologici e terreni. Tale denaturazione intensifica la culturalizzazione. Se è il luogo a caratterizzare la fatticità di una cultura ecco che iperculturalizzazione significa defatticizzazione della cultura». A questo punto il mondo diventa muto, non oppone più resistenza e dunque non offre più occasione di ascolto. Nell’Infocrazia attuale a predominare sarebbe un continuo riferirsi a informazioni costruite ad hoc sul profilo degli utenti, dalle quali viene escluso ogni riferimento a un mondo della vita condiviso. Gli unici elementi a contare sono quelli trasformati in dati ed elaborati in informazioni adatte al singolo utente, senza rendere possibile il riconoscimento della verità. Di qualsiasi verità, anche di quella intersoggettiva e condivisa, rendendo così il mondo uno spazio aperto al tribalismo.

 www.avvenire

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