Commento
di p. Ermes Ronchi
Dio
ha sete, ma non di acqua, bensì della nostra sete di lui, ha desiderio che
abbiamo desiderio di lui. Lo Sposo ha sete di essere amato. La donna non
comprende, e obietta: giudei e samaritani sono nemici, perché dovrei darti
acqua? E Gesù replica, una risposta piena di immaginazione e di forza: se tu
conoscessi il dono di Dio. Parola chiave della storia sacra: Dio non chiede,
dona; non pretende, offre.
Il
maestro del cuore mostra che c’è un metodo, uno soltanto per raggiungere il
santuario profondo di una persona. Non è il rimprovero o la critica, non il
verdetto o il codice, ma far gustare qualcosa di più, un di più di bellezza, di
vita, di gioia, un’acqua migliore. E aggiunge: ti darò un’acqua che diventa in
te sorgente che zampilla vita.
Gesù il poeta di Nazareth usa qui il linguaggio bello delle metafore che sanno parlare all’esperienza di tutti: acqua, viva, sorgente. Lo sai, donna della brocca, la sorgente è più dell’acqua per la tua sete, è senza misura, senza calcolo, senza sforzo, senza fine, fiorisce nella gratuità e nell’eccedenza, dilaga oltre te e non fa distinzioni, scorre verso ogni bocca assetata.
INFINITA
SETE
Gesù
non cerca indizi di colpa. Non dice, quest’acqua non è buona e gli amori umani
sono cattivi. Dice solo: se bevi quest’acqua avrai ancora sete, svelando che
fra la nostra sete profonda e l’acqua dei pozzi umani la distanza è
incolmabile.
Gesù
e una donna straniera. Occhi negli occhi al muretto del pozzo, con lo sguardo
ad altezza del cuore. “Dammi da bere”. Il viandante ha sete, ma non di acqua.
Il
dono è il tornante di questa storia, è parola portante della storia sacra: ti
darò una sorgente intera in cambio di un sorso d’acqua. Simbolo bellissimo: la
fonte è molto più di ciò che serve alla tua sete; è senza misura, senza fine,
senza calcolo. Esuberante ed eccessiva. Immagine di Dio che si dona con un
desiderio preciso: che lo amiamo non da servi, non più da sottomessi, ma da
innamorati.
Anche
oggi Gesù va diritto al pozzo del cuore, all’essenziale che tracima. E vede un
cuore ferito, indurito, forse malato. Ma il suo sguardo non si posa sugli
errori in cui la donna è inciampata, lui vede solo una grande sete, una sete
infinita.
«Hai
avuto cinque mariti. Vai a chiamare colui che ami». Il suo è il linguaggio
femminile dei sentimenti, della ricerca di ragioni forti per vivere. «Se tu
conoscessi il dono di Dio!» Donna, non vivere solo per i tuoi bisogni, fame,
sete, amori, un po’ di religione, perché poi avrai solo un po’ d’acqua nella
brocca, presto finita, sempre insufficiente. Non vivere senza mistero. Senza
dono.
Gesù
non giudica e non assolve. Non cerca indizi di colpa, ma un bene che subito
mette in luce: hai detto bene, questo è vero. Non dice, quest’acqua non è
buona, gli amori umani sono cattivi. Dice solo: se bevi di quest’acqua avrai
ancora sete, svelando che fra la nostra sete profonda e l’acqua dei pozzi umani
la distanza è incolmabile.
Non
le chiede di mettersi in regola, prima di affidarle l’acqua vivente: sarà
l’acqua a trasformarla. È il Messia di suprema delicatezza, è il volto
bellissimo di Dio.
Che
cosa si vede da quel luogo, dal pozzo di Sicar? Il monte Garizim, con il tempio
dei samaritani, e attorno cinque alture su cui i coloni stranieri hanno eretto
cinque templi ai loro dei. Il popolo è andato dietro a cinque idoli, come la
donna a cinque uomini. Storia, simbolo, popolo, persona, tutto si intreccia per
convergere all’essenziale: lo Sposo cerca la sposa perduta.
La
donna sente questa energia d’amore vivo, e ne è contagiata. Abbandona brocca e
pozzo, e corre! Corre in città, e ferma tutti per strada: “c’è uno che sa tutto
di me! Che vede in ognuno la sorgente del bene, più forte del male, e fontane
di futuro”.
E
chiama, annuncia, testimonia!
Nulla
rivela il mistero dell’uomo quanto il mistero dei suoi amori.
Gesù
fa nascere nella samaritana la sete di Dio, un Dio cui si accede per la porta
del cuore. Solo lì si capisce ogni cosa.
Io
sono acqua viva. Ricevimi, donami, e donandomi mi otterrai di nuovo.
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