IL
NAZIONALISMO RELIGIOSO
e
LA “CULTURA DELL’INCONTRO” DI PAPA FRANCESCO
- -di David
Hollenbach*
Negli
ultimi anni la religione si è fatta sempre più presente nei dibattiti della
politica internazionale. Lo si deve al fatto che alcune comunità religiose sono
parte attiva in conflitti che oggi occupano la scena internazionale. I
movimenti nazionalisti di ispirazione religiosa sono tra i fattori più pericolosi
che oggi possono portare al conflitto. D’altra parte, le comunità religiose
sono anche importanti attori della pace; e papa Francesco, in particolare, con
le sue azioni e con i suoi insegnamenti ha dato un importante contributo
religioso alla pace.
Questo
articolo si propone di illustrare con svariati esempi come il nazionalismo
religioso minacci la pace. Metterà poi in evidenza varie forme di resistenza
basata sulla fede, che vengono opposte al nazionalismo religioso. In
conclusione, rileverà come la «cultura dell’incontro» di papa Francesco possa
costituire un valido rimedio al nazionalismo religioso, e quindi un grande
aiuto a costruire la pace.
Nazionalismo
religioso oggi: Russia e Stati Uniti
L’esempio
contemporaneo più evidente del contributo religioso a un conflitto è la funesta
guerra russa contro l’Ucraina che il presidente Vladimir Putin ha iniziato con
il forte sostegno del patriarca Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa. Le
ostilità vengono condotte senza alcun riguardo per le norme etiche che
governano i conflitti, o per le garanzie sancite dal diritto internazionale.
Dal punto di vista etico, le azioni della Russia stanno violando sia lo jus ad
bellum sia lo jus in bello stabiliti dall’etica della guerra secondo la
tradizione della guerra giusta[1]. Dal punto di vista legislativo, la Carta
delle Nazioni Unite afferma che «i membri devono astenersi nelle loro relazioni
internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità
territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato»[2]. Inoltre, le
Convenzioni di Ginevra, che disciplinano i mezzi consentiti in caso di
conflitto, dichiarano che, «allo scopo di assicurare il rispetto e la
protezione della popolazione civile e dei beni di carattere civile, le Parti in
conflitto dovranno fare, in ogni momento, distinzione fra la popolazione civile
e i combattenti, nonché fra i beni di carattere civile e gli obiettivi
militari, e, di conseguenza, dirigere le operazioni soltanto contro obiettivi
militari»[3]. Questi inderogabili modelli morali e giuridici internazionali
vengono chiaramente violati dall’aggressione della Russia contro l’Ucraina e
dall’uso indiscriminato della forza contro i civili.
Questo
discostarsi della Russia dalle norme morali e legali fondamentali è l’esempio
probabilmente più forte di quali pericoli possa indurre il nazionalismo
religioso nei nostri giorni. Di fatto, per giustificare l’agire attuale della
Federazione che presiede, Putin ha spesso fatto appello a valori sia religiosi
sia nazionalistici. Egli infatti afferma che l’Ucraina non è un Paese
indipendente, e quindi non è dotata di una sovranità tale da meritare il
rispetto richiesto dalla Carta delle Nazioni Unite. Piuttosto, essa fa parte
della Russia, e quindi l’«operazione militare» che egli stesso ha avviato non
costituisce affatto una violazione della sovranità e dell’integrità
territoriale di uno Stato indipendente. Insomma, Putin presenta la guerra come
una tutela dell’Ucraina verso le pressioni illegittime dell’Unione europea,
della Nato e, in generale, dell’Occidente. Basa questa affermazione su
motivazioni sia storiche sia religiose. Per esempio, quando nel 2014 le truppe
russe aggredirono la Crimea, che apparteneva all’Ucraina, Putin fece appello
alla storia per giustificare la sua affermazione che «nei cuori e nelle menti
della gente la Crimea è sempre stata parte integrante della Russia»[4]. Il
Presidente ha ripetuto spesso questa affermazione. Nel luglio 2021 ha
dichiarato che russi e ucraini sono «un solo popolo» e, pochi giorni prima di
dare inizio alle ostilità, ha detto: «Per noi l’Ucraina non è solo un Paese
vicino. È una parte inalienabile della nostra storia, della nostra cultura e
del nostro spazio spirituale»[5]. A supporto di tali dichiarazioni di carattere
storico, egli adduce garanzie religiose: fa appello alle comuni radici
dell’identità russa e ucraina, risalenti al battesimo del principe Vladimir
(Volodymyr, in ucraino) nella tradizione cristiana orientale, avvenuto nel 988.
Questo
attestato religioso di una comune identità russa e ucraina è stato rafforzato
dal leader della Chiesa ortodossa russa, il patriarca Kirill. Egli ha fatto eco
a Putin, affermando che gli ucraini fanno parte dei «popoli della Santa
Russia»[6]. Ha sostenuto che l’impegno della Russia in Ucraina non è soltanto
una battaglia di carattere politico, ma ha un «significato metafisico». Ha
descritto la guerra come una questione di vita o di morte, che consiste
nell’opporsi alle presunte libertà dell’Occidente decadente[7]. Pertanto, la
guerra della Russia contro l’Ucraina si radica su valori nazionalistici, che
vengono sostenuti tramite appelli rivolti sia alla fede sia alla storia
religiosa. Questo nazionalismo russo, appoggiato dalla religione, è in diretta
contraddizione con la fede e con l’etica, le quali, sulla base della comune
natura di tutti gli esseri umani, rivendicano un rispetto che supera le
differenze nazionali e religiose.
Purtroppo
si deve constatare che il nazionalismo di ispirazione religiosa è presente
anche in altri contesti, in primo luogo negli Stati Uniti. Gli ultimi anni
hanno visto l’ascesa del nazionalismo cristiano in quanto forza influente nella
politica e nella cultura degli Usa. Sebbene la sua consistenza non appaia
facile da valutare, i sociologi Andrew Whitehead e Samuel Perry hanno tratto da
dati empirici l’evidenza che il 42% degli statunitensi crede che «il successo
degli Usa faccia parte del piano di Dio». Altre quantificazioni statistiche
mostrano che quasi la metà degli statunitensi considera il cristianesimo
incorporato alla vita civile del loro Paese e all’identità nazionale[8]. Questi
sostenitori di un’America cristiana ritengono che le tendenze attuali stiano
minando il legame storico che sussiste tra cristianesimo e Usa e che, di
conseguenza, l’identità del Paese sia minacciata. Perciò propugnano una
politica tesa a restaurare l’identità cristiana della nazione, mescolando una
certa idea del cristianesimo con una specifica lettura dell’agenda nazionale
degli Stati Uniti. Lo si è visto nelle grandi croci di legno e negli striscioni
con la scritta «Gesù salva», che venivano esibiti nel corso del violento
assalto al Congresso degli Stati Uniti, dopo le elezioni presidenziali del 6
gennaio 2021.
Tuttavia,
sebbene i nazionalisti religiosi statunitensi facciano appello al ruolo di Dio
e del cristianesimo nell’istituzione e nella prosperità del Paese, l’identità
nazionale che cercano di difendere è più culturale che non basata sui valori
cristiani ortodossi. Whitehead e Perry sostengono, sempre sulla base di dati
empirici, che l’identità immaginata dai nazionalisti cristiani per gli Stati
Uniti è per lo più basata su nativismo, supremazia bianca, patriarcato,
eteronormatività, controllo autoritario della vita sociale e grande apprezzamento
per i militari. Affermano che di fatto il nazionalismo cristiano negli Usa
raramente si preoccupa di impiantare quelle che una teologia ben fondata
considererebbe «“politiche secondo Cristo”, o tantomeno politiche che
riflettano l’etica del Nuovo Testamento»[9].
La somiglianza tra i nazionalismi religiosi in Russia e negli Stati Uniti è
chiara: si invocano le tradizioni religiose per sostenere una specifica visione
del futuro verso cui la nazione sarebbe tenuta a orientarsi. È lecito ritenere
che in entrambi i casi i programmi proclamati non siano realmente religiosi, ma
che la religione venga manipolata per sostenere un’agenda nazionalista. Eppure,
sia nel caso russo sia in quello statunitense, le interpretazioni della storia
religiosa e dei valori religiosi vengono di fatto regolarmente invocate a
sostegno di programmi che i loro fautori considerano genuinamente religiosi.
Poiché i sostenitori di tutti quei movimenti nazionalisti attribuiscono ai loro
propositi un fondamento trascendente, è possibile etichettare tali movimenti
come «nazionalismo religioso». Lo storico Appleby ha affermato che, anche
laddove gli intenti nazionalistici o etnici manipolano la religione, come
accadde nell’ex Jugoslavia all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso,
quella di «nazionalismo religioso» costituisce una descrizione appropriata per
tutti quei movimenti i cui sostenitori vedono nella religione un aiuto per
definire il proprio programma politico[10].
Oppositori
religiosi del nazionalismo religioso
Oggi
però molte comunità religiose si oppongono con forza a queste correnti del
nazionalismo religioso. Un’importante dichiarazione ortodossa, Per la vita del
mondo: verso un ethos sociale della Chiesa ortodossa, condanna fermamente la
guerra russa in Ucraina[11]. Questa dichiarazione è stata pubblicata il 27
marzo 2020 con l’approvazione del patriarca ecumenico Bartolomeo di
Costantinopoli, e ha il sostegno dei dirigenti di quasi tutto il mondo
ortodosso, fatta eccezione per la Chiesa ortodossa russa con sede a Mosca. Il
testo ricorda che nel 1872 il Concilio di Costantinopoli condannò la
subordinazione della fede ortodossa alle identità etniche e agli interessi
nazionali[12]. Contesta apertamente i riferimenti fatti dal presidente Putin e
dal patriarca Kirill alla storia religiosa russa e all’etica cristiana, per
sostenere la guerra in Ucraina.
Un
altro documento, di carattere meno autorevole, la Dichiarazione
sull’insegnamento del «mondo russo» (Russkii Mir), diffuso il 13 marzo 2022 e
firmato da numerosi leader e studiosi della Chiesa ortodossa, considera
l’unione del nazionalismo russo e della fede ortodossa come un’«eresia» e
«profondamente avversa all’ortodossia, alla fede cristiana e all’umanità»[13].
Anche
negli Stati Uniti c’è stata una forte opposizione religiosa ai recenti
movimenti nazionalisti cristiani. Il Comitato congiunto battista per la libertà
religiosa (Baptist Joint Committee for Religious Liberty) ha contribuito a
promuovere un movimento, denominato «Cristiani contro il nazionalismo cristiano»,
che si oppone al tentativo di fondere le identità cristiane e americane in
quanto «travisamento del Vangelo di Gesù e minaccia per la democrazia
americana». Esso sostiene che questa distorsione viene accresciuta dal modo in
cui il nazionalismo cristiano «spesso si sovrappone e fornisce una copertura
alla supremazia bianca e alla sopraffazione razziale»[14]. Il movimento ha
ricevuto l’appoggio dei leader religiosi della maggior parte delle principali
Chiese protestanti negli Stati Uniti, tra cui i battisti americani, gli
episcopaliani, la Chiesa evangelica luterana d’America, i quaccheri, la Chiesa
presbiteriana degli Stati Uniti e il Consiglio nazionale delle Chiese[15].
Questa
resistenza al nazionalismo religioso ha radici profonde nella maggior parte delle
principali tradizioni religiose. Infatti, sia l’ebraismo sia il cristianesimo
sostengono che ogni persona è stata creata a immagine e somiglianza di Dio (cfr
Gen 1,27). Pertanto, tutte le persone hanno in comune una sacralità che
oltrepassa quei confini da cui nascono le identità nazionali. Anche nella
religione musulmana questo riconoscimento trascende i confini nazionali,
culturali e religiosi[16]. L’unicità di Dio è l’idea centrale della fede
musulmana, e tale unicità si riflette nell’unità della razza umana. Il Corano
proclama che quest’ultima è stata creata da Allah come umma wahida, «una
comunità» (Sura 2,213). Alla comunità musulmana, quindi, è affidato il compito
di sostenere l’unità umana, nonostante le divisioni nazionali e religiose che
sono sorte nel corso della storia. Un’analoga concezione dell’unità umana si
riscontra anche in altre tradizioni.
La
cultura dell’incontro nel pensiero di papa Francesco
Il
superamento del nazionalismo religioso ci spinge quindi a riconoscere la
dignità e il valore di tutte le persone, a prescindere dalla loro identità
religiosa o nazionale. La fede genuina richiederà quello che papa Francesco ha
definito un autentico «incontro» con la dignità personale degli altri, e
comporta il dovere di rispondere a tale dignità con rispetto e cura. Per
Francesco, «l’incontro» è un’attiva presa di coscienza della presenza e
dell’effettivo valore dell’altro: è una sorta di risveglio alla realtà
dell’altro, cioè alla sua dignità e alle sue necessità.
Per
illustrare concretamente questo aspetto, l’enciclica di Francesco Fratelli
tutti (FT) ricorre alla parabola del buon samaritano. Il protagonista di questa
parabola non solo vede i bisogni della persona che è stata malmenata dai
briganti, ma agisce concretamente. Il sacerdote e il levita proseguono il loro
cammino indifferenti e lasciano il ferito a soffrire sul ciglio della strada.
Il buon samaritano, invece, incontra il bisognoso in un modo così profondo da
far nascere in sé una risposta attiva. È sollecitato ad agire dall’incontro con
la reale dignità e con l’effettivo bisogno di quella persona abbandonata dai
malviventi sul ciglio della strada.
Per
descrivere questo tipo di incontro esistenziale, Francesco usa anche il termine
«accompagnamento». Questo nasce da un’attenzione all’altro che potrebbe essere
descritta come una forma di apertura contemplativa. Come il Papa afferma
nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium (EG), incontrare il vero valore
di un’altra persona è come stare davanti al roveto ardente, dove Dio, con la
sua potenza, si fece presente a Mosè. Nell’incontro genuino, «ci togliamo i
sandali davanti alla terra sacra dell’altro (cfr Es 3,5)» (EG 169). Chi
riconosce la sacralità dell’altra persona è indotto a superare i confini del proprio
mondo, compresi quelli nazionali o religiosi. C’è incontro quando l’uno
accoglie l’altro nella sua stessa realtà, non in un contesto completamente
predeterminato dalle proprie relazioni precedenti o dalle idee trasmesse dalla
propria tradizione nazionale o religiosa. Come dice Francesco quando invita a
sviluppare una cultura dell’incontro, «le realtà sono più importanti delle
idee». Pertanto una risposta adeguata ai bisogni del nostro mondo richiede
apprezzamento, rispetto e amore per la realtà delle persone che vivono nel
nostro mondo (cfr EG 231-233).
Nonostante
i suoi molteplici scritti su questo argomento, Francesco non definisce
pienamente che cosa intenda per «incontro». Tuttavia, gli usi che egli fa di
questo termine suggeriscono di chiarirlo nel modo che segue. L’incontro è il
trovarsi e l’impegnarsi reciproco di due persone. La capacità di realizzare
l’incontro e l’impegno è una forma di autotrascendenza. Per incontrare un’altra
persona, si deve essere in grado di andare oltre sé stessi, di trascendersi,
apprezzando la realtà di colui che si incontra. Questo superamento degli
angusti confini del proprio io ha luogo quando si giunge a conoscere l’altro
come realmente è, quando ci si rivolge liberamente all’altro per affermarne
l’identità, e quando si entra in un rapporto di rispetto che può tradursi in
amore. La persona incontrata possiede a sua volta un’autotrascendenza, che le
conferisce una dignità e un valore. Colui che si incontra è più di una cosa o
di un animale, incapace di una relazione consapevole.
L’incontro,
quindi, è incontro di due esseri autotrascendenti, dotati di caratteristiche
spirituali che li rendono più che oggetti. Queste forme di autotrascendenza
sono distintive della dignità e del valore di ogni persona. Sono la ragione per
cui, nell’interazione umana, tutti sono tenuti a rispettare e proteggere gli
altri. Qualsiasi norma specifica riguardo alle modalità secondo cui gli esseri
umani dovrebbero trattarsi a vicenda è un’espressione concreta dell’esigenza di
rispetto per l’autotrascendenza delle persone. Onorare l’autotrascendenza di
una persona è rispettarne la capacità di conoscere, di fare scelte libere e di
stringere legami di relazione e di amore.
D’altra
parte, la persona che si incontra sperimenta a sua volta il dovere di mostrare
tale rispetto, proprio perché anch’essa possiede la capacità di
autotrascendenza, non è confinata nei limiti della sua autocoscienza, ma può
davvero incontrare l’altro come un essere umano simile. Quindi, ogni essere
umano è una sorta di dovere di fronte a un altro[17]. La capacità di
autotrascendenza di ciascuno reclama la capacità di autotrascendenza
dell’altro. La capacità di una persona di conoscere e comprendere richiede che
anch’essa venga riconosciuta e compresa dagli altri. La libertà di una persona
esige la libertà di un’altra persona. La capacità di una persona di entrare in
relazione con gli altri richiede riconoscimento e sostegno attraverso la cura
degli altri. Tutto questo è implicito in ciò che Francesco chiama «incontro».
Il
Papa sottolinea che l’incontro ha la sua prima manifestazione nell’interazione
interpersonale, che raggiunge la sua pienezza nell’amore reciproco. Ma insiste
anche sul fatto che l’incontro può avvenire comunitariamente, quando una
comunità si impegna positivamente con un’altra, riconoscendone i valori e i
diritti. L’incontro quindi può avvenire socialmente e può contribuire a formare
macrorelazioni a livello sociale, economico e politico[18]. Quando ciò avviene,
l’incontro contribuisce alla promozione della giustizia e della pace
all’interno delle comunità, e tra le nazioni a livello globale. E questo
incontro comunitario può portare a quella che Francesco chiama «amicizia
sociale», i cui effetti ricadranno anche sulle istituzioni politiche, favorendo
in esse quello che può essere chiamato un «amore politico». Queste dimensioni
sociali dell’incontro tra persone e comunità spingeranno ad adoperarsi per
«creare istituzioni più sane, ordinamenti più giusti, strutture più solidali»
(FT 186). Promuoveranno lo sviluppo di quella che Francesco chiama una «cultura
dell’incontro» [19].
All’inizio
di Fratelli tutti, il Papa fa notare che alla preparazione di questa enciclica
è stato invogliato in modo speciale dal grande imam della moschea di Al Azhar
al Cairo, Ahmad Al-Tayyeb[20]. Il Papa e il Grande Imam si erano già incontrati
per preparare insieme il Documento sulla fratellanza umana, che hanno emanato
congiuntamente ad Abu Dhabi nel febbraio 2019[21].
Finora
nessun Pontefice aveva mai affermato che un importante documento papale fosse
stato influenzato direttamente da un leader religioso non cristiano. Pertanto,
gli incontri tra il Papa e il Grande Imam potrebbero condurre a un
significativo progresso delle relazioni cristiano-musulmane sul piano
istituzionale e a lungo termine. Le comunità cristiane e musulmane
costituiscono insieme poco più della metà della popolazione mondiale [22];
quindi, il passaggio dal conflitto e dalla violenza, che hanno spesso segnato
le loro relazioni precedenti, all’interazione nel reciproco apprezzamento e
nella solidarietà pacifica è certamente di grande significato storico e
potrebbe rappresentare un importante contributo alla pace e alla giustizia
globali.
La
«cultura dell’incontro» di papa Francesco rafforza dunque la resistenza
religiosa al nazionalismo religioso, che oggi rappresenta una grave minaccia
per l’umanità. Spetta a noi accogliere l’invito di Francesco a incontrare le
persone concrete e a riconoscerne le reali necessità. Ci viene chiesto anche di
rispondere efficacemente a tale invito, creando istituzioni capaci di sostenere
incontri che oltrepassino i confini divisivi del nostro mondo. Simili incontri
e istituzioni sono decisivi per far progredire la pace e la giustizia, che oggi
sono tanto necessarie.
* LaCiviltà Cattolica 2023 - Quaderno 4142 pag. 117 - 127Anno 2023 Volume I***
[1]. Cfr M.
Walzer, Just and Unjust Wars: A Moral Argument with Historical Illustrations,
New York, Basic Books, 2015, capp. 4; 8; 9 (in it. Guerre
giuste e inguiste. Un discorso morale con esemplificazioni storiche, Roma –
Bari, Laterza, 2009); Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti, «The
Harvest of Justice is Sown in Peace», 17 novembre 1993, Parte I, B.
[2]. Carta delle Nazioni Unite, art. 2, par. 4.
[3]. Convenzioni di Ginevra, Protocollo
aggiuntivo, adottato l’8 giugno 1977, art. 48, «Regola fondamentale».
[4]. V. Putin, «Discorso del Presidente della
Federazione Russa ai deputati della Duma di Stato, ai governatori regionali
della Federazione russa e a rappresentanti della società civile», 18 marzo
2014.
[5]. Id., «L’unità storica di russi e ucraini»,
12 luglio 2021, e «Discorso del Presidente della Federazione russa», 21
febbraio 2022. Per un’utile panoramica sull’interazione storica tra Russia e
Ucraina, che mostra come la versione che di tale storia dà Putin sia una
semplificazione eccessiva, cfr A. Reid, «Putin’s War on History: The
Thousand-Year Struggle over Ukraine», in Foreign Affairs, maggio-giugno 2022,
54-63.
[6]. Kirill, «Parole di Sua Santità il
Patriarca nella quarta settimana della Santa Grande Quaresima, pronunciate dopo
la liturgia nella cattedrale delle Forze armate della Federazione Russa», 3
aprile 2022.
[7]. Id., «Sermone patriarcale nella Domenica
del perdono dopo la liturgia nella cattedrale di Cristo Salvatore», 6 marzo
2022.
[8]. Cfr A.
L. Whitehead – S. L. Perry, «What Is Christian Nationalism?», in Christian
Nationalism and the January 6, 2021 Insurrection, rapporto conclusivo di una
ricerca congiunta del Baptist Joint Committee for Religious Liberty (BJC) e
della Freedom From Religion Foundation, 9 febbraio 2022. Cfr anche A. L.
Whitehead – S. L. Perry, Taking America Back for God: Christian Nationalism in
the United States, New York, Oxford University Press, 2020, 6-10; 25.
[9] . A. L. Whitehead – S. L. Perry, Taking
America Back for God, cit., 11.
[10]. Cfr R.
S. Appleby, The Ambivalence of the Sacred: Religion, Violence, and
Reconciliation, Lanham, MD, Rowman and Littlefield, 2000, 76. A sostegno della
sua interpretazione, Appleby cita G. F. Powers, «Religion, Conflict, and
Prospects for Reconciliation in Bosnia, Croazia, and Jugoslavia», in Journal of
International Affairs 50 (1996/1) 63. D. Little e D. K. Swearer (edd.) giungono
a conclusioni simili sui conflitti etnico-religiosi in Iraq, Sri Lanka e Sudan
in Religion and nationalism in Iraq: A Comparative Perspective, Cambridge, MA,
Center for the Study of World Religions, Harvard Divinity School, 2006,
«Preface», 8-9.
[11]. Per la vita del mondo: verso un ethos
sociale della Chiesa ortodossa, 27 marzo 2020, disponibile sul sito web
dell’arcidiocesi greco-ortodossa d’America.
[12]. Cfr
ivi, n. 11.
[13]. «A
declaration on the “Russian world” (Russkii Mir) teaching», 13 marzo 2022,
disponibile sul sito web Public Orthodoxy del The Orthodox Christian Studies
Center della Fordham University.
[14].
Dichiarazione su «Christians Against Christian Nationalism», disponibile
sulla pagina web di Christians Against Christian Nationalism.
[15]. Per
l’elenco dei sottoscrittori, cfr il sito web di Christians Against Christian
Nationalism.
[16]. Per
un’eccellente trattazione del significato dei confini rispetto a una
prospettiva islamica sull’intervento umanitario, cfr S. H. Hashmi, «Is There an
Islamic Ethic of Humanitarian Intervention?», in Ethics and International
Affairs 7 (1993) 55-73.
[17]. Cfr W.
Luijpen, «Justice as an Anthropological Form of Co-Existence», cap. 6, in
Phenomenology of Natural Law, Pittsburgh, PA, Duquesne University Press, 1967,
in particolare 180.
[18]. Cfr FT 181.
[19]. La frase è stata usata per la prima volta
da Francesco in EG 220, ed è apparsa ripetutamente negli scritti successivi,
specialmente in Fratelli tutti.
[20]. Cfr FT 5. Per uno utile studio della
prospettiva con cui Francesco si accosta al dialogo interreligioso, in
particolare alle implicazioni sociali e politiche di tale dialogo, cfr P. C.
Phan, «Pope Francis and Interreligious Encounter», in Theological Studies 83
(2022) 25-47.
[21]. Francesco – Ahmad Al-Tayyeb, Documento
sulla fratellanza umana per la pace e la convivenza comune, 4 febbraio 2019.
[22]. Pew Research Center, «The Changing Global
Religious Landscape», 5 aprile 2017, riferisce che nel 2015 i cristiani erano
il 31,2% della popolazione mondiale e i musulmani il 24,1%.
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