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venerdì 1 aprile 2022

PENSIERI DALL'ARSENALE


 Fratello, sorella... adesso che cosa posso fare per te?

 -         di ERNESTO OLIVERO*

 Nelle prime settimane di marzo 2022 l’Arsenale della Pace è stato 'invaso' da un impressionante fiume di bene e generosità a cui tanti semplici cittadini, famiglie, associazioni, scuole, parrocchie, aziende, istituzioni locali e di ogni Regione hanno dato vita. Centomila e centomila persone di Torino e di tutta Italia hanno portato finora oltre mille tonnellate di aiuti. Una grande conferma della nomina fatta dalla Città di Torino nel 2008: «Torino Città dell’Arsenale della Pace».

Tutti questi piccoli gesti esprimono dal basso uno straordinario desiderio di pace che diventa anche un messaggio importante per i grandi della Terra. Questa è la pace in cui crediamo, la pace che ci ha fatto conoscere Giorgio La Pira, sindaco di Firenze e grande uomo di dialogo, citando il profeta Isaia: un tempo in cui le armi saranno trasformate in strumenti di lavoro e i popoli non si eserciteranno più nell’arte della guerra. È diventato il nostro sogno, la scelta concreta di noi tutti che abbiamo vissuto l’avventura di trasformare il vecchio arsenale militare di Torino in Arsenale della Pace.

La guerra non è mai la soluzione! Lo abbiamo capito aiutando tanti Paesi in guerra, ora l’Ucraina. Dico sovente che le armi uccidono sette volte.

La prima è quando sono progettate, sottraendo risorse alla ricerca, alla scuola, alla vita.

La seconda perché a costruirle ci sono intelligenze che potrebbero dedicarsi allo sviluppo in campo scientifico, tecnologico e medico.

La terza perché le armi uccidono senza guardare in faccia nessuno, distruggono e costringono milioni di persone a lasciare le loro case.

La quarta perché sparando creano i presupposti per la vendetta.

La quinta è la più tragica perché in una guerra, militari e civili esaltati compiono qualsiasi nefandezza sulle loro vittime. La sesta perché vittime e carnefici si portano addosso il ricordo insopportabile degli orrori subiti e commessi, fino ad arrivare anche a togliersi la vita. La settima perché la guerra lascia una scia di risentimenti e spazi d’odio che ne prolunga gli effetti nefasti.

Proprio per queste ragioni non ci abitueremo mai alla guerra e continueremo a lottare per contrastarla, continueremo a lavorare per la pace e a ricercarla con tutte le nostre forze.

La pace vera è un fatto che passa dalle opere di giustizia. È un mondo che accoglie ogni uomo e donna di qualsiasi origine e religione perché tutti hanno diritto a cibo, casa, lavoro, cure, dignità, istruzione. È un mondo in cui giovani e adulti sono pronti a fare della propria onestà e rettitudine la chiave per costruire il bene comune.

Questa mentalità è diventata la nostra bussola e, lentamente ma decisamente, ha abbracciato milioni di persone che hanno messo a disposizione tempo, denaro, professionalità per asciugare una lacrima, sostenere chi è debole, senza chiedere nulla in cambio. Ora deve diventare anche una priorità educativa orientando la formazione scolastica, a partire dall’infanzia fino all’università. Formarsi e crescere nella pace significa diventare cittadini responsabili e, sin da giovani, custodi del dialogo e della dignità di ogni persona. La nostra coscienza ci spinge a bussare alla porta delle organizzazioni internazionali nate dall’aspirazione alla pace dei popoli affinché garantiscano sempre più concretamente e senza riserve la dignità e i diritti fondamentali di ogni persona, rispettino e tutelino le minoranze e promuovano l’uguaglianza, bandiscano l’uso delle armi, abbiano l’autorità e il riconoscimento morale di fermare le guerre e di rimediare alle ingiustizie attraverso la diplomazia e dove necessario mediante missioni di pace. Un impegno concreto che aiuti tutti a capire che il vero nemico è l’odio e che il nostro futuro si difende con la pace.

Se questa mentalità si fa strada nel cuore di tanti, il mondo può davvero cambiare. È la speranza che nasce anche di fronte alla tragedia più nera, la speranza che di fronte a persone in difficoltà ci porta a dire sempre: «Fratello, sorella cosa posso fare per te?».

 *Fondatore del Sermig e dell’Arsenale della Pace

 www.avvenire.it


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