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domenica 28 novembre 2021

ALZATE IL CAPO

 SIATE VIGILANTI

Ger 33,14-16; Sal 24; 1Ts 3,12-4,2; Lc 21,25-28.34-36

Commento al Vangelo - 

 L’anno liturgico inizia con l’invito a dare uno sguardo alla storia della nostra salvezza. Il testo di Geremia ci esorta alla fede, cioè alla fiducia nel compimento delle promesse di Dio che ha avuto nella storia come momento culminante la prima venuta del Figlio di Dio “nell’umiltà della nostra natura umana” (prefazio dell’Avvento I). La seconda lettura ci invita alla carità, in cui tutti i credenti siamo invitati a crescere e sovrabbondare nel tempo che ci viene dato vivere in questo mondo. Il brano evangelico parla della meta e traguardo ultimo e definitivo della storia: il ritorno del Figlio dell’uomo, che alla fine dei tempi verrà “con grande potenza e gloria”, e ci esorta ad attenderlo con speranza vigilante, senza turbamento.

 Le immagini e le parole misteriose con cui Gesù descrive il suo ritorno glorioso alla fine della storia sono da interpretare in modo adeguato. Dietro questa descrizione del futuro, che può apparire a prima vista fosca e terrorizzante, bisogna leggere l’attesa di eventi storici che segneranno per sempre la sconfitta definitiva del male e il trionfo ultimo del bene. In questa luce, il ritorno glorioso del Cristo alla fine dei tempi, è da considerarsi un evento non tanto temuto quanto piuttosto atteso, anzi addirittura invocato con speranza dagli oppressi, vittime della malvagità degli uomini, e dall'intero popolo di Dio peregrinante sulla terra. Caratteristico del racconto di san Luca è appunto la speranza nel compimento della salvezza: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”. Speranza di cui parla anche l’antifona d’ingresso della messa facendo proprie le parole del Sal 24, adoperato inoltre come salmo responsoriale: “A te, Signore, elevo l’anima mia, Dio mio, in te confido…” La nostra speranza poggia sulla fedeltà di Dio, che ha fatto “promesse di bene” (prima lettura).

 Per noi cristiani il tempo è un continuo “avvento”, un ininterrotto venire di Dio. Il Signore viene in continuazione, in ogni uomo e in ogni tempo. Perciò siamo invitati a vegliare e pregare. La vigilanza orante ci rende capaci di discernere i segni e i modi della presenza del Signore. La storia umana non è da concepirsi come un succedersi più o meno caotico di fatti senza significato, ma come il compiersi graduale del “progetto” di salvezza che Dio ha sull’uomo. In questo progetto Dio ha voluto impegnare anche la nostra libertà e quindi la nostra cooperazione. La nostra vita non sfocia nel nulla, nella delusione, ma può avere, se lo vogliamo, una conclusione positiva. Nel brano della seconda lettura, per preparare questo futuro positivo, san Paolo ci stimola a crescere e sovrabbondare nell’amore fra noi e verso tutti per rendere saldi e irreprensibili i nostri cuori e irreprensibili nella santità, “davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.”  

In questo impegno quotidiano ci è di aiuto l’eucaristia, “che a noi pellegrini sulla terra rivela il senso cristiano della vita”, ed è sostegno nel nostro cammino e guida ai beni eterni (orazione dopo la comunione), nonché “pane del nostro pellegrinaggio” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1392). “L’eucaristia è tensione verso la meta, pregustazione della gioia piena promessa da Cristo; in certo senso, essa è anticipazione del paradiso, pegno della gloria futura. Tutto, nell’eucaristia, esprime l’attesa fiduciosa, che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo” (Ecclesia de Eucharistia, n. 18).


SCUOLA. NON SOLO VIRUS


Basta con le guerre puniche

 e 

con gli scritti della maturità?

È di questi giorni la presa di posizione del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani il quale, intervenendo al Tg2 Post si è chiesto se abbia ancora senso «fare tre o quattro volte le guerre puniche nel corso di dodici anni di scuola», quando invece oggi urge «impartire un tipo di formazione un po’ più avanzata, più moderna, a cominciare dalle lingue, dal digitale. Bisogna cambiare l’assetto».

Non è la prima volta che Cingolani mostra una certa avversione per le guerre puniche. Già in passato le aveva assunte come esempio eclatante dell’arretratezza dei nostri programmi scolastici. «Cosa hanno studiato a scuola i miei figli?», si era chiesto in quell’occasione. «Le guerre puniche, come me che ho 56 anni ma che appartengo alla generazione carta e penna». Si colloca sulla stessa linea la forte spinta che in questi giorni viene esercitata sul ministro della Pubblica istruzione Bianchi per mantenere anche quest’anno la formula adottata l’anno scorso per gli esami di Stato: un’unica prova orale, a partire da un elaborato su un tema in precedenza assegnato dal Consiglio di classe allo studente e riguardante una disciplina caratterizzante l’indirizzo di studi.

Nei giorni scorsi è stata avanzata su Change.org una petizione di studenti, che ha già superato le 40.000 firme, in cui si dice: «Noi studenti maturandi chiediamo l’eliminazione delle prove scritte all’esame di maturità 2022, poiché troviamo ingiusto e infruttuoso andare a sostenere un esame scritto in quanto pleonastico, i professori curricolari nei cinque anni trascorsi, hanno avuto modo di toccare con mano e saggiare le nostre capacità. L’ulteriore stress di un esame scritto remerebbe contro un fruttuoso orale indispensabile come primo passo verso l’età adulta».

Come si vede, non si invoca lo stato di eccezionalità legato agli impedimenti che la didattica ordinaria ha avuto in questi ultimi due anni di totale o parziale lockdown, ma l’inutilità intrinseca di un esame scritto come prova di maturità. Da parte sua il ministro non si è ancora pronunziato, ma ha lasciato capire che personalmente non vede alcun problema dal punto di vista culturale: «Il giudizio di quanto fatto lo scorso anno», ha dichiarato, «è buono. I ragazzi non hanno fatto tesine raffazzonate ma hanno colto questo momento di riflessione anche sulla loro condizione degli ultimi due anni». Bisogna dire che a insorgere contro questa ipotesi sono stati invece, i sindacati della scuola, i quali hanno unanimemente rivendicato l’importanza insostituibile almeno dello scritto di italiano.

Ripetitività degli studi e crescita umana degli studenti

Sulla base di queste ultime notizie dal fronte scolastico, non sembra azzardato osservare che il virus non è la sola minaccia che incombe sulla scuola italiana. Per quanto gravi siano stati i danni prodotti dalla pandemia e dalla conseguente necessità di ricorrere alla didattica a distanza (DaD), essi sono ancora solo dei disturbi passeggeri rispetto al pericolo di una radicale svalutazione culturale ed educativa che ormai da tempo minaccia la nostra istituzione scolastica e che sembra acuirsi ultimamente sotto la pressione dell’emergenza.

In realtà la polemica contro un sistema di studi che trascuri il presente per privilegiare unilateralmente il passato (le guerre puniche) sarebbe del tutto legittima. Ma supponiamo che il ministro Cingolani sappia quanto lontano sia oggi il curriculum di qualunque corso di studi da questo modello obsoleto. Le lingue e l’informatica sono da tempo entrate a pieno titolo nella nostra scuola e contrapporle allo studio della storia antica può avere solo il significato di una denunzia dell’inutilità di quest’ultima.

Vero è che gli stessi eventi storici vengono studiati più di una volta, via via che lo studente progredisce in età e passa da un livello all'altro di istruzione. Ma questo è ovviamente dovuto al diverso grado di maturità con cui egli si accosta allo studio del passato. Ritenere superfluo riprendere un argomento al superiore, dopo averlo studiato alla scuola primaria, sarebbe come pensare che sia inutile visitare da adulto una città dopo esserci stato da bambino con i genitori.

Peraltro il problema non si pone solo per la storia. Tutto il corso di studi è segnato da una apparente ripetitività che consente, in effetti, il progressivo adeguarsi dei ragazzi alla ricchezza di significato delle discipline che studiano. Qui la questione di fondo è se valga la pena dedicare tanto tempo a queste discipline.

Ciò che è utile e ciò che è importante

Perché nessuno può negare che, come ha detto il ministro Cingolani, oggi sia più utile studiare le lingue e l’informatica che non la storia, la lingua e la letteratura greca, la filosofia e che, se vogliamo adeguarci agli standard europei e del mondo occidentale, la scuola debba sempre più dare spazio alle prime rispetto alle seconde.

La questione è se davvero ciò che è più utile sia anche più importante. Oggi siamo portati a far coincidere i due concetti: qualcosa è importante se è utile. Il denaro, per esempio. Ma siamo sicuri che sia davvero così? Basta, per dubitarne, prendere semplicemente atto che qualcosa è utile se “serve” a qualcos'altro. Ma proprio ciò implica che non valga di per sé, bensì per quello a cui è funzionale.

Utili sono i mezzi. Una cosa importante, invece, deve esserlo di per sé, come lo è un fine. Siamo in una società dove domina quella che Max Horkheimer, uno dei fondatori della Scuola di Francoforte, definiva «ragione strumentale», vale a dire una razionalità tutta volta a conseguire dei risultati pratici, a scapito della valutazione della verità e del valore intrinseco della realtà. Oggi spesso le nostre vite si modellano su questo tipo di “ragione”, che ci permette di calcolare come fare ad ottenere un risultato o a raggiungere uno scopo, ma non di valutare se quel risultato o quello scopo valgano davvero la pena di essere perseguiti.

La ragione strumentale è cieca di fronte ai fini, perché è specializzata negli strumenti ed è essa stessa solo una strumento. Vediamo tutti gli effetti di questa deriva. Essa è particolarmente evidente nel predominio della tecnica, che si occupa appunto di elaborare i metodi e le procedure per raggiungere degli scopi, facendoli prevalere sulla capacità degli esseri umani di individuare e valutare, dal punto di vista del bene e del male, questi scopi. Che la scoperta dell’energia atomica sia utile è fuori questione. Ma può esserlo per distruggere una città – come è accaduto a Hiroshima e Nagasaki – , oppure per illuminarla.

Allo stesso modo l’abilità nell’utilizzazione dell’informatica è preziosa, ma può servire indifferentemente a scopi di pace o di guerra, a migliorare la vita di tutti o alla egoistica affermazione personale. La tecnica, essendo per sua natura fondata sulla razionalità strumentale, non può dire nulla, per definizione, su quale sia l’uso migliore da fare dei suoi prodotti.

Qualcosa di analogo vale per le lingue moderne, soprattutto per l’inglese, che sono una preziosa risorsa per la comunicazione, ma possono servire a comunicare qualunque cosa, sia messaggi d’amore che minacce di morte.

Naturalmente le si può studiare, come quelle antiche, nella loro valenza logica e nelle loro espressioni letterarie, ma non è certo in questo senso che ne parlava il ministro Cingolani e che oggi molti ne caldeggiano un ruolo sempre maggiore nella scuola. Dietro la loro posizione c’è la constatazione che l’economia ha bisogno di “capitale umano” qualificato nello svolgere certi ruoli e che l’Italia è ancora indietro, rispetto ad altri Paesi, nella formazione di questo “capitale”. Di passaggio sarebbe il caso di ricordare che con quest’ultimo termine si sono sempre indicati degli strumenti per produrre – denaro, macchinari, materie prime – , cose “utili”. È così sicuro che una persona possa essere ridotta a “capitale”? Ancora una volta siamo davanti al problema di ciò che è utile e ciò che è importante. 

Un essere umano vale solo perché “serve” a qualcosa? Qualcuno obietterà che è solo un modo per intendersi. Ma il linguaggio ci plasma e a forza di dire che la scuola deve produrre “capitale umano”, invece di parlare della sua funzione educativa, stiamo finendo per credere che studiare certe discipline “inutili” (ma importantissime) sia tempo perso.

Per una scuola che aiuti i ragazzi a “nascere”

Non si tratta solo di nozioni. Le guerre puniche, come qualunque altra vicenda storica, sono da studiare come punto di partenza di una riflessione critica che colga il senso degli eventi del passato per educare alla lettura di quelli del presente. Nella scuola l’insegnare (letteralmente: l’imprimere in qualcuno una conoscenza, un’abilità) è fondamentale, ma deve sempre essere finalizzato all’educare (dal latino e-ducere: condurre fuori, metafora dell’opera dell’ostetrico durante il parto).

La scuola dovrebbe educare a pensare e, attraverso questa riflessione, ad instaurare un corretto rapporto con se stessi., paragonabile alla nascita E su questo terreno il nostro sistema scolastico ha perduto negli anni molta della sua incisività.
Lo sbandamento umano a cui i nostri ragazzi sono in larga misura soggetti – non certo solo per colpa della scuola, ma senza che essa riesca ad arginarlo – si manifesta in molti modi, ma è spietatamente evidenziato dalla percentuale di neet («Neither in Employment or in Education or Training»), i giovani che non studiano e neppure lavorano, che nel nostro Paese, nella fascia tra i 18 e i 24 anni, nel 2020 è stata del 24,8%!

Qualcuno si chiederà che cosa c’entri in tutto questo l’eventuale abolizione dello scritto di italiano. La scrittura ha una funzione fondamentale nella formazione di una capacità di oggettivare i problemi, in una certa misura, anche il proprio mondo interiore. In un clima culturale che esalta l’emotività fino ai limiti dell’irrazionalità, è importante che si impari a fissare in un discorso organico sentimenti e pensieri per imparare a guardarli, per così dire, dal di fuori.

Altrimenti capita che la sola esperienza di scrittura sia quella che si realizza sui social, dove essa diventa espressiva di stati d’animo incontrollati e nebulosi. L’esame non è solo lo sbocco degli studi, ne è anche il punto di riferimento durante tutto il loro svolgimento. Un esame che include la prova scritta esige che negli anni di formazione gli studenti si esercitino a scrivere, per raccontare se stessi, le cose che studiano, il mondo.

Sopravviverà la nostra scuola al virus della sua “modernizzazione”? Dipende da tutti noi. Sarebbe ora che l’opinione pubblica si interessasse della sua sorte un po’ di più di quanto abbia fatto in questi ultimi anni. E che, invece di andare a dare pugni sul naso ai docenti, i genitori stringessero con loro un patto per aiutare i propri figli a nascere.

 

www.tuttavia.eu


 

 

venerdì 26 novembre 2021

CEI - CAMMINARE INSIEME

 «Come si realizza oggi nella mia Chiesa locale o nella realtà ecclesiale a me affidata quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è propria? Come si realizza oggi nella nostra collegialità episcopale quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata?». Sono le due domande ispirate dall’interrogativo fondamentale del Sinodo universale che hanno fatto da sfondo ai lavori della 75ª Assemblea Generale Straordinaria della Conferenza Episcopale Italiana, svoltasi a Roma (presso l’Ergife Palace Hotel) dal 22 al 25 novembre 2021. Sotto la guida del Cardinale Presidente Gualtiero Bassetti, l’assise è stata aperta da un incontro riservato con Papa Francesco.

L’apprezzamento con cui è stata accolta l’Introduzione del Presidente della CEI ha trovato conferma negli interventi e negli approfondimenti con cui i Pastori hanno rimarcato la preoccupazione per una situazione sociale e ambientale che rischia di penalizzare soprattutto i giovani e i più deboli, oltre che l’invito a fare del Cammino sinodale un’occasione di incontro e di ascolto di tutti, in particolare di quanti vivono con difficoltà l’appartenenza ecclesiale o sono disillusi. In questo senso la divisione dei Vescovi in “gruppi sinodali” ha offerto la possibilità di una condivisione fraterna nella prospettiva del servizio pastorale nella propria comunità e di una più ampia collegialità. È stato un vero e proprio esercizio di sinodalità praticata e vissuta nella comunione del ministero episcopale, che ha permesso di cogliere in profondità il valore della narrazione delle proprie esperienze: il Signore è presente nel vissuto personale e comunitario.

Tra i momenti significativi l’intervento del Cardinale Mario Grech, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, che ha illustrato il percorso sinodale che porterà alla celebrazione del Sinodo dei Vescovi nell’ottobre 2023.

Distinte comunicazioni hanno riguardato la riforma del libro VI del Codice Diritto Canonico, l’adeguamento degli Orientamenti e delle norme per i seminari della CEI alla luce della Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, il Sovvenire, i 50 anni di Caritas Italiana e i 100 anni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Hanno preso parte ai lavori il Nunzio Apostolico in Italia, Mons. Emil Paul Tscherrig, 212 membri e 16 Vescovi emeriti, alcuni rappresentanti di presbiteri, religiosi e religiose, degli Istituti secolari e della Consulta Nazionale delle Aggregazioni laicali.

A margine dei lavori assembleari si è riunito il Consiglio Permanente, che ha approvato il messaggio della Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo per la 33ª Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei (17 gennaio 2022); ha riconosciuto a livello nazionale l’Associazione italiana dei Professori di Storia della Chiesa quale Associazione privata di fedeli, approvandone lo statuto; ha ricevuto un aggiornamento sul lavoro seguito alla pubblicazione delle tre Istruzioni della Congregazione per l’Educazione Cattolica sull'affiliazione, l’aggregazione e l’incorporazione degli Istituti di studi superiori (8 dicembre 2020). Ha infine provveduto ad alcune nomine.

In dialogo con Papa Francesco

L’incontro riservato con Papa Francesco ha aperto i lavori della 75ª Assemblea Generale Straordinaria che si è svolta a Roma, dal 22 al 25 novembre. Il dialogo, durato poco meno di due ore, ha riguardato lo stile con cui abitare questo tempo, plasmato da difficoltà e, allo stesso tempo, da tante opportunità aperte dal percorso sinodale. Le sfide, sempre nuove, interpellano la coscienza della Chiesa e chiedono una maggiore consapevolezza della missione, del servizio pastorale e della corresponsabilità di tutti i battezzati. La prossimità, la cura, l’ascolto e l’accoglienza sono i tratti che Papa Francesco è tornato a indicare e che devono essere il biglietto da visita delle comunità cristiane. Tratti che devono trasparire in primo luogo dal vissuto dei Pastori, chiamati a farsi imitatori del Buon Pastore raffigurato nel cartoncino con le “Beatitudini del Vescovo” consegnato dal Papa a tutti i Vescovi presenti.

Ascolto reciproco e collegiale

L’Assemblea Generale Straordinaria ha avuto come asse portante la riflessione sul Cammino sinodale, che si è concretizzata in un vero esercizio di sinodalità tra i Vescovi. Molto tempo infatti è stato dedicato ai lavori nei “gruppi sinodali” che hanno offerto la possibilità di una condivisione fraterna nella prospettiva del servizio pastorale nella propria comunità e di una più ampia collegialità. È stata anche questa un’opportunità per i Pastori di ascoltarsi e di confrontarsi sui percorsi da sviluppare sul territorio, in armonia con quanto richiesto dalla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi e in linea con il tracciato quinquennale prospettato dalla CEI.

È emersa con forza l’esigenza di abbandonare ogni autoreferenzialità, favorendo il coinvolgimento dei laici e l’ascolto attento di tutti battezzati, specialmente di coloro che non frequentano o hanno sopito il fuoco del Battesimo. Riprendendo l’invito finale contenuto nell’Introduzione del Cardinale Presidente, i Vescovi hanno evidenziato l’importanza di aprire il cuore e l’orecchio a quanti, per diversi motivi, sono rimasti ai margini della vita ecclesiale. Di fronte alle ferite che le persone portano sulla loro pelle, la Chiesa è chiamata a mostrare il suo volto misericordioso. Ma per fare questo, è necessario mettersi in cammino, condividere le fatiche del viaggio, fare silenzio per dare voce a ciò che il “Popolo di Dio” ha da dire. Quello attuale, è stato ribadito, è il tempo del coraggio e della profezia, fondamentali per colmare quella distanza che separa il Vangelo dalla vita e per riorganizzare la speranza, in una società che corre veloce lasciando spesso indietro i più deboli, che subisce il fascino mutevole delle mode, che parla linguaggi nuovi e fa dell’individuo il suo centro. La sfida affidataci dal Papa, hanno ricordato i Vescovi, è quella di un ascolto diffuso, di aprire cioè la consultazione di questo primo tratto del Cammino sinodale anche al di fuori; certo, non tutti parteciperanno, ma tutti devono sentirsi invitati. Se ciascun operatore pastorale, obbedendo alla creatività dello Spirito, si farà moderatore di un gruppo sinodale sul territorio, nei diversi ambienti in cui le persone vivono, s’incontrano, si curano, studiano e lavorano, sarà davvero un’esperienza ampia di sinodalità.

Cammino sinodale e conversione pastorale

Il Cammino sinodale – è l’auspicio dei Presuli – deve diventare occasione propizia per una conversione personale e comunitaria, conditio sine qua non per ridare linfa all’annuncio e vigore a un tessuto ecclesiale e sociale sfibrato e vecchio. Si tratta di impostare un nuovo tipo di ascolto, inventando qualcosa di originale, che prima normalmente non esisteva o esisteva sporadicamente, dando spazio alla creatività di ciascuno, attivando percorsi che puntino alla comunione: con il povero, con lo straniero, con chi è disorientato, con chi cova rabbia, con chi non crede o ha perso la fede, con chi ha fede solo nella scienza, con chi si sente lontano, con chi professa un’altra religione o appartiene ad un’altra tradizione cristiana. Allo stesso modo, in linea con quanto affermato dal Cardinale Presidente, i Pastori hanno convenuto sull’esigenza di non trascurare l’ascolto dei presbitèri, degli organismi di partecipazione, dei gruppi degli operatori pastorali (catechisti, ministri, operatori della carità, animatori liturgici, associazioni e movimenti). Se da una parte facili entusiasmi o delusioni passate possono ostacolare il cammino, dall’altra è di sostegno la memoria grata. Il Cammino sinodale delle Chiese in Italia, è stato evidenziato, non parte da zero, ma è un percorso di completamento della ricezione dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II: la riflessione degli ultimi decenni e i documenti conciliari costituiscono un faro che continua ad illuminare i primi passi compiuti e quelli che si faranno. In queste ultime settimane, hanno raccontato i Vescovi, si è sprigionata dalle Chiese locali un’eccezionale ricchezza di iniziative e spunti per il Cammino sinodale. Ne sono testimonianza i siti diocesani. L’avvio di questo percorso è stato per tutti un’esperienza di Chiesa in cammino. Già dall’Assemblea del maggio scorso, ma ancora di più dall’inizio dell’autunno, i Vescovi – è stato sottolineato – sono partiti insieme, nella concordia, cioè nella condivisione del cuore, in una specie di sinfonia che, nella diversità di toni e strumenti, sta creando una bella armonia. Molti operatori pastorali stanno cogliendo l’importanza di questo evento sinodale. Le perplessità ci possono anche essere, ma sono utili e necessarie per muoversi nel modo migliore e tenere alta la guardia sulla qualità del Cammino sinodale. Nel momento di riflessione per l’inizio del percorso sinodale, lo scorso 9 ottobre, Papa Francesco – ricordando le parole di padre Congar – ha auspicato “non un’altra Chiesa, ma una Chiesa diversa”. E questa è la sfida: una Chiesa più evangelica, meglio innestata nella vita della gente.

Accanto ai più deboli

Grande risonanza ha trovato, nell’Assemblea, l’invito del Cardinale Presidente a compiere uno sforzo ulteriore per contenere la diffusione del virus COVID-19. Piena sintonia è stata espressa anche rispetto alla preoccupazione per il continuo verificarsi di “soprusi e abusi nei confronti della persona umana”. L’inaccettabile dramma dei migranti che si consuma sia sulle rotte marittime sia su quelle terrestri, alle porte dell’Europa e ai confini tra gli Stati, scuote le coscienze e invoca una risposta ispirata ai quattro verbi indicati da Papa Francesco: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Avere cura degli ultimi è l’unica strada per costruire un mondo di pace e di benessere comune. Per la Chiesa che è in Italia – è stato detto – stare accanto ai più deboli è una scelta che si rinnova ogni giorno nella verità e nella carità. In questo senso viene espressa anche profonda vicinanza e condivisione a quanti si trovano in condizioni di fragilità, ricordando che la sacralità di ogni vita umana non viene meno neppure quando la malattia e la sofferenza sembrano intaccarne il valore. Avere compassione di un malato significa sostenerlo con terapie adeguate e con affetto, restituendogli la speranza nel Cristo medico, che guarisce e salva. Perciò, la Presidenza della CEI rilancia la richiesta di applicare, in modo uniforme e diffuso, la legge sulle cure palliative e la terapia del dolore, tecniche capaci di ridare dignità alla vita dei malati, anche di quelli inguaribili o di quelli che sembrano aver smarrito il senso del loro stare al mondo.

All’Assemblea è stato anche offerto dal Presidente del Servizio nazionale per la Tutela dei Minori, S.E. Mons. Lorenzo Ghizzoni, Arcivescovo di Ravenna-Cervia, un aggiornamento circa le iniziative e le strutture finora messe in campo per contrastare la piaga degli abusi sui minori e le persone vulnerabili, dentro e fuori dalla Chiesa, dopo l’emanazione delle Linee Guida del giugno 2019. Queste hanno senz’altro segnato una svolta nel tipo di approccio a questo gravissimo fenomeno. Ne sono testimonianza la cura educativa svolta nelle comunità ecclesiali (seminari, istituti di formazione, parrocchie, oratori, consultori, associazioni, movimenti, etc.) per l’educazione alla relazione e alla maturità affettiva e sessuale; la creazione della rete dei Referenti nei Servizi per la Tutela dei Minori in tutte le Diocesi italiane e di numerosi Centri di ascolto per la raccolta di denunce e segnalazioni; la pubblicazione di tre Sussidi per formare gli operatori pastorali e adottare misure per contrastare i rischi e rendere più sicuri gli ambienti; la promozione di numerosi incontri di informazione e formazione a favore del clero e dei religiosi, dei catechisti e laici educatori e allenatori e degli operatori della Caritas; la celebrazione della Giornata nazionale di preghiera del 18 novembre, data scelta dall’Europa per combattere il fenomeno e sostenere le vittime. Su questa linea verranno compiuti ulteriori passi per implementare e rafforzare l’azione a tutela dei minori e delle persone vulnerabili. La Chiesa, hanno ribadito i Vescovi, vuole essere sempre accanto alle vittime, a tutte le vittime, alle quali intende continuare a offrire ascolto, sostegno e vicinanza, non dimenticando mai la sofferenza che hanno provato.

Varie

Distinte comunicazioni hanno riguardato la riforma del libro VI del Codice Diritto Canonico che entrerà in vigore il prossimo 8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione; l’adeguamento degli Orientamenti e delle norme per i seminari della CEI alla luce della Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, di cui seguiranno ulteriori aggiornamenti; i frutti della 49ª Settimana Sociale, vissuta a Taranto dal 21 al 24 ottobre 2021; il servizio del Sovvenire, i 50 anni di Caritas Italiana e i 100 anni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Un’informazione è stata dedicata inoltre all’attuazione del Motu Proprio Spiritus Domini, con il quale Papa Francesco ha stabilito che i ministeri del Lettorato e dell’Accolitato siano aperti anche alle donne, e del Motu Proprio Antiquum Ministerium, con il quale si istituisce il ministero del Catechista. Per procedere alla loro istituzione, è necessario attendere, come già espresso all’Assemblea Generale di maggio, le indicazioni della Congregazione del Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti che dovrebbe pubblicare il nuovo rito di istituzione del ministero laicale del catechista e successivamente le modifiche del rito per l’istituzione di accoliti e lettori. Congiuntamente alla pubblicazione di tali documenti, il proseguimento del lavoro di riflessione e discernimento da parte della Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede, l’Annuncio e la Catechesi e della Commissione Episcopale per la Liturgia sarà prezioso per rispondere in maniera adeguata alle richieste contenute nelle Lettere Apostoliche, alla luce dei criteri forniti dalla Congregazione del Culto Divino e la Disciplina dei sacramenti. Per questo motivo è necessario attendere perché ogni azione locale si collochi nel solco di questo percorso.

Il Consiglio Permanente, riunitosi a margine dei lavori assembleari, ha approvato il messaggio della Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo per la 33ª Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei (17 gennaio 2022), dal titolo “Realizzerò la mia buona promessa” (Ger 29,10); ha riconosciuto a livello nazionale l’Associazione italiana dei Professori di Storia della Chiesa quale Associazione privata di fedeli, approvandone lo statuto; ha ricevuto un aggiornamento sul lavoro seguito alla pubblicazione delle tre Istruzioni della Congregazione per l’Educazione Cattolica sull’affiliazione, l’aggregazione e l’incorporazione degli Istituti di studi superiori (8 dicembre 2020). Ha infine provveduto ad alcune nomine.

giovedì 25 novembre 2021

NO ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE


Il Papa: la violenza sulle donne atto di vigliaccheria e degrado per tutta l'umanità

La Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne che ricorre ogni 25 novembre, è stata istituita dall'Onu nel 1999. Da allora, i governi sono tenuti a organizzare, in questa data, attività per sensibilizzare l'opinione pubblica. Francesco in un tweet ricorda che le donne vanno protette. La testimonianza di Elisabetta Giordano, presidente di "TraLeDonne"

-Adriana Masotti - Città del Vaticano

Nell'odierna Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne indetta dall'Onu, il Papa dedica un tweet a questio dramma che avviene giornalmente in tutto il mondo. "Le varie forme di maltrattamento che subiscono molte donne - scrive Francesco sull'account '@pontifex' - sono una vigliaccheria e un degrado per gli uomini e per tutta l’umanità. Non possiamo guardare dall’altra parte. Le donne vittime di violenza - conclude il Papa - devono essere protette dalla società".

La casa il luogo dove più avvengono violenze alle donne

Non è facile districarsi tra i numeri quando si parla di violenza sulle donne. I dati fanno quasi sempre riferimento ai femminicidi che sono solo il suo apice, l’ultima espressione, quella che fa notizia, ma certo non l’unica. Generalmente il femminicidio cioè l’uccisione di una donna, avviene alla fine di un lungo percorso che vede abusi fisici o psicologici crescere nel tempo in frequenza e intensità su una moglie o ex moglie, una fidanzata o ex fidanzata o ancora, una convivente. Nella grande maggioranza è infatti proprio all’interno delle mura domestiche o tra la cerchia familiare che queste violenze avvengono. Ma, appunto, non è facile quantificare quante donne subiscano tali abusi. Un indicatore parziale possono essere le denunce fatte alla polizia e le chiamate al numero antiviolenza 1522, istituito in Italia nel 2006 dal Dipartimento per le Pari Opportunità, dove operatrici specializzate raccolgono le richieste di aiuto.

103 le donne uccise dall'inizio dell'anno

Secondo il report periodico elaborato dal Servizio Analisi Criminale della Polizia, nel 2020 più di 49 donne ogni 100.000 si sono rivolte al numero verde 1522 perché vittime di violenza o stalking: nel 2019 la cifra era di circa 27. Un aumento che dimostra l’incidenza della pandemia sul fenomeno, a causa dei lockdown e delle altre limitazioni come perdita del lavoro e dei contatti sociali. Lo stesso rapporto dice che, dall’inizio di quest’anno e fino al 15 agosto 2021, sono state 69 le donne uccise, di cui 60 in ambito famigliare o comunque affettivo; di queste, 43 hanno trovato la morte per mano del partner o ex partner. A fine settembre, però, il numero era già aumentato a 75 vittime, fino ad arrivare a 103 secondo i dati del Viminale aggiornati al 14 novembre. Di queste, 87 sono state uccise in famiglia. Lombardia, Emilia-Romagna, Sicilia e Lazio le regioni più interessate. 

Nell'amore non c'è spazio per la violenza 

Il fenomeno della violenza tra un uomo e una donna legati da qualche vincolo affettivo, in un passato non tanto lontano è stato spesso accettato o tollerato. Lentamente si sta facendo strada l’idea, che dovrebbe essere scontata, che l’amore non ha nulla a che fare con la prevaricazione di una persona sull’altra o con il desiderio di potere e di possesso. La Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne fissata dall’Onu ogni 25 novembre, lo vuol ribadire attraverso iniziative culturali, tavole rotonde, incontri, spettacoli teatrali, che intendono sensibilizzare l’opinione pubblica a cominciare dalle donne stesse, e interpellare politici, magistrati, poliziotti, strutture sanitarie, scuole. La data scelta ricorda la tortura e l'uccisione di tre sorelle, attiviste politiche, Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, avvenuta nel 1960 nella Repubblica Dominicana, per ordine del dittatore Rafael Leónidas Trujillo. Un episodio che ha sconvolto quel Paese e ha mobilitato le coscienze a livello internazionale.

Amoris Laetitia: inevitabile, in alcuni casi, separarsi

Molto spesso Papa Francesco ha condannato la violenza e la strumentalizzazione della donna, richiamando la sua dignità al pari dell’uomo e il suo diritto a contare nella Chiesa e nella società. E’ interessante quanto si legge nel capitolo 6 dell'enciclica Amoris Laetitia, dedicata alla bellezza del matrimonio. All’articolo n. 241 si legge: “In alcuni casi, la considerazione della propria dignità e del bene dei figli impone di porre un limite fermo alle pretese eccessive dell’altro, a una grande ingiustizia, alla violenza o a una mancanza di rispetto diventata cronica. Bisogna riconoscere che ci sono casi in cui la separazione è inevitabile. A volte può diventare persino moralmente necessaria, quando appunto si tratta di sottrarre il coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi causate dalla prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza".

"TraLeDonne": accanto alle vittime con gli strumenti giusti

Papa Francesco precisa che la separazione “deve essere considerata come estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato vano”, ma offre alle donne credenti una possibilità che permette loro e spesso ai loro figli di cominciare una nuova vita. Una possibilità di cui non c’è ancora sufficiente consapevolezza. Ne è convinta Elisabetta Giordano, presidente dell’Associazione "TraLeDonne" che per il 29 novembre ha promosso un incontro pubblico con la partecipazione, tra gli altri, di padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio per la Famiglia della CEI e che, ai nostri microfoni, racconta che cosa c'è all'origine della sua associazione:

Elisabetta Giordano, “TraLeDonne” è una realtà associativa di ispirazione cristiana. E’ nata di recente, ma ha già all’attivo diverse iniziative. Lei ne è la fondatrice. Perché ha sentito la spinta a costituire un’associazione per le donne vittime di violenza?

L'idea è venuta dalla vita, dall'esperienza personale e dalla conoscenza profonda, negli ultimi 23 anni, di diverse storie di donne che vivono o hanno vissuto una grande sofferenza dovuta al non amore, alla violenza psicologica o fisica subita, che mi hanno spalancato il cuore sulla situazione reale. Sappiamo che in Europa è vittima di violenza una donna su tre, e non parliamo neanche dell'Africa o dell'Asia, dove la condizione delle donne è ancora più drammatica. All'origine c'è, dunque, un'esperienza dolorosa illuminata però dalla Parola di Dio. Un giorno nel 2019, mentre pregavo mi è risuonata dentro in modo nuovo la frase dell'Ave Maria: tu sei benedetta tra le donne. E' stata una scoperta assoluta: Maria è stata posta dall'amore di Dio in modo speciale in mezzo a noi donne. Ed è risultato nuovo in me, in quel periodo, anche il testo della Genesi quando la donna dice: "il serpente mi ha ingannata". La donna non sta mentendo e per questo Dio  si rivolge al serpente chiamandolo maledetto e dicendo: "Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua discendenza e la sua". Quel giorno ho avvertito lo sguardo di stima e di fiducia con cui Dio considera le donne: nelle loro mani, nelle nostre mani, è stata posta la vittoria sul male in tutte le sue forme. Praticamente è crollato un castello che era anche dentro di me, fatto di giudizi, di pregiudizi costruiti nei secoli che hanno di fatto capovolto l'immagine della donna e la sua altissima dignità.

"TraLeDonne", insieme ad altre iniziative, ha avviato uno sportello di primo ascolto per le donne vittime di abusi. Pensando alle storie ascoltate, che idea si è fatta di questo fenomeno? Quali sono le sue radici?

Sì, questo spazio di ascolto e di orientamento è nato perché abbiamo capito che la violenza è la punta di un iceberg la cui radice è una cultura, una cultura millenaria, purtroppo ancora persistente, segnata dall'egoismo, dall'arroganza di chi vuole esercitare un potere, una supremazia - in questo caso di alcuni uomini su alcune donne - tanto da non permettere alla donna di esprimersi. In questa cultura vecchia la donna è vista come possesso, qualcosa da sottomettere, vincere, pungolare, ammaestrare e plasmare a seconda dei propri gusti. Sulle donne questi uomini scaricano la propria rabbia, l'ansia, la cattiva educazione, e sulle donne impatta inesorabilmente una coscienza umana non formata, una formazione etica non sviluppata. E' per questa cultura che le famiglie diventano carceri in cui l'aria è mortifera. Ma per gettare i semi di una cultura nuova non si può essere soli. Ecco perché l'associazione, lo spazio d'ascolto e il nostro collegamento con le reti territoriali. 

Quali sono le richieste di una vittima di abusi e anche le resistenze nel momento in cui emerge la drammatica situazione che sta vivendo?

Le resistenze ci sono perché le donne di solito non vogliono accettare di veder crollare il proprio progetto di vita e di felicità per se stesse ma anche per il partner e per i propri figli. Quindi c'è tutto un percorso di consapevolezza da fare che richiede un accompagnamento. Intanto di una spalla su cui piangere, poi di qualcuno che le creda, un accompagnamento per trovare la forza di uscire dalla spirale della violenza. La donna poi ha paura che il partner le porti via i figli o che possa far male ai figli, ecc...

 Lei insiste molto sulla questione della formazione delle operatrici e gli operatori che accompagnano le donne ferite, perché è così importante?

La formazione è indispensabile, ma non soltanto per noi che siamo operatrici, piccole operatrici, ma è necessaria e indispensabile per i professionisti che sono in questo campo, per gli psicoterapeuti, gli avvocati, i magistrati, gli assistenti sociali, i docenti. Bisogna sapere, ad esempio, che la Convenzione internazionale di Istanbul sancisce che nel caso di violenza in una coppia, non è utile per la coppia praticare la mediazione familiare, perchè prima di un percorso di terapia di coppia, la violenza va fermata. Un altro esempio: bisogna sapere che il Codice rosso, la nostra legge della Repubblica n.69 del 2019,  ha messo sullo stesso piano, dal punto di vista delle indagini, i reati di violenza contro le donne e i reati di mafia. Dunque, quando polizia e carabinieri ricevono una denuncia, devono trattare una denuncia di violenza di genere come tratterebbero una denuncia di mafia. 

A suo parere anche nella Chiesa c'è bisogno di più formazione per farsi prossima a queste situazioni difficili?

Certo, perchè siamo tutti corpo sociale e per sacerdoti, religiose e noi laici che lavoriamo in ambito famigliare, è valido tutto quello che dicevo prima. Pensiamo quanto possono contare una predica da un altare, il sacramento della Riconciliazione e la parrocchia, un movimento ecclesiale sono proprio strutture di prossimità territoriali che possomo intercettare la sofferenza della violenza e per primi possono contribuire a prevenire e a orientare una donna nella giusta direzione. Non devono necessariamente consigliare la donna di "stringere i denti" e continuare magari a perdonare, perché ci sono delle priorità e la vita della donna in quanto essere umano, è sacra, come i figli che non devono ammalarsi psichicamente a causa di quello che vedono e vivono in un clima famigliare violento. 

L'Amoris Laetitia si preoccupa di indicare le vie per un accompagnamento delle donne vittime di violenza domestica. E nell'articolo 241 si parla della separazione come soluzione estrema, ma possibile. Padre Vianelli ne offrirà una lettura nell'incontro del 29 novembre. Perché per lei è importante ricordarlo e comprendere bene quelle parole?

Il motivo è proprio quello che stavo dicendo riguardo alla formazione. Perché l'Amoris Laetitia la possiamo anche vedere come uno strumento di formazione. L'articolo n.241 si apre dicendo che è necessario "porre un limite fermo alle pretese eccessive dell’altro". "Bisogna riconoscere - continua - che ci sono casi in cui la separazione è inevitabile. A volte può diventare persino moralmente necessaria". Questo è formativo ed è anche liberante, perché non si può ripetere sempre che noi dobbiamo perdonare, dobbiamo coprire... Attenzione: certo noi dobbiamo perdonare e coprire, però con un limite. Quando abbiamo fatto ogni ragionevole tentativo e tutto si è dimostrato vano, allora ci vuole il limite. E c'è un termine chiave in questo articolo che dice "un limite fermo a una grande ingiustizia". Vuol dire che noi siamo uomini e donne che vogliono la giustizia che è la prima esigenza ed espressione della carità, verifica e rende credibile la carità. Non c'è qui conflitto tra giustizia e carità, ma tutto questo va capito. 

 Vatican News

 

 

mercoledì 24 novembre 2021

MIGRANTI


Cogli occhi spenti, con le guance cave,
Pallidi, in atto addolorato e grave,
Sorreggendo le donne affrante e smorte,
Ascendono la nave
Come s’ascende il palco de la morte.

E ognun sul petto trepido si serra
Tutto quel che possiede su la terra,
Altri un misero involto, altri un patito
Bimbo, che gli s’afferra
Al collo, dalle immense acque atterrito.

Salgono in lunga fila, umili e muti,
E sopra i volti appar bruni e sparuti
Umido ancora il desolato affanno
Degli estremi saluti
Dati ai monti che più non rivedranno.


Salgono, e ognuno la pupilla mesta
Sulla ricca e gentil Genova arresta,
Intento in atto di stupor profondo,
Come sopra una festa
Fisserebbe lo sguardo un moribondo.

Ammonticchiati là come giumenti
Sulla gelida prua morsa dai venti,
Migrano a terre inospiti e lontane;
Laceri e macilenti,
Varcano i mari per cercar del pane.

Traditi da un mercante menzognero,
Vanno, oggetto di scherno allo straniero,
Bestie da soma, dispregiati iloti,
Carne da cimitero,
Vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti.

Vanno, ignari di tutto, ove li porta
La fame, in terre ove altra gente è morta;
Come il pezzente cieco o vagabondo
Erra di porta in porta,
Essi così vanno di mondo in mondo.

[p. 229 modifica]


Vanno coi figli come un gran tesoro
Celando in petto una moneta d’oro,
Frutto segreto d’infiniti stenti,
E le donne con loro,
Istupidite martiri piangenti.

Pur nell’angoscia di quell’ultim’ora
Il suol che li rifiuta amano ancora;
L’amano ancora il maledetto suolo
Che i figli suoi divora,
Dove sudano mille e campa un solo.

E li han nel core in quei solenni istanti
I bei clivi di allegre acque sonanti,
E le chiesette candide, e i pacati
Laghi cinti di piante,
E i villaggi tranquilli ove son nati!

E ognuno forse sprigionando un grido,
Se lo potesse, tornerebbe al lido;
Tornerebbe a morir sopra i nativi
Monti, nel triste nido
Dove piangono i suoi vecchi malvivi.


Addio, poveri vecchi! In men d’un anno
Rosi dalla miseria e dall’affanno,
Forse morrete là senza compianto,
E i figli nol sapranno,
E andrete ignudi e soli al camposanto.

Poveri vecchi, addio! Forse a quest’ora
Dai muti clivi che il tramonto indora
La man levate i figli a benedire....
Benediteli ancora:
Tutti vanno a soffrir, molti a morire.

Ecco il naviglio maestoso e lento
Salpa, Genova gira, alita il vento,
Sul vago lido si distende un velo,
E il drappello sgomento
Solleva un grido desolato al cielo.

Chi al lido che dispar tende le braccia.
Chi nell’involto suo china la faccia,
Chi versando un’amara onda dagli occhi
La sua compagna abbraccia,
Chi supplicando Iddio piega i ginocchi.


E il naviglio s’affretta, e il giorno muore,
E un suon di pianti e d’urli di dolore
Vagamente confuso al suon dell’onda
Viene a morir nel core
De la folla che guarda da la sponda.

Addio, fratelli! Addio, turba dolente!
Vi sia pietoso il cielo e il mar clemente,
V’allieti il sole il misero viaggio;
Addio, povera gente,

Datevi pace e fatevi coraggio.
Stringete il nodo dei fraterni affetti.
Riparate dal freddo i fanciulletti ,
Dividetevi i cenci, i soldi, il pane,
Sfidate uniti e stretti
L’imperversar de le sciagure umane.

E Iddio vi faccia rivarcar quei mari,
E tornare ai villaggi umili e cari,
E ritrovare ancor de le deserte
Case sui limitari
I vostri vecchi con le braccia aperte.

Edmondo De Amicis