Il Papa: la violenza sulle donne atto di vigliaccheria e degrado per tutta l'umanità
La Giornata
internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne che ricorre
ogni 25 novembre, è stata istituita dall'Onu nel 1999. Da allora, i governi
sono tenuti a organizzare, in questa data, attività per sensibilizzare
l'opinione pubblica. Francesco in un tweet ricorda che le donne vanno protette.
La testimonianza di Elisabetta Giordano, presidente di "TraLeDonne"
-Adriana Masotti - Città del Vaticano
Nell'odierna Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza
contro le donne indetta dall'Onu, il Papa dedica un tweet a questio dramma che
avviene giornalmente in tutto il mondo. "Le varie forme di maltrattamento
che subiscono molte donne - scrive Francesco sull'account '@pontifex' - sono
una vigliaccheria e un degrado per gli uomini e per tutta l’umanità. Non
possiamo guardare dall’altra parte. Le donne vittime di violenza - conclude il
Papa - devono essere protette dalla società".
La casa il luogo dove più avvengono violenze alle donne
Non è facile districarsi tra i numeri quando si parla di violenza sulle
donne. I dati fanno quasi sempre riferimento ai femminicidi che sono solo il
suo apice, l’ultima espressione, quella che fa notizia, ma certo non l’unica.
Generalmente il femminicidio cioè l’uccisione di una donna, avviene alla fine
di un lungo percorso che vede abusi fisici o psicologici crescere nel tempo in
frequenza e intensità su una moglie o ex moglie, una fidanzata o ex fidanzata o
ancora, una convivente. Nella grande maggioranza è infatti proprio all’interno
delle mura domestiche o tra la cerchia familiare che queste violenze avvengono.
Ma, appunto, non è facile quantificare quante donne subiscano tali abusi. Un
indicatore parziale possono essere le denunce fatte alla polizia e le chiamate
al numero antiviolenza 1522, istituito in Italia nel 2006 dal Dipartimento per
le Pari Opportunità, dove operatrici specializzate raccolgono le richieste di
aiuto.
103 le donne uccise dall'inizio dell'anno
Secondo il report periodico elaborato dal Servizio Analisi Criminale della
Polizia, nel 2020 più di 49 donne ogni 100.000 si sono rivolte al numero verde
1522 perché vittime di violenza o stalking: nel 2019 la cifra era di circa 27.
Un aumento che dimostra l’incidenza della pandemia sul fenomeno, a causa dei
lockdown e delle altre limitazioni come perdita del lavoro e dei contatti
sociali. Lo stesso rapporto dice che, dall’inizio di quest’anno e fino al 15
agosto 2021, sono state 69 le donne uccise, di cui 60 in ambito famigliare o
comunque affettivo; di queste, 43 hanno trovato la morte per mano del partner o
ex partner. A fine settembre, però, il numero era già aumentato a 75 vittime,
fino ad arrivare a 103 secondo i dati del Viminale aggiornati al 14 novembre.
Di queste, 87 sono state uccise in famiglia. Lombardia, Emilia-Romagna, Sicilia
e Lazio le regioni più interessate.
Nell'amore non c'è spazio per la violenza
Il fenomeno della violenza tra un uomo e una donna legati da qualche
vincolo affettivo, in un passato non tanto lontano è stato spesso accettato o
tollerato. Lentamente si sta facendo strada l’idea, che dovrebbe essere
scontata, che l’amore non ha nulla a che fare con la prevaricazione di una
persona sull’altra o con il desiderio di potere e di possesso. La Giornata
internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne fissata
dall’Onu ogni 25 novembre, lo vuol ribadire attraverso iniziative culturali,
tavole rotonde, incontri, spettacoli teatrali, che intendono sensibilizzare
l’opinione pubblica a cominciare dalle donne stesse, e interpellare politici,
magistrati, poliziotti, strutture sanitarie, scuole. La data scelta ricorda la
tortura e l'uccisione di tre sorelle, attiviste politiche, Patria, Minerva e
Maria Teresa Mirabal, avvenuta nel 1960 nella Repubblica Dominicana, per ordine
del dittatore Rafael Leónidas Trujillo. Un episodio che ha sconvolto quel Paese
e ha mobilitato le coscienze a livello internazionale.
Amoris Laetitia: inevitabile, in alcuni casi, separarsi
Molto spesso Papa Francesco ha condannato la
violenza e la strumentalizzazione della donna, richiamando la
sua dignità al pari dell’uomo e il suo diritto a contare nella Chiesa e nella
società. E’ interessante quanto si legge nel capitolo 6 dell'enciclica Amoris Laetitia,
dedicata alla bellezza del matrimonio. All’articolo n. 241 si legge: “In alcuni
casi, la considerazione della propria dignità e del bene dei figli impone di
porre un limite fermo alle pretese eccessive dell’altro, a una grande
ingiustizia, alla violenza o a una mancanza di rispetto diventata cronica.
Bisogna riconoscere che ci sono casi in cui la separazione è inevitabile. A
volte può diventare persino moralmente necessaria, quando appunto si tratta di
sottrarre il coniuge più debole, o i figli piccoli, alle ferite più gravi
causate dalla prepotenza e dalla violenza, dall’avvilimento e dallo
sfruttamento, dall’estraneità e dall’indifferenza".
"TraLeDonne": accanto alle vittime con gli strumenti giusti
Papa Francesco precisa che la separazione “deve essere considerata come
estremo rimedio, dopo che ogni altro ragionevole tentativo si sia dimostrato
vano”, ma offre alle donne credenti una possibilità che permette loro e spesso
ai loro figli di cominciare una nuova vita. Una possibilità di cui non c’è
ancora sufficiente consapevolezza. Ne è convinta Elisabetta Giordano,
presidente dell’Associazione "TraLeDonne" che per il 29 novembre ha
promosso un incontro pubblico con la partecipazione, tra gli altri, di padre
Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio per la Famiglia della CEI e che, ai
nostri microfoni, racconta che cosa c'è all'origine della sua associazione:
Elisabetta Giordano, “TraLeDonne” è una realtà associativa di ispirazione
cristiana. E’ nata di recente, ma ha già all’attivo diverse iniziative. Lei ne
è la fondatrice. Perché ha sentito la spinta a costituire un’associazione per
le donne vittime di violenza?
L'idea è venuta dalla vita, dall'esperienza personale e dalla conoscenza
profonda, negli ultimi 23 anni, di diverse storie di donne che vivono o hanno
vissuto una grande sofferenza dovuta al non amore, alla violenza psicologica o
fisica subita, che mi hanno spalancato il cuore sulla situazione reale.
Sappiamo che in Europa è vittima di violenza una donna su tre, e non parliamo
neanche dell'Africa o dell'Asia, dove la condizione delle donne è ancora più
drammatica. All'origine c'è, dunque, un'esperienza dolorosa illuminata però
dalla Parola di Dio. Un giorno nel 2019, mentre pregavo mi è risuonata dentro
in modo nuovo la frase dell'Ave Maria: tu sei benedetta tra le donne. E' stata
una scoperta assoluta: Maria è stata posta dall'amore di Dio in modo speciale
in mezzo a noi donne. Ed è risultato nuovo in me, in quel periodo,
anche il testo della Genesi quando la donna dice: "il serpente mi ha
ingannata". La donna non sta mentendo e per questo Dio si rivolge al
serpente chiamandolo maledetto e dicendo: "Io porrò inimicizia tra te e la
donna, tra la tua discendenza e la sua". Quel giorno ho avvertito lo
sguardo di stima e di fiducia con cui Dio considera le donne: nelle loro mani,
nelle nostre mani, è stata posta la vittoria sul male in tutte le sue forme.
Praticamente è crollato un castello che era anche dentro di me, fatto di
giudizi, di pregiudizi costruiti nei secoli che hanno di fatto capovolto
l'immagine della donna e la sua altissima dignità.
"TraLeDonne", insieme ad altre iniziative, ha avviato uno
sportello di primo ascolto per le donne vittime di abusi. Pensando alle storie
ascoltate, che idea si è fatta di questo fenomeno? Quali sono le sue radici?
Sì, questo spazio di ascolto e di orientamento è nato perché abbiamo capito
che la violenza è la punta di un iceberg la cui radice è una cultura, una
cultura millenaria, purtroppo ancora persistente, segnata dall'egoismo,
dall'arroganza di chi vuole esercitare un potere, una supremazia - in questo
caso di alcuni uomini su alcune donne - tanto da non permettere alla donna di
esprimersi. In questa cultura vecchia la donna è vista come possesso, qualcosa
da sottomettere, vincere, pungolare, ammaestrare e plasmare a seconda dei
propri gusti. Sulle donne questi uomini scaricano la propria rabbia, l'ansia,
la cattiva educazione, e sulle donne impatta inesorabilmente una coscienza
umana non formata, una formazione etica non sviluppata. E' per questa cultura
che le famiglie diventano carceri in cui l'aria è mortifera. Ma per gettare i
semi di una cultura nuova non si può essere soli. Ecco perché l'associazione,
lo spazio d'ascolto e il nostro collegamento con le reti territoriali.
Quali sono le richieste di una vittima di abusi e anche le resistenze nel
momento in cui emerge la drammatica situazione che sta vivendo?
Le resistenze ci sono perché le donne di solito non vogliono accettare di
veder crollare il proprio progetto di vita e di felicità per se stesse ma anche
per il partner e per i propri figli. Quindi c'è tutto un percorso di
consapevolezza da fare che richiede un accompagnamento. Intanto di una
spalla su cui piangere, poi di qualcuno che le creda, un accompagnamento per
trovare la forza di uscire dalla spirale della violenza. La donna poi ha paura
che il partner le porti via i figli o che possa far male ai figli, ecc...
Lei insiste molto sulla questione della formazione delle
operatrici e gli operatori che accompagnano le donne ferite, perché è così
importante?
La formazione è indispensabile, ma non soltanto per noi che siamo
operatrici, piccole operatrici, ma è necessaria e indispensabile per i
professionisti che sono in questo campo, per gli psicoterapeuti, gli avvocati,
i magistrati, gli assistenti sociali, i docenti. Bisogna sapere, ad esempio,
che la Convenzione internazionale di Istanbul sancisce che nel caso di violenza
in una coppia, non è utile per la coppia praticare la mediazione familiare,
perchè prima di un percorso di terapia di coppia, la violenza va fermata.
Un altro esempio: bisogna sapere che il Codice rosso, la nostra legge
della Repubblica n.69 del 2019, ha messo sullo stesso piano, dal punto di
vista delle indagini, i reati di violenza contro le donne e i reati di mafia.
Dunque, quando polizia e carabinieri ricevono una denuncia, devono trattare una
denuncia di violenza di genere come tratterebbero una denuncia di mafia.
A suo parere anche nella Chiesa c'è bisogno di più formazione per farsi
prossima a queste situazioni difficili?
Certo, perchè siamo tutti corpo sociale e per sacerdoti, religiose e noi
laici che lavoriamo in ambito famigliare, è valido tutto quello che dicevo
prima. Pensiamo quanto possono contare una predica da un altare, il sacramento
della Riconciliazione e la parrocchia, un movimento ecclesiale sono proprio
strutture di prossimità territoriali che possomo intercettare la
sofferenza della violenza e per primi possono contribuire a prevenire e a
orientare una donna nella giusta direzione. Non devono necessariamente
consigliare la donna di "stringere i denti" e continuare magari a
perdonare, perché ci sono delle priorità e la vita della donna in quanto essere
umano, è sacra, come i figli che non devono ammalarsi psichicamente a causa di
quello che vedono e vivono in un clima famigliare violento.
L'Amoris Laetitia si preoccupa di indicare le vie per un accompagnamento
delle donne vittime di violenza domestica. E nell'articolo 241 si parla della
separazione come soluzione estrema, ma possibile. Padre Vianelli ne offrirà una
lettura nell'incontro del 29 novembre. Perché per lei è importante ricordarlo e
comprendere bene quelle parole?
Il motivo è proprio
quello che stavo dicendo riguardo alla formazione. Perché l'Amoris Laetitia
la possiamo anche vedere come uno strumento di formazione. L'articolo n.241 si
apre dicendo che è necessario "porre un limite fermo alle pretese
eccessive dell’altro". "Bisogna riconoscere - continua - che ci sono
casi in cui la separazione è inevitabile. A volte può diventare persino
moralmente necessaria". Questo è formativo ed è anche liberante, perché
non si può ripetere sempre che noi dobbiamo perdonare, dobbiamo coprire...
Attenzione: certo noi dobbiamo perdonare e coprire, però con un limite. Quando
abbiamo fatto ogni ragionevole tentativo e tutto si è dimostrato vano, allora
ci vuole il limite. E c'è un termine chiave in questo articolo che dice
"un limite fermo a una grande ingiustizia". Vuol dire che noi siamo
uomini e donne che vogliono la giustizia che è la prima esigenza ed espressione
della carità, verifica e rende credibile la carità. Non c'è qui conflitto tra
giustizia e carità, ma tutto questo va capito.
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