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lunedì 11 ottobre 2021

LE PALPEBRE

- Un discepolo si era macchiato di una grave colpa. Tutti gli altri reagirono duramente condannandolo. Il maestro, invece, non reagì e non lo punì. Uno dei discepoli non seppe trattenersi e sbottò: «Non si può ignorare ciò che è accaduto: dopo tutto, Dio ci ha dato gli occhi!». «È vero, ma anche le palpebre!», replicò il maestro.

A proposito di occhi, come non ricordare che il miglior commento a questo bell’apologo della spiritualità indiana è proprio nel Vangelo? «Perché guardi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello e non t’accorgi della trave che hai nel tuo occhio?» (Matteo 7,3). 
Ci sono in tutti gli ambienti, anche in quelli ecclesiali, questi occhiuti censori del prossimo, implacabili nel denunciare gli errori altrui, sdegnati perché si è troppo corrivi e misericordiosi. Si ergono altezzosi nel loro compito di giudici, attestando che essi vogliono rendere un servizio alla verità e alla giustizia e che il loro sdegno è profondo e amaro ma sincero. In realtà, essi si crogiolano nel gusto di sparlare degli altri e si collocano su un piedestallo che spesso è falso e artificioso: la parabola del fariseo e del pubblicano è il miglior ritratto di questi personaggi. 
Il racconto indiano sopra citato è accompagnato da un paio di versi dello sterminato (almeno 106 mila distici!) poema epico indiano Mahabharata: «L’uomo giusto si addolora nel biasimare gli errori altrui, il malvagio invece ne gode». 
Purtroppo, si deve confessare che questo sottile e perverso piacere di aprire tutti e due gli occhi sulle colpe del prossimo è una tentazione insopprimibile che lambisce tanti. 
Infatti — ed è il Cortegiano dell’umanista Baldesar Castiglione a ripeterlo — «tutti di natura siamo pronti più a biasimare gli errori, che a laudar le cose ben fatte».

G.Ravasi

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