Charles
Darwin, Il potere di movimento delle piante
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Abbiamo
così costruito aziende e istituzioni "animali", cioè con una forte
divisione e specializzazione delle funzioni, con un "cervello" e un
"cuore" da cui dipendono tutti gli altri organi. Queste
istituzioni-animali hanno imparato a correre molto velocemente, sono diventate
sempre più efficienti, depredando e divorando risorse. E così l’economia e il
Pil sono cresciuti grazie alle folli corse di imprese e consumi, producendo
risultati eccelsi; un giorno però hanno superato la soglia della cosiddetta
"tragedia dei beni comuni", che stiamo osservando tutti, spettatori e
vittime insieme.
L’economia
non ha imitato le piante – come abbiamo scritto su queste pagine: "Nel
tempo della ragnatela" (5 marzo 2016). Le piante, diversamente dagli
animali, sono ancorate al suolo, e per rispondere all’estrema vulnerabilità
dovuta al loro star ferme, non hanno sviluppato organi specializzati come gli
animali (se non puoi scappare e hai cuore e fegato, se un animale ti mangia un
organo vitale ti uccide). Hanno imparato a respirare, vedere, sentire con tutto
il loro corpo. Da qui la loro grande resilienza: un animale lo uccidi
colpendolo al cuore, la pianta invece può sopravvivere anche se perde l’80-90% del
corpo, e un tronco mozzato può conoscere un nuovo virgulto. Nella Bibbia
troviamo molte volte l’immagine dell’albero, della vigna, del seme per indicare
il Popolo, la Chiesa, il Regno dei Cieli.
La
vita delle piante ha molto da dire anche alle comunità carismatiche. Queste
nascono da uno o più fondatori/fondatrici, che danno alla comunità carismatica
una forma simile all’animale. Il fondatore è necessariamente il centro (cuore),
e i singoli organi e funzioni dipendono dal centro. Questa configurazione viene
poi replicata in tutte le funzioni e nelle varie comunità locali, che
riproducono tutte lo stesso modello centrale. Nelle comunità carismatiche,
diversamente dalle organizzazioni burocratiche (cioè "governate
razionalmente dagli uffici" e non dai carismi delle persone), le
responsabilità e i ruoli dipendono direttamente dal fondatore. Si creano sulla
base di un rapporto totalmente fiduciario, da un patto implicito di mutuo
riconoscimento. Ciò consente alla comunità di correre molto velocemente nella prima
fase del suo sviluppo, di volare alto come aquila.
Ma
come ci ha insegnato Max Weber, l’autorità di tipo carismatico termina con la
scomparsa del leader carismatico, quando iniziano la routinizzazione del
carisma e l’organizzazione burocratica. Nei secoli passati, la fase carismatica
dei movimenti durava in genere poco tempo, e quindi era più semplice osservare
con chiarezza le differenze tra la governance della fase carismatica e quella
successiva. Nel nostro tempo, invece, i fondatori restano nelle loro
organizzazioni per molto tempo. Accade così che una certa burocrazia si
sviluppi mentre il fondatore è ancora alla guida della sua comunità, allo scopo
di rendere ordinata e razionale quella vita comunitaria. Inizia una certa
burocrazia carismatica. Ed è in questa fase di proto-istituzionalizzazione del
carisma dove si addensano sfide decisive per il futuro. Perché?
Finché il fondatore è in vita, l’organizzazione che nasce è inevitabilmente
pensata attorno al ruolo centrale e unico del fondatore. Non potrebbe
svilupparsi diversamente. I problemi però nascono perché queste prime forme
organizzative ibride carisma-istituzione passano alla generazione
post-fondatore come parte essenziale dell’eredità immodificabile del carisma. I
primi otri e il vino diventano quasi la stessa cosa. E così quando il fondatore
esce di scena, chi lo sostituisce si ritrova dentro una organizzazione pensata
"da e per" il fondatore. Deve interpretare un ruolo per il quale non
ha le risorse, perché semplicemente quel ruolo pensato dal fondatore è
possibile soltanto per il fondatore.
Il
successore si ritrova al centro di tutte le connessioni e le circolazioni della
comunità, senza poter essere nelle condizioni per poterle gestire. Il fondatore
aveva doti e caratteristiche spirituali e umane che erano uniche in quanto
fondatore. Il suo successore, invece, non può e soprattutto non deve svolgere
la stessa funzione di cuore della sua comunità – e se lo fa crea una nuova
comunità. Ma se si ritrova dentro la stessa governance del fondatore,
inevitabilmente iniziano i problemi. Si verificano ritardi decisionali e
ingorghi gestionali vari nello svolgimento del lavoro ordinario. E la quasi
totalità delle risorse viene impiegata per la gestione delle dinamiche interne
e così non restano energie libere per pensare strategicamente al futuro: un
oggi ingestibile si mangia il domani.
Ciò
si verifica perché quando il fondatore inizia a scrivere la regola e quindi il
ruolo del presidente e del governo della sua comunità, ha in mente sé stesso e
il suo governo, e prende la sua esperienza di fondatore-presidente per
disegnare la figura dei futuri presidenti e il futuro governo. Gli esperti gli
ricordano che il futuro presidente non potrà svolgere le stesse funzioni del
fondatore, e spesso è lo stesso fondatore ad averne coscienza; ma la comunità e
il fondatore non hanno altro materiale che il passato e il presente. Così la
regola comunitaria finisce inevitabilmente per essere una foto della realtà che
la scrive.
Questa è una delle ragioni della fatica che fanno oggi movimenti e comunità a gestire la fase post-fondazione, per non riuscire a "suonare" lo spartito lasciato loro in eredità. Che fare dunque? Se vogliamo essere onesti fino in fondo, dobbiamo dire che l’organizzazione generata e voluta dal fondatore in un certo senso muore il giorno dell’uscita di scena del fondatore, muore con la morte del suo cuore. È questa la prima, decisiva e inevitabile vulnerabilità dell’organizzazione-animale generata dalla prima fase. Non muore il carisma, muore solo la prima organizzazione che quel carisma aveva generato. Ma – e questo è il punto – se non muore la prima organizzazione può succedere che al suo posto muoia il carisma.
Per evitare equivoci occorre tenere ben presente che nella tradizione e spesso
anche nella regola che scrive un fondatore, c’è una parte che riguarda la forma
di vita della nuova personalità spirituale (individuale e collettiva) che il
carisma porta sulla terra, che può cambiare nel tempo solo in aspetti molto
marginali. Ma nelle tradizioni scritte e orali delle comunità spirituali
(soprattutto di quelle moderne) c’è quasi sempre anche la descrizione delle
regole di governance e dell’organizzazione pratica della comunità. In questa
seconda parte ci sono pure dimensioni carismatiche fondative e originali che
non vanno perse (una comunità carismatica ha un bisogno essenziale di una
governance coerente con il carisma che l’ha generata); ma ci sono anche prassi
e regole che sono state pensate sulla misura del fondatore e della sua
"organizzazione-animale", e se non cambiano finiscono presto per
bloccare lo sviluppo della comunità. Operazione (forse) facile a dirsi ma
difficilissima a farsi, perché i discepoli del fondatore tendono per istinto a
considerare intoccabile e "sacra" l’intera regola e tradizione,
soprattutto se a pensarle è stato lo stesso fondatore.
Da
qui la proposta. Tornando alla nostra analogia, nella fase di passaggio dal
fondatore ai suoi successori, l’organizzazione carismatica dovrebbe
trasformarsi da organizzazione-animale a organizzazione-pianta. Dopo il
fondatore, la comunità può sostituirlo con un presidente, cambia cuore e lascia
la governance di prima: questa soluzione non funziona perché non può
funzionare. Ma può anche decidere di cambiare molto per salvare l’essenziale. E
quindi mette mano alla parte "pratica" della regola, e crea una
governance vegetale. Distribuisce le funzioni, prima addensate nel centro, in
tutto il corpo, e crea una vera governance sussidiaria. Come quella delle
piante, dove un attacco di un parassita su una foglia viene risolto prima dalla
singola foglia, se questa non riesce subentrano le foglie vicine, poi l’intero
ramo, e solo infine i rami più lontani e qualche volta gli alberi vicini.
Impara a respirare, pensare, sentire con tutto il corpo. Detto per inciso, le
comunità monastiche nascono simili alle piante: il loro centro non è il
fondatore né, tantomeno, l’abate. La loro radice è la regola, e così molti
monasteri hanno vissuto e vivono per secoli, come i grandi alberi.
Come
si fa ad assicurare l’unità di una organizzazione-pianta? Anche le piante hanno
un loro governo non meno efficiente di quello degli animali, ed è concentrato
soprattutto nel loro codice genetico e, per certe funzioni, nelle radici. Nelle
generazioni successive al fondatore, l’unità della comunità e il governo delle
decisioni più importanti sono affidate al Dna e alle radici del carisma. Le
comunità carismatiche possono farlo, perché diversamente dalle imprese, loro
non hanno dipendenti: hanno persone con vocazioni, quindi con lo stesso Dna
spirituale del fondatore (un francescano ha lo stesso "codice
genetico" di Francesco, non lo impara ma lo scopre, perché era già
nell’anima). Sono allora le sue persone la prima garanzia che la comunità avrà
futuro - qui la loro forza, qui la loro vulnerabilità. Molto di ciò che prima
faceva il cuore, ora lo potrà fare tutto il corpo se il carisma diventa radice.
Sottoterra, invisibili, le radici sostengono e alimentano tutto l’albero,
sentono e, come un cervello diverso, inviano messaggi a tutta la pianta, in
dialogo con la terra. Non commettiamo l’errore di pensare che le radici siano
il passato, magari immutabili e statiche; nelle piante le radici sono anche il
passato, ma soprattutto sono il presente e il futuro. Se un carisma riesce a diventare
pianta è resiliente alle crisi, diventa molto difficile farlo morire. Deve però
rallentare, sviluppare nuovi sensi, crescere in profondità, conoscere tutto il
bosco e imparare nuovi linguaggi per cooperare con alberi diversi.
Le
piante hanno sviluppato la loro resilienza per rispondere alle sfide
dell’ambiente: una grande vulnerabilità dovuta al loro ancoraggio al suolo le
ha costrette a darsi organizzazioni molto diverse da quelle del regno animale,
per poter vivere. Quella vulnerabilità che nasceva dal non potersi muovere è
diventato il loro vantaggio evolutivo. Quando i fondatori scompaiono,
l’ambiente cambia profondamente, e si sperimenta una nuova e diversa
vulnerabilità. La saggezza delle piante può suggerirci come trasformare la
debolezza in fortezza, e continuare la vita: «È come albero piantato lungo
corsi d’acqua, che dà frutto a suo tempo» (Salmo 1,3).
*l.bruni@lumsa.it
– Docente di Etica e cultura d’impresa, LUMSA Roma
www.avvenire.it