Vangelo: Mt 28,16-20
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte
che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e
disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate
dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del
Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho
comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Commento di p. Paolo Curtaz
Il nostro Dio
Chiedi pure in giro,
informati, spargi la voce. Tutti hanno un’idea di Dio. per crederci, o per
rifiutarlo. Alcuni fingono di non pensarci, altri lo accusano delle storture
che viviamo continuamente. Altri lo pregano e lo invocano. Chiedi in giro,
però. Mai si è sentito dire di un Dio che si è scelto un popolo, che lo ha
stanato, salvato, seguito, che lo ha fatto uscire dalla schiavitù. Chiedi se
sia mai successo che un Dio abbia indicato ad un popolo il segreto della
felicità. Che gli abbia consegnato la mappa per cercarla. Chiedi pure. Così
l’autore del Deuteronomio, stupito, ripensa all’esperienza di Israele, il
popolo di nomadi che si è visto scegliere fra le nazioni per diventare
sentinella, per raccontare ad ogni uomo chi è veramente Dio.
Non un Dio qualunque.
Non una delle proiezioni
delle nostre paure, dei nostri bisogni inconsci, non il garante dell’ordine
costituito. Un Dio che parla, che dice, che si racconta. Il nostro Dio. Il mio
Dio. Il tuo, se vuoi.
Figli non schiavi
Un Dio, dice Paolo, che
attraverso lo Spirito si rivela come un Padre e che ci permette di fare
esperienza di lui, diventando suoi figli in Gesù. Una scoperta che non passa
più solamente per la liberazione da tutte le schiavitù che portiamo nel cuore,
ma dall’essere discepoli di Cristo che è morto per svelarci il vero volto di
Dio. Una conoscenza sofferta, che richiede un percorso, un cambiamento, una
crescita interiore. Dio si accoglie, non si conquista. Si scopre, stupiti, non
si pretende. Si cerca, umilmente, non si imbraccia come un’arma. Si ama quando
ci si scopre amati, bene amati. Ma questa conoscenza passa
necessariamente attraverso la croce che non è, che non è mai stata!,
esaltazione del dolore, anche quello santo e devoto, ma manifestazione della
misura dell’amore con cui siamo amati. Ma non bastava.
Andate
Gesù si avvicina ai suoi
discepoli. Ha qualcosa di importante da dire, una missione da affidare. Si
avvicina a loro anche se dubitano. Non vuole i migliori, non sa che farsene dei
puri. Vuole figli, non giusti. E ai dubbiosi chiede di andare fra i popoli, non
di chiudersi in un recinto sacro e rassicurante, autoreferenziale e stanziale. Di
battezzare ogni uomo nel mistero della Trinità. Un Dio che, finalmente,
manifesta la sua sorprendente natura. Un Dio che è comunione, relazione,
comunicazione, dono di sé, danza, festa. Non un Dio solitario, sommo egoista
bastante a se stesso, immobile nella sua perfezione, statico e distratto. Dio
genera amore che dilaga, si diffonde, contagia.
Questo dobbiamo
raccontare.
Che Dio non è un
bastardo. Né un cinico. O un sadico. E quanto lo dobbiamo ripetere a noi stessi
e agli altri in questi interminabili tempi di pandemia, di paura, di chiusura,
di smarrimento. Quanto dobbiamo purificare la nostra immagine di Dio! E
dobbiamo raccontare, a volte anche con le parole, che noi siamo fatti a sua
immagine e somiglianza. Che in me c’è la Trinità. Siamo costruiti a sua
immagine, Dio si è guardato allo specchio per crearci. Inutile negarci la
relazione. Inutile fuggire la comunione. Assurdo negare l’amore. È faticoso e
crocifiggente relazionarsi, certo. L’enfer c’est les autres, l’inferno
sono gli altri diceva Sartre. Amatevi dell’amore con cui siete stati amati,
chiede Gesù. Ma non si tratta di operare una scelta di vita, più o meno
conveniente. Ma di assecondare ciò che siamo veramente, nel nostro profondo. Di
fiorire.
Insegnando ad osservare
Siamo chiamati ad
insegnare. Cosa? Il comandamento dell’amore? No, siamo chiamati ad
insegnare come osservare quel comandamento. Non siamo né siamo
chiamati ad essere degli insopportabili e saccenti primi della classe che
dall’altro calano le loro prospettive. O dei devoti giudicanti. Siamo chiamati
noi per primi ad amarci dell’amore del Dio Trinità e a raccontare quanto ci sta
cambiando la vita, anche nella fatica, nella contraddizione, al di là di ogni
limite, di ogni peccato.
Non siamo soli in questo
compito.
Ci è stato ripetuto in
queste ultime domeniche, con insistenza. Lui è con noi, per sempre. Ci è
accanto, conferma le nostre parole, se le viviamo. Ci usa come strumento.
Questo è il Dio in cui crediamo. Il Dio che ci ribalta.
Chiedete pure in giro se
avete mai sentito niente del genere.
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